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E’ successo quel che doveva succedere: un nuovo “incidente”nucleare, maggiore. Al momento non si sa ancora con certezza se avrà le dimensioni catastrofiche di Chernobyl, ma è certo in questa direzione che le cose purtroppo sembrano evolvere. Ma indipendentemente dal fatto che la catastrofe sia grande o meno, di fatto questa è l’ennesima dimostrazione che la tecnologia nucleare non può mai essere sicura al 100 %.

I rischi sono così spaventosi che bisogna trarne una conclusione evidente: e cioè che è assolutamente necessario uscire dal nucleare, il più presto possibile! Questa è la prima lezione che possiamo trarre; ma la sua applicazione solleva questioni sociali e politiche assolutamente fondamentali che necessitano un vero dibattito nella società, una alternativa alla  cultura capitalista della crescita infinita. 

 

Una tecnologia pericolosa

 

Windscale nel 1957, Three Mile Island nel 1979, Chernobyl nel 1986, Tokai Mura nel 2000

ed ora Fukushima. La lista di incidenti nelle centrali nucleari continua a crescere e non può essere altrimenti. Non è necessario essere dottori in fisica per comprenderlo. Una centrale nucleare funziona un po’ come un bollitore elettrico.

Se non c’è più acqua nel bollitore e la resistenza si surriscalda, nasce un problema. E’ così anche nella centrale: le barre verticali di combustibile devono essere sempre immerse nell’acqua e la  fanno bollire. Il vapore prodotto fa lavorare le turbine che producono elettricità. La centrale consuma dunque grandi quantità di acqua e le pompe ne assicurano la circolazione.

Se le pompe non funzionano più, l’acqua manca e le barre surriscaldate si degradano. Se l’acqua non viene aggiunta rapidamente, il calore prodotto dalla reazione nelle barre è tale da fonderle  e farle cadere sul fondo della cisterna (che corrisponde all’involucro del bollitore). Questa cisterna è a sua volta racchiusa in una doppia protezione di sicurezza: il reattore di cui tutto il mondo conosce la struttura esterna, molto caratteristica. Se questa costruzione protettiva esterna non resiste al calore intenso delle barre in fusione e si incrina, la radioattività viene rilasciata nell’ambiente, con tutte le conseguenze mortali che ne derivano.

 

Una tecnologia fragile

 

La reazione che si produce in una centrale è una reazione a catena: si bombardano nuclei di uranio con i neutroni; assorbendo neutrone, il nucleo d’uranio si scinde in due e libera una grande quantità di energia: (questa è la fusione nucleare); contemporaneamente vengono liberati altri neutroni, ed ognuno di essi può provocare la fissione di un altro nucleo d’uranio. La reazione, una volta lanciata, continua da sola. L’unico modo per controllarla e controllarne la temperatura consiste nell’inserire tra le barre di combustibile barre composte da leghe in grado di assorbire i neutroni senza dare il via a una fissione della materia. Sarà così possibile raffreddare il cuore del reattore. Ma questo raffreddamento ha bisogno di tempo. Nel frattempo, le barre di combustibile devono essere a bagno nell’acqua, altrimenti rischiano di surriscaldarsi.

I fautori del nucleare ripetono senza sosta che il sistema è estremamente sicuro, in particolare perchè in caso di guasto della rete elettrica, le pompe possono essere alimentate in energia grazie a gruppi elettrogeni di soccorso. L’incidente di Fukushima dimostra che queste rassicurazioni non valgono gran che: con il terremoto, le centrali hanno scatenato automaticamente una reazione a catena, come è prevedibile in queste circostanze. Non vi era dunque più corrente per far funzionare le pompe. I gruppi elettrogeni che avrebbero dovuto mettersi in moto erano  purtroppo fuori uso, sommersi dallo tsumani. L’acqua di raffreddamento diventa insufficiente, il livello dell’acqua scende e le barre di combustibile rimangono scoperte per una altezza stimata da un metro e ottanta a più di tre metri (su un totale di 3,71 metri). Il surriscaldamento ha provocato un grande aumento di pressione ed una reazione chimica (elettrolisi dell’acqua di raffreddamento) da cui scaturisce l’idrogeno.  Per evitare un’esplosione della cisterna,  i tecnici hanno liberato vapore, ma pare che l’idrogeno sia esploso nel reattore, provocando il crollo della cupola dell’impianto ed il vapore si è sparso nell’atmosfera. Lo stesso scenario si è riprodotto in un secondo reattore.

