Nel momento cui la rivoluzione egiziana e quella tunisina sembrano fare una pausa vale la pena tornare su alcuni aspetti fondamentali di questi processi politici in atto.
Il primo è sicuramente quello della potenza delle masse popolari, della loro capacità, una volta entrate in azione, di travolgere qualsiasi ostacolo politico. Come ha scritto giustamente qualcuno “gli egiziani ci dicono che la rivoluzione è possibile… Le “masse” tornano in campo e prendono parola, nel modo più semplice e diretto, riproducendo, probabilmente, antichi errori e dovendo subire altrettante delusioni. Ma la strada è tracciata e questa notizia costituisce una boccata d’ossigeno anche per noi che assistiamo a piccoli fenomeni di “risveglio sociale” pur se informi e poco incisivi”. In un paese come il nostro, dove i fenomeni di “risveglio” sono quasi invisibili questi avvenimenti sono ancora più importanti. Essi ci danno la carica per continuare nella nostra lotta per una trasformazione radicale della società.
Il secondo insegnamento di queste rivoluzioni democratiche, come allo stato attuale sono quelle egiziane e tunisine, ci illustra la necessità del superamento di questa fase democratica per poter affermare diritti sociali fondamentali. Dare un lavoro, un reddito, una casa, una formazione ai milioni di giovani (e meno giovani) che vivono in questi paesi significa rimettere profondamente in discussione non solo la loro organizzazione politica, ma anche e soprattutto quella economica e sociale. Non sarà possibile, in altre parole, garantire il compimento della “rivoluzione democratica” senza darle un contenuto sociale, senza rimettere in discussione i diritti dei proprietari, siano essi “indigeni”, “nazionali” o “internazionali”. In altre parole le ricchezze naturali (e non solo quelle) di questi paesi devono tornare ad essere strumento non di arricchimento di una minoranza o strumento al servizio degli interessi delle transnazionali dell’imperialismo; devono tornare ad essere (o diventare finalmente) fonte di progresso e benessere per le popolazioni di questo paese.
Infine queste esperienze ci dicono quanto importante sia la presenza di forza politiche organizzate che militino in favore di cambiamenti radicali della società. Le rivoluzioni scoppiano quasi sempre in modo autonomo e inaspettato; ma il loro sviluppo, la loro dinamica, la loro capacità di prendere una via piuttosto che l’altra, cioè di svilupparsi ulteriormente o di essere recuperate dalle forze dominanti, dipendono spesso dalla presenza di forze politiche organizzate che militano per la rivoluzione, che sono in grado di proporre e di rendere credibili a milioni di persone gli obiettivi di sviluppo di un processo rivoluzionario.
È una situazione che si è presentata (con esiti più o meno positivi) durante molti frangenti della storia del ‘900 in Europa, in Asia, in molte regioni del mondo. Quelle egiziane e tunisine sono le prime rivoluzioni del 21° secolo, alle quali chi, come noi, vuole cambiare radicalmente il mondo, guarda con speranza ed interesse. Perché ci dicono, val le pena ripeterlo ancora una volta, che la rivoluzione si può fare.