Nelle nostre campagne contro gli accordi bilaterali abbiamo sottolineato come essi si muovevano sostanzialmente in un logica di liberalizzazione del mercato del lavoro; una liberalizzazione che avrebbe aperto le porte (come poi è avvenuto) al dumping salariale e sociale.
In particolare avevamo attirato l’attenzione sul fatto che le misure di accompagnamento previste erano del tutto insufficienti a frenare questo fenomeno: un dato di fatto che ora riconoscono tutti, o quasi.
Ma nella nostra campagna contro gli accordi bilaterali, di fronte a chi ci chiedeva cosa pensassimo dell’Europa, avevamo pure sottolineato la differenza tra una visione europeista che parta dalle esigenze dei salariati europei e la concreta realizzazione rappresentata dall’Unione Europea, un progetto della borghesia per la borghesia.
Noi restiamo convinti della necessità di costruire un’Europa dei lavoratori, un’Europa sottratta al controllo ed alla logica del capitale: un’Europa anticapitalista e socialista.
Ma l’Unione Europea è un’altra cosa: è un progetto di liberalizzazione monetaria e mercantile voluta dalla borghesia europea nell’ambito della sua battaglia concorrenziale con il capitalismo nordamericano e con quelli dei cosiddetti paesi emergenti: nulla ha a che vedere con i cittadini e le cittadine europee, i loro diritti, i loro bisogni, le loro esigente culturali e sociali.
Che l’UE sia una struttura assolutamente non democratica lo hanno dimostrato, ancora una volta, le vicende legate alla crisi del debito, quello greco e quello irlandese in particolare. Ma tutte le scelte economiche all’interno dell’UE (con conseguenze sociali profonde) sono il risultato di un funzionamento assolutamente antidemocratico. Le decisioni fondamentali non le prendono più nemmeno i Parlamenti ed i governi: sono invece le banche centrali, i ministri delle finanze, i dirigenti delle grandi banche, ecc. ad assumere le decisioni fondamentali, quelle di maggiore rilevanza.
Si capisce, anche per questo, la nostra opposizione ad aderire ad una istituzione, come l’UE, profondamente antidemocratica.
Nel nostro paese ci si sta incamminando nella stessa direzione. Due anni fa abbiamo avuto un esempio clamoroso di come, di fronte alle decisioni fondamentali, sia il parere di pochi, dei “poteri forti” come si dice, a decidere ed a sospendere i diritti di tutti gli altri. Così, sull’intervento miliardario a favore dell’UBS, persino il potere del Parlamento federale è stato sospeso.
La politica condotta negli ultimi due anni dai dirigenti della Banca Nazionale Svizzera (BNS) va nella stessa direzione. I suoi dirigenti hanno speso miliardi di franchi per comprare euro, con l’obiettivo di “aiutare” il franco e la “nostra” industria d’esportazione. In questo modo, ci è stato spiegato, avrebbero “salvato” migliaia di posti di lavoro.
Il risultato di questa politica, che ha implicato l’uso di decine e decine di miliardi di soldi pubblici senza chiedere il parere di nessuno, è sotto gli occhi di tutti: la BNS ha scavato un buco di 21 miliardi (di cui risentiranno i Cantoni ai quali, verosimilmente a partire dal 2012, mancheranno decine di milioni che prima venivano versati ogni anno).
Ma, ci si può chiedere, gli obiettivi che ci si era fissati sono stati raggiunti? Ci pare proprio di no. Il rapporto franco-euro negli ultimi due anni è peggiorato costantemente ed ha visto il franco rafforzarsi in modo importante. Se il tasso di cambio fr/euro era di 1.60 un paio di anni fa, oggi non siamo lontani dall’1.20-1.25: cioè un rafforzamento del franco sull’euro dell’ordine del 30-40%. Che dire di un simile risultato e di un simile intervento? Che è stato un vero e proprio buco nell’acqua o, per ricorrere all’eufemistica dichiarazione di un banchiere ginevrino al recente WEF di Davos, che è stato “deludente”.
Non solo quindi l’intervento della BNS non ha raggiunto l’obiettivo che si era fissato, ma il buco scavato avrà conseguenze sulle finanze di molti cantoni che dovranno trovare in qualche modo, a partire dai prossimi anni, i 2 miliardi e mezzo che la BNS ha annunciato di non voler più versare.
Così la politica della BNS non solo non ha salvato un solo posto di lavoro, ma contribuirà ad accentuare la politica di austerità dei governi cantonali che, tra le altre giustificazioni, addurranno anche i risultati della BNS.
Ma chi ha deciso, in nome di cosa, questo sperpero di denaro pubblico? Non avrebbe potuto essere utilizzato per cose più importanti oggi in Svizzera, a cominciare dalla stessa difesa dei posti di lavoro, della socialità, della formazione, ecc.?
Le razioni dei partiti di governo sono diverse ma tutte ugualmente colpevoli.Naturalmente vi è chi cerca di approfittarne elettoralmente: il solito Blocher che, in questi due anni, si è guardato bene dal criticare questa politica. Vi sono poi coloro che fanno finta di nulla: come i dirigenti social-liberali che, assieme ai dirigenti dell’Unione Sindacale Svizzera – USS, non solo in questi due anni non hanno detto nulla: ma erano in fondo compiaciuti del fatto che la BNS attuasse una politica corrispondente ai loro desideri. Ancora un anno fa Daniel Lampart, capo-economista dell’USS, ribadiva la necessità che la BNS lottasse contro il “franco forte” con queste parole: “È per questo che la BNS deve lottare contro il caro-franco e, per questo, deve fare in modo che il franco torni ad essere meno caro rispetto all’euro…Tra le altre misure atte a lottare contro il franco sopravvalutato, ricordiamo le operazioni su divise in collaborazione con la Banca Centrale Europea…; un intervento diretto sul mercato monetario; altre operazioni a termine…”. Da notare che dal 2007 il nostro è membro (per conto dell’USS) del Consiglio di Amministrazione della stessa BNS, per il quale è addirittura membro del comitato dei rischi… Consigli che la BNS ha seguito alla lettera con i risultati che conosciamo. Sicuramenti il rischio legato all’acquisto massiccio di euro è stato sottovalutato…
Tutti, naturalmente, a difendere l’ “autonomia” della BNS: inviolabile, impermeabile alle critiche. Non si deve disturbare il manovratore, occupato nella difesa degli interessi dei possidenti di questo paese.