Fa una certa impressione constatare come, per finire, punti di vista che si proclamano diversi, vedi alternativi, alla fine tendono, al momento di passare dalla “teoria” (si fa per dire) alla pratica, sposino tutti la stessa logica. Ne danno una piccola, ma significativa illustrazione, gli atteggiamenti e le proposte di Lega, PS e Verdi in materia di salari e occupazione.
Ha sollevato forti discussioni e critiche la decisione dell’impresa Barra (candidato per la Lega al Consiglio di Stato) di concedere adeguamenti salariali solo ai dipendenti residenti in Ticino, escludendo i frontalieri i quali, secondo l’impresa, già hanno beneficiato di un adeguamento salariale grazie all’evoluzione del cambio.
Molti, giustamente, hanno criticato questo modo di procedere che, sebbene possibile in base alle decisioni contrattuali – i datori di lavoro potevano procedere ad aumenti decidendo chi premiare nelle aziende, si basa tuttavia su una discriminazione. In questo caso una discriminazione nazional-residenziale nei confronti dei frontalieri (non solo nazionale, visto che anche tra i residenti che hanno ricevuto l’aumento vi sono molti stranieri). Una divisione, comunque, inaccettabile che persegue l’obiettivo padronale di dividere i salariati. Che Barra lo faccia non sorprende: è un padrone e persegue i suoi interessi. È un modo di fare, inoltre, conforme alle “teorizzazioni” del suo leader, Giuliano Bignasca, che da sempre teorizza la necessità di salari differenziati per frontalieri (evidentemente più bassi) e per residenti in Ticino. Che è proprio quello che sta succedendo e che costituisce la base della crescita del dumping salariale, cioè la spinta dei salari verso il basso.
Negli stessi giorni in cui, giustamente, criticavano questa pratiche, gli esponenti del PS vedevano giungere in Parlamento (ne discuterà definitivamente nella prossima seduta del 14 marzo), una loro proposta (primo firmatario il capogruppo Raoul Ghisletta) per l’introduzione di un’indennità di residenza di fr. 200.- mensili (fr. 2’400.- annui) per i dipendenti con figli a carico e di fr. 50.- mensili (fr. 600.- annui) per gli altri dipendenti. Un’indennità limitata, lo dice la parola stessa, ai soli residenti.
Si tratta in realtà di una vera e propria sorta di integrazione salariale, pagata attraverso un prelevamento generalizzato sui datori di lavoro; un aumento salariale che, agli occhi degli iniziativisti, dovrebbe permettere di recuperare il terreno perso, rispetto al resto della Svizzera, negli ultimi anni.
Ora, non vi sono dubbi che i salari meritino di essere aumentati e non vi sono dubbi che il padronato debba essere chiamato alla cassa. Da questo punto di vista non si discute la proposta. Ma perché di questo aumento non debbono beneficiare quegli oltre quarantamila lavoratori frontalieri che, ogni giorni, lavorano e soffrono, fianco a fianco dei lavoratori residenti? Inutile dire che questa proposta, al di là delle sue motivazioni, risente del clima di questi ultimi anni e del peso che le conseguenze degli accordi bilaterali fanno sentire sui salari e sulla percezione che gli indigeni hanno dei lavoratori frontalieri; sempre più sentiti come “nemici”, “usurpatori di posti di lavoro”, ecc. Ma queste proposte, come quella di Barra da un altro punto di vista, non fanno altro che rafforzare sentimenti di divisione tra i salariati, favorendo alla fin fine il padronato. Il quale, evidentemente, tradurrà proposte di questo tipo, se venissero accolte, alla propria maniera: cioè nella necessità di ricorrere ancor di più a manodopera frontaliera che, proprio per questa indennità di residenza che non le viene concessa, tenderà ad essere ancora più a buon mercato. Su un salario di 4’000 franchi mensili, 200 franchi rappresentano il 5%: non poco nel costo della manodopera!
In pieno delirio da prestazione elettorale non poteva non intervenire su questo punto Sergio Savoia. Il quale, pensando di essere più furbo degli altri, lancia una petizione con proposte, come sua abitudine, di assoluta genericità (tuttavia sempre presentate come se fossero concretissime). Tra le più evidenti quella di concedere sgravi fiscali alle aziende che assumono manodopera residente. Manodopera la cui assunzione deve essere incoraggiata, come indicato nella conferenza stampa di presentazione, a scapito della manodopera frontaliera. Il risultato di questa bella pensata è ancora una volta l’opposto del risultato che (osiamo sperare) pensavano di raggiungere Savoia e soci. Perché, in una realtà nella quale, per i due terzi circa dei posti di lavoro, non esiste alcun salario minimo legale, l’assunzione di manodopera residente non necessariamente ed automaticamente avviene a livelli salariali più alti rispetto ai salari pagati a manodopera frontaliera. Per cui, conclusione, non solo una ditta assumerà manodopera residente pagandola poco, o poco più di quanto avrebbe versato ad un lavoratore frontaliere; ma grazie agli incentivi fiscali il tutto gli costerà ancora di meno. Una dinamica, neanche a dirlo, che accelererà ulteriormente la corsa al dumping salariale e sociale.
Finiamola quindi con le scorciatoie. Cerchiamo di costruire una mobilitazione ed una resistenza la più ampia possibile contro il padronato che sfrutta i bilaterali per abbassare i salari di tutti, residenti e frontalieri, con il solo obiettivo di mantenere ed aumentare i profitti. Vi è, a livello federale, un’iniziativa (non brillante ma comunque accettabile) per introdurre un salario minimo legale. Una buona occasione per costruire, attorno ad essa, una vera e propria mobilitazione sociale. Tutto il resto è propaganda elettorale di bassa…lega
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