Circa 82 miliardi: è questa la somma dei profitti netti accumulati, nell’anno appena trascorso, dai titoli azionari più importanti ( quelli che compongono lo SMI – Swiss Market Index), l’insieme delle maggiori capitalizzazioni di borsa.
Un risultato non certo sorprendente, visto che anche altri paesi capitalistici (in Francia, ad esempio, la stessa dinamica è stata messa in evidenza proprio negli scorsi giorni, con un raddoppio dei profitti rispetto al 2009) hanno visto i profitti lievitare in modo importante. Tutto questo non solo rispetto ad anni “difficili” come il 2009 e il 2008, caratterizzati dalla esplosione della crisi finanziaria, ma anche rispetto ad anni che avevano già fatto segnare record di profitti come il 2007.
82 miliardi di profitti rappresentano una progressione del 63% rispetto al 2009. Ed anche senza tenere conto di circostanze eccezionali (come quella che ha visto i profitti di Nestlé lievitare del 228% grazie ad una dismissione importante per 34 miliardi), avremmo comunque un utile superiore, rispetto al 2009, di una cinquantina di miliardi, più del 20% ! Il confronto percentuale con gli anni precedenti ci segnala un aumento del 140% rispetto al 2008 e di oltre il 30% (19 miliardi in più) rispetto all’anno record del 2007. Dati che lasciano sicuramente allibiti tutti coloro che, e sono la stragrande maggioranza della popolazione, per vivere possono contare solo sul proprio salario o su una pensione, non potendo far capo a investimenti redditizi o al versamento di cospicui dividendi. Dati, inoltre, che ci invitano a qualche breve considerazione di carattere politico.
La prima è che i “profitti di oggi” non rappresentano ” i posti di lavoro di domani”, come continuano a ripetere in modo ostinato i cantori del capitalismo liberale. Il ciclo virtuoso profitti- investimenti-occupazione esiste solo sui libri di economia o nella propaganda elettorale. Un semplice dato: tra il 2007 ed il 2010, lo abbiamo visto, i profitti sono aumentati del 30%; nello stesso periodo la disoccupazione in Svizzera è aumentata di circa il 10%.
Non è andata molto meglio sul fronte dei salari. Essi non solo non sono aumentati in termini reali, stando alla evoluzione misurata dall’indice dei prezzi al consumo; ma se vi aggiungiamo tutta una serie di tariffe di cui l’indice dei prezzi non tiene conto (a cominciare da quelli delle casse malati) per la stragrande maggioranza dei salariati in questi tre anni salari e redditi sono stagnati, quando non addirittura diminuiti.
E le prospettive non paiono certo incoraggianti poiché la messa in vigore, tra poche settimane, della nuova legge sull’ assicurazione disoccupazione farà diminuire il numero dei disoccupati: una brutta notizia poiché oltre 1’000 disoccupati (in parte giovani) non saranno ufficialmente più tali (perché non più al beneficio di un’indennità) ma continueranno a non avere lavoro e reddito. Dovranno, forse, arrangiarsi con l’assistenza sociale.
E così di fronte ad una crisi sociale sempre più profonda caratterizzata da meno reddito, meno salario e meno lavoro per la stragrande maggioranza della popolazione, gli azionisti dello SMI (e non solo quelli) potranno tra qualche settimana incassare dividendi eccezionali, frutto di profitti miliardari record.
E siccome piove sempre sul bagnato, la stragrande maggioranza di loro pagherà anche meno di imposte, grazie alla riforma II delle imprese approvata a livello federale, tesa, tra le altre cose, a sgravare fiscalmente i detentori di pacchetti azionari.
Complimenti!
* Candidato MPS al Consiglio di Stato e Gran Consiglio