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Si parla di abusi scrivendo di quelle persone e aziende che non pagano le imposte o tutte le imposte che dovrebbero, frodando il fisco ?

Si parla di abusi alludendo a quei datori di lavoro che non pagano l’AVS e le assicurazioni dei loro  impiegati?

Si parla di abusi  riferendosi a quei consigli d’amministrazione che per aumentare il beneficio delle loro imprese licenziano il personale ?

No, per quanto concerne queste azioni non si parla mai di abusi.

 

Si parla invece di abusi solo nell’ambito delle assicurazioni sociali e  in particolare a proposito di aiuto sociale, argomento al centro di questo articolo,  aiuto che – bisogna sottolineare  – permette comunque a malapena di vivere alle persone che lo ricevono.

Perché in questi ultimi anni si è cominciato a parlare  di abusi nell’ambito dell’aiuto sociale?

In questi ultimi anni si è manifestata sempre di più – nella stampa e nei discorsi di alcuni  esponenti politici – l’idea che dietro ogni persona che chiede aiuto si nasconda un furbo che non ne ha diritto, uno che vuole ingannare lo stato. E questo furbo bisogna smascherarlo.

Parafrasando il titolo di un film dei fratelli Cohen si potrebbe dire “il neo-liberalismo non è un periodo per poveri”!

Negli anni dopo la seconda guerra mondiale – quegli anni che gli economisti hanno definito i “trenta gloriosi” – l’economia dei paesi del Nord del mondo andava a gonfie vele. Le aziende avevano fatto abbastanza profitti da poter sopportare un aumento dei salari, permettendo ai lavoratori, alle lavoratrici e alle loro famiglie di migliorare in modo rilevante, rispetto ai decenni precedenti, le condizioni di vita. Questo aumento generale degli utili ha permesso anche allo stato di incassare più soldi,  destinandone una parte al sociale. Era l’epoca del Welfare, quando si misurava una società dal livello dell’aiuto sociale e dell’integrazione dei poveri. La società nel suo insieme riconosceva ad ogni persona il diritto di vivere bene e riteneva che ciò consolidasse la democrazia. In quel periodo pagare le imposte dovute e necessarie ai compiti dello stato era  una cosa normale e giusta.

Con l’avvento degli anni Settanta, il clima economico si è fatto meno sereno. L’obiettivo delle grandi imprese di salvaguardare i profitti ha avuto come conseguenza la diminuzione della loro partecipazione fiscale. Ha preso così piede una nuova politica fiscale,  quella del risparmio. Dopo aver diminuito le imposte con regali fiscali alle persone fisiche e giuridiche, ecco che si è sentita la necessità di risparmiare sulle  spese dello stato. Nell’aiuto sociale, questo tipo di risparmio implica controlli sempre più pignoli sui bisogni della persona, e aumenta la logica del sospetto.

L’assistente sociale, nello svolgimento normale del suo lavoro esegue già un controllo valido poiché, quando incontra la persona che ha bisogno d’aiuto, prende il tempo necessario per verificare con lei la situazione e valutare i suoi bisogni, per poi seguirla con incontri regolari. Con il continuo aumento delle domande d’assistenza, l’assistente sociale non può tuttavia più svolgere il suo lavoro come si deve. E’ perciò urgente un sensibile aumento di personale nell’ambito sociale affinché si possa affrontare la mole supplementare di lavoro e assicurare alle cittadine e ai cittadini tutti i loro diritti.

 

L’aiuto sociale è e deve rimanere un diritto e non ritornare ad essere un gesto caritatevole come nel  19° secolo.

 

* candidata MPS al Gran Consiglio e al Consiglio di Stato