 

Come Chernobyl

 

A causa dello tsumani era stata interrotta la distribuzione di acqua dolce; i tecnici hanno utilizzato acqua di mare. Molti specialisti americani hanno ritenuto che fosse una decisione dettata dalla “disperazione”. Secondo loro, evoca il tentativo vano di evitare la fusione del cuore del reattore di Chernobyl, quando gli esperti della centrale e gli eroici volontari hanno iniziato a versare sabbia e cemento sul reattore, rimettendoci la vita. La radioattività misurata a 80 km da Fukushima è già ora 400 volte superiore alle norme autorizzate. Sei giornalisti coraggiosi l’hanno misurata con computer Geiger nelle vicinanze del municipio di Futaba, situata a 2 km dalla centrale: la radioattività superava la capacità di misura dei loro apparecchi! Ad oggi, si stima che un cittadino giapponese riceve in un ora la dose di radioattività ritenuta accettabile in un anno.

Occorre tener conto del comunicato di “Sortir du nucléare” che specifica come “Queste informazioni confermano un livello di radioattività drammaticamente elevato in un perimetro esteso intorno alla centrale, le cui conseguenze sanitarie non possono essere altro che gravi”. Non pensiamo di essere esenti da ricadute : il caso Chernobyl ha dimostrato che una nuvola radioattiva può contaminare regioni molto vaste. Tutto dipende dalla violenza con la quale le particelle vengono immesse nell’atmosfera. Se le esplosioni sono molto forti, gli elementi radioattivi possono raggiungere le altitudini degli jet-stream, venti violenti che si scatenano ad altitudini estreme, nel qual caso le ricadute potrebbero avvenire in regioni molto lontane da Fukushima.

 

Due domande angoscianti

 

Questa radioattività proviene essenzialmente da due elementi: lo iodio 131 e il cesio 137. Tutti e due sono molto cancerogeni, ma il primo ha una durata di vita nell’atmosfera di circa 80 giorni, mentre il secondo resta radioattivo per quasi 300 anni. Domenica 13 marzo, sono state evacuate più di 200.000 persone. Le autorità hanno decretato una zona  vietata all’accesso di 20 chilometri, attorno al primo reattore di Fukushima, e di 10km attorno al secondo. La presenza di cesio 137 è particolarmente inquietante.

Oltretutto, mancano informazioni precise: la compagnia Tokyo Power (Tepco) e le autorità giapponesi  nascondono probabilmente una parte della verità. Le due domande più angoscianti sono quelle di sapere se la fusione delle barre è sotto controllo o se continua, e se la struttura di contenimento dove si trova la cisterna reggerà il colpo. Secondo Ken Bergeron, un fisico nucleare che lavora su simulazioni di incidenti nelle centrali, questa struttura “è sicuramente più solida che a Chernobyl, ma molto meno di Three Mile Islands”. Gli specialisti non nascondono le loro inquietudini: “ Se non riprendono il controllo su tutto, si passerà da una fusione parziale ad una fusione completa, e sarà un disastro totale” Ha dichiarato uno di loro (Le Monde, 13.3.2011).

