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Da vari giorni il ministro Maroni agita lo spettro dell’invasione, parlando di “esodo biblico”.

È grottesco e inverosimile: in tutto sono arrivati in poche migliaia, forse 5.000… E per questo ha aperto anche una polemica con l’UE, accusata di non fare nulla e di non aiutare il governo italiano. In realtà il progetto era di ottenere l’avallo a una politica di intervento diretto militare e poliziesco italiano (con copertura europea) sulle coste tunisine, che i nuovi governanti non hanno potuto che respingere, anche se un viaggio di Frattini ha tentato una mediazione diplomatica: i pattugliamenti italiani ed europei della Frontex (l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne all’Europa) si faranno in alto mare, e non in acque tunisine, mentre l’esercito tunisino sarà incaricato di presidiare i porti. I governanti tunisini si sono detti grati per gli equipaggiamenti  per le forze di polizia generosamente forniti dall’Italia. Primo risultato, lo speronamento di un barcone carico di migranti, con un saldo imprecisato di morti e dispersi. Forse c’erano già istruttori italiani, esperti fin dal 1997 in queste imprese ( come l’affondamento intenzionale tra Valona e Otranto della “Kater i Rades” ), ma le vedette tunisine sanno già bene cosa fare per manifestare gratitudine a chi le arma e finanzia. D’altra parte il Frontex, difficilmente potrà risolvere la questione, pur avendo una fama molto discutibile per ripetute violazioni delle norme internazionali, come ha denunciato Anneliese Baldacchini, responsabile immigrazione di Amnesty in un’intervista al Manifesto.

 

Ma l’obiettivo vero di Maroni non è l’esodo, che d’altra parte dall’Egitto non è cominciato, perché le speranze nella rivoluzione non sono state ancora deluse come in Tunisia (che pure vede settori importanti della popolazione, soprattutto giovanile, rifiutare l’ipocrisia di un “cambiamento nella continuità”), ma è quello di prepararsi a mettere sotto controllo non solo questi due paesi, ma tutta l’area, se la rivoluzione si estendesse e vincesse in diversi paesi significativi (magari anche alla Libia del prezioso amico Gheddafi…). Altrimenti a che sarebbero servite le “missioni umanitarie” in paesi già distrutti e schiacciati come l’Iraq e l’Afghanistan, se non all’addestramento di forze da impegnare nei confronti di una possibile ripresa della rivoluzione anticoloniale? E si capisce meglio la logica delle massicce spese militari… Insomma quel che fa paura non è l’emigrazione, ma la rivoluzione.

Ma c’è un altro aspetto che ci preoccupa. Lasciamo perdere il penoso Frattini, che si era sbilanciato in grotteschi elogi dei due dittatori appena pochi giorni prima della loro uscita di scena. Lasciamo perdere il ridicolo ministro della Difesa, che ha giocato a fare il D’Annunzio in Afghanistan lanciando volantini da un elicottero.  Sono buffoni. Ma Roberto Maroni è un pericolo ben più serio: ed è criminale che proprio in questi giorni Bersani, quando strizza l’occhio alla Lega, prometta non solo appoggio incondizionato al federalismo (che è già grave), ma elogi il ministro degli Interni e gli assicuri l’appoggio del PD. Subito Lucia Annunziata si è affrettata ad apprezzare la furbizia di questa apertura alla Lega, che dovrebbe servire ad accelerare “tatticamente” la caduta di Berlusconi.  Assurdo! Maroni (come un altro possibile premier vagheggiato dal PD, Tremonti) è assai peggio di Berlusconi. E soprattutto il PDS ha già sperimentato mille volte che questi corteggiamenti alla Lega non danno che frutti avvelenati. Fu il PDS a fornire i voti alla Lega per farle avere i primi sindaci, e quando Bossi si sganciò dal cavaliere nel 1994, lo fece per non essere travolto dalle proteste di massa nei confronti della controriforma delle pensioni, che fu fatta gestire poi a un governo Dini con la copertura della sinistra moderata e della CGIL, che ne pagarono e ne pagano tuttora il prezzo… Massimo D’Alema naturalmente si è affrettato a spalleggiare questa apertura di Bersani, sempre col suo insopportabile tono saccente, che finge di ignorare che in tutta la sua vita politica non ne ha azzeccata mai una. Subito dopo si è precipitato anche Veltroni. Tutti e tre uniti nella ricerca di un salvagente… di cemento! Particolare tragicomico: nell’intervista alla “Padania”  (fatta su sua richiesta, precisa il giornale) Bersani affermava che “la Lega non è razzista”, mentre in prima pagina appariva un titolo cubitale: TRAVOLTI DALL’ORDA… E L’UE DORME…

Ma occorre spendere qualche parola anche sul primo obiettivo di questa incredibile alleanza: il federalismo, che sembra un punto fermo intoccabile anche nel dibattito della sinistra italiana. Invece bisogna avere il coraggio di dire che cos’è: per la Lega rappresenta un successo puramente propagandistico, per dimostrare alla propria base che la partecipazione al governo è stata proficua, anche se a mano a mano, per non far esplodere la coalizione di governo con una rivolta di sindaci e deputati meridionali, il suo progetto iniziale è stato pesantemente ridimensionato (pur rimanendo gravemente dannoso per i ceti popolari, anche perché comporta un’aumento delle tasse dirette sulle prime fasce). Il federalismo aveva un senso (ed è stato un male che allora sia stato respinto) tra il 1848 e il 1861 o il 1870, quando avrebbe dovuto assicurare il rispetto delle specificità ereditate da storie politiche e sociali diverse degli Stati che si univano in una sola Italia sotto la dinastia sabauda, è assurdo ora, in un paese unito (sia pure abbastanzai male) di cui accentuerà le contraddizioni e le difficoltà di funzionamento.

Soprattutto è un mito creato artificialmente, di cui pochi sanno il reale significato, e di cui a pochi importa veramente qualcosa. Nella stessa Lega, è solo un surrogato dell’impossibile secessione, coltivata per anni come soluzione a tutti i mali e poi accantonata per potersi alleare con fascisti e sciovinisti vari. Che il PD lo consideri un obiettivo importante è l’ennesima conferma della sua inconsistenza e dell’assenza di un minimo di comprensione di cos’è l’Italia e di quali sono i suoi veri bisogni.

 

* articolo apparso sul sito http://antoniomoscato.altervista.org

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