“Il sindacalismo tradizionale ha mostrato negli ultimi anni la sua incapacità di fronteggiare la crisi e ai piani di austerità imposti dalla borghesia! Un nuovo modello di sindacalismo è necessario.”
È con questa affermazione ripetuta più volte dai relatori durante la conferenza di apertura che l’undicesima edizione dell’Altro Davos è iniziata ed ha avuto luogo a Basilea dal 21 al 23 gennaio.
450 persone provenienti da Venezuela, Brasile, Argentina, Uruguay, Usa, Egitto e da diversi paesi europei hanno partecipato al meeting portando il loro contributo sulle situazioni politiche, economiche e sociali locali. Sull’arco dei tre giorni sono stati organizzati degli atelier di discussione su diversi temi.
Le lotte sociali, gli apparati burocratici sindacali, il legame salute e lavoro, gli scioperi degli immigrati, le privatizzazioni: sono alcuni dei temi che hanno animato e animano il dibatto politico in molti paesi e che sono stati ripresi nel quadro di questa edizione dell’Altra Davos per mostrare come il conflitto sociale degli ultimi anni con il padronato ed il capitale è notevolmente aumentato di intensità. Dall’inizio della crisi, denominata dei “subprime”, gli attacchi contro i salariati e le salariate sono stati organizzati e coordinati simultaneamente attraverso le istituzioni internazionali (BM, FMI, BCE ), i luoghi del potere del capitalismo. Da queste istituzioni sono partite le politiche applicate dai governi (formalmente di “destra” e di “sinistra”) tradottisi in piani di austerità, in centinaia di migliaia di licenziamenti, di socializzazione delle perdite miliardarie (come, da noi, nel caso UBS), di distruzione dei diritti dei lavoratori e di sistematica negazione di diversi altri diritti (studio, pensione, sanità ), infine di un’accelerazione della liberalizzazione del mercato del lavoro.
In questo contesto di peggioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione si manifestano i limiti dell’operato dei sindacati principali in molti paesi. Le politiche della concertazione e della pace sul lavoro portate avanti da decenni sui posti di lavoro e nelle istituzioni, attualizzate in una forma di neocorporativismo, non hanno evidentemente permesso di creare alcun rapporto di forza tale da imporre ai governi le esigenze dei salariati, spianando così la strada alle esigenze del padronato.
Costruire un’opposizione sociale alternativa
Molte delle debolezze attuali del sindacalismo tradizionale sono legate al suo orientamento. In molti paesi il movimento sindacale ha dimostrato, a volte fin dalla sua nascita, una mancanza totale di indipendenza rispetto allo Stato, ai governi, al padronato. La mancanza di un’indipendenza di carattere non solo politico, ma anche organizzativo e finanziario.
Il recente caso francese è stato emblematico. Durante i scioperi generali dello scorso autunno contro la riforma sulle pensioni voluta da Sarkozy ed il suo governo, l’opposizione alla riforma era arrivata al 75% del consenso popolare.
Nonostante questo dato, che era indice di un possibile rapporto di forza, d’altronde in continua crescita, le principali direzioni sindacali hanno di fatto rinunciato a fare il passo decisivo, estendendo la lotta (anche attraverso lo sciopero generale) e rimettendo in discussione il governo e il presidente. In questo modo hanno oggettivamente indebolito il movimento di contestazione, cercando di riportarlo costantemente sul terreno della trattativa; e questo mentre con il passare dei giorni appariva chiaro che il governo non era disposto a negoziare assolutamente nulla.
Questo esempio, e molti altri, rendono più che mai urgente ed opportuno pensare ad un nuovo sindacalismo costruito sulla indipendenza. Creare dei sindacati che non abbiamo strutture verticali, ma siano fondati su una partecipazione democratica dei lavoratori e delle lavoratrici, con la possibilità di investire tutti i temi politici e sociali: è attorno a questa idea, semplice per finire, che si dovrà e si potrà ricostituire un sindacalismo dei salariati.
Proprio su questi aspetti hanno insistito i lavoratori delle Officine di Bellinzona, presenti con una folta delegazione, che hanno illustrato la loro lotta, ponendo proprio l’accento sulla autonomia, sulla democrazia, sulla capacità di autorganizzarsi.
Da ultimo, ma non certo ultimo – anzi prioritario, l’aspetto internazionalista di qualsiasi tentativo di costruire un sindacalismo diverso. In un mondo globalizzato, dove i proprietari del capitale possono decidere di dislocare la produzione e prendere decisioni in diversi paesi, l’operato dei sindacati deve estendersi al di sopra delle frontiere e creare un’azione coordinata. Il recente accordo della Fiat imposto da Marchionne (con il ricatto legato alla possibile delocalizzazione) è l’esempio più lampante di questa necessità di azione. Ma anche altri settori mostrano immediatamente la necessità di un sindacalismo che, per essere effettivamente tale, non può che declinarsi a livello internazionale: basti pensare qui, e non è che un solo esempio, al settore dei trasporti. Nessuna alternativa è possibile, né in termini di difesa dei diritti e delle condizioni dei lavoratori, né in termini di difesa del servizio pubblico contro privatizzazioni e liberalizzazioni se non su scale perlomeno europea.
Infine rimane inevitabile la partecipazione dei militanti sindacali a tutti i conflitti sociali che investono altri settori non salariati. Soprattutto è centrale il sostegno ai movimenti studenteschi che negli ultimi anni sono stati gli unici a mettere in pratica delle lotte contro le politiche dei governi e contro la continua precarizzazione delle condizione economiche e sociali.
Le politiche dei proclami, delle belle parole e delle sfilate simboliche del primo maggio sono arrivate al capolinea. L’accentuarsi della crisi e gli attacchi sempre più acuti del padronato non lasciano alternative alla costruzione di un altro sindacalismo, elemento fondamentale, agli occhi dei partecipanti all’Altra Davos 2011, di una strategia per un altro mondo, per un altro sistema sociale.
*Membro Giovani MPS e candidato al Gran Consiglio