Ma il peggio sarebbe la fusione del cuore del secondo reattore, quello esploso il 13 marzo. Il combustibile che vi si utilizza è il MOX, una miscela di ossidi di uranio impoverito e di plutonio 239. Questo plutonio 239 è di fatto una scoria riciclata del funzionamento della centrali classiche ad uranio. La sua radioattività è estremamente alta e la sua “half-life” (tempo di dimezzamento: il numero di anni necessari per la diminuzione a metà della radioattività) è stimata a 24’000 anni. I Giapponesi conoscono bene quest’ultimo elemento e le sue conseguenze terribili: la bomba termonucleare lanciata su Nagasaki alla fine della seconda guerra mondiale era a base di Plutonio 239…

 

Un rischio inaccettabile

 

Dopo la catastrofe di Chernobyl, i difensori del nucleare hanno spiegato che alla base dell’incidente vi erano la pessima tecnologia sovietica, norme di sicurezza insufficienti, e la natura fortemente burocratica del sistema. Tenendo conto delle loro opinioni sembrava che centrali basate sulla buona tecnologia capitalista e soprattutto nei nostri paesi “democratici,” dove il legislatore adotta ogni tipo di misura necessaria per la sicurezza, tutto ciò non sarebbe potuto succedere. Si vede oggi quanto questi discorsi non valgano nulla.

Il Giappone è un paese altamente tecnologico. Ben coscienti dei rischi sismici, le autorità giapponesi hanno imposto norme severe per la costruzione di centrali nucleari. Il redattore 1 di Fukushikma era dotato addirittura di un doppio dispositivo di sicurezza, con alcuni gruppi elettrogeni alimentati a nafta ed altri a batteria. Tutto è stato vano perché le tecnologie più sofisticate e le norme di sicurezza più ristrette non daranno mai una garanzia assoluta, nè contro le catastrofi naturali, nè contro possibili atti criminali di terroristi insensati (senza contare gli eventuali errori umani, sempre possibili). Si possono ridurre i rischi delle centrali nucleari, ma non si può sopprimerli totalmente. Se si riducono parzialmente, ma il numero delle centrali aumenta, come è il caso attualmente, il rischio assoluto può aumentare.

E’ importante sottolineare che questo rischio è inaccettabile perché è di origine umana, ed è quindi evitabile, e perché è il risultato di investimenti decisi da circoli ristretti, in funzione dei loro profitti, senza una vera consultazione democratica delle popolazioni. Scrivere che “le vittime degli incidenti (sic) nucleari  in Giappone  sono meno delle vittime causate dallo tsunami”, come si può leggere per esempio nell’editoriale di Le Soir (14 marzo) tende ad eludere la differenza qualitativa tra una catastrofe naturale inevitabile ed una catastrofe ecologica perfettamente evitabile. Aggiungere che “come tutti i processi industriali complessi, la produzione di energia partendo dall’atomo comporta una parte importante di rischio” (idem) tende anche ad eludere la specificità del rischio nucleare che consiste nel fatto che questa tecnologia ha la potenzialità di cancellare la specie umana dalla Terra. Occorre combattere senza tregua proposte di questo genere, che vengono effettuate sotto pressioni colossali, esercitate dalle lobby dell’atomo.

 

Il rischio che anche noi…

 

Se gli specialisti non nascondono la loro grande inquietudine, i politici dimostrano la loro ottusità. Interrogato nel pomeriggio del 12 marzo, il ministro francese dell’industria, Besson affermava che ciò che succedeva a Fukushima costituisce “un incidente grave, non una catastrofe”. Per giustificare la sua politica pro nucleare, il segretario britannico per l’energia, Chris Huhne, non trovava di meglio che sottolineare che il Regno Unito è a basso rischio sismico, aggiungendo che si trarranno spunti da ciò che succede nel paese del Sol levante, di modo che la sicurezza migliorerà ancora…Questi argomenti pietosi vengono utilizzati  –  con qualche variante – da tutti i governi che hanno deciso sia di mantenere i loro programmi legati all’atomo (la Francia al primo posto) sia di convertirsi (l’Italia), sia di rimettere in causa le decisioni di uscire dal nucleare prese dopo Chernobyl dietro pressioni dell’opinione pubblica (Germania, Belgio), con l’obiettivo di impedire il panico e che una nuova mobilitazione delle coscienze ostacoli la realizzazione su scala mondiale dei piani di sviluppo del nucleare.

 

Questi argomenti non sono convincenti. In Europa occidentale, in particolare, la paura è più che legittima. In Francia, paese leader nel settore dell’energia nucleare, i reattori non rispettano le norme sismiche di riferimento. Secondo “Sortir du nucléare” EDF è giunta al punto di falsificare i dati sismologici per evitare di doverli riconoscere ed investire almeno 1,9 miliardi di euro per rimettere i reattori a norma di legge. Recentemente i giudici hanno rifiutato la domanda di chiusura della centrale nucleare di Fessenheim (in Alsazia), la più vecchia centrale francese, pur essendo situata in una zona a rischio sismico elevato. In Belgio, le centrali di Doel e di Tihange sono concepite per resistere a terremoti di magnitudine da 5,7 a 5,9 sulla scala Richter, anche se dal 14mo secolo, la regione ha subito tre terremoti di magnitudine superiore a 6.

Precisiamo che non vi è più un numero di ingegneri che dispongano di una formazione sufficientemente avanzata per la gestione di una centrale e che il piano di urgenza nucleare prevede solo una zona di evacuazione di 10 km attorno alle installazioni, totalmente insufficiente. Ulteriore motivo di preoccupazione è che si cerchi di prolungare la vita delle istallazioni. Si tende a farle durare 50 anni mentre già oltre i 20 gli incidenti si moltiplicano. E così che a causa dell’invecchiamento, diciannove reattori francesi presentano anomalie non risolte del sistema di raffreddamento di soccorso…proprio quello che non ha più funzionato in Giappone.

 

Una scelta della società

 

Bisogna uscire dal nucleare, definitivamente e il più in fretta possibile. Tecnicamente è perfettamente realizzabile ed occorre qui ricordare che l’efficienza del nucleare è molto mediocre (i due terzi dell’energia si dileguano sotto forma di calore). Il dibattito è soprattutto politico, un dibattito della società che, in ultima analisi, pone anche una scelta di civilizzazione. Ecco il problema: occorre uscire dal nucleare ed abbandonare contemporaneamente i combustibili fossili, causa principale degli sconvolgimenti climatici.

Nel giro di appena due generazioni, le energie rinnovabili devono diventare la nostra sola fonte energetica.

Certo, il passaggio alle rinnovabili necessita di investimenti giganteschi, che richiedono energia e fonti di gas ad effetto serra supplementare. In pratica, la transizione energetica è realizzabile solamente se la domanda finale di energia diminuisce drasticamente, almeno nei paesi capitalisti sviluppati. In Europa dovrebbe essere del 50% entro il 2050. Una diminuzione di questa portata non è possibile senza una riduzione significativa della produzione materiale e così pure dei trasporti. Bisogna produrre e trasportare di meno, altrimenti l’equazione sarà insolubile. Sarà insolubile per il sistema capitalista, perchè la corsa al profitto, sotto la spinta della concorrenza, implica inevitabilmente la crescita, in altri termini l’accumulazione del capitale, che si traduce in una massa di merci sempre in crescita e quindi, su una pressione sempre maggiore sulle risorse.

Per questa ragione tutte le risposte capitaliste alla sfida climatica fanno capo a tecnologie da apprendista stregone, di cui il nucleare è il fiore all’occhiello. Lo scenario energetico “bluemap” dell’Agenzia Internazionale dell’Energia ne è un esempio: propone di moltiplicare per tre il parco nucleare entro il 2050; il che implicherebbe la costruzione ogni settimana di una centrale di una Gigawatt. Pura e semplice follia!

Urge più che mai un’alternativa a questo sistema infernale, che implica la riduzione radicale del tempo di lavoro senza diminuzione di salario, con offerte di lavoro adeguate e diminuzioni delle cadenze lavorative: per produrre meno occorre lavorare meno e farlo redistribuendo le ricchezze. Implica anche la proprietà collettiva dei settori dell’energia e della finanza, perché le rinnovabili sono più care delle altre fonti e lo resteranno per una ventina di anni, almeno. Implica una pianificazione a tutti i livelli, dal locale al globale, per conciliare i diritti allo sviluppo del Sud e la salvaguardia degli equilibri ecologici. In fin dei conti, implica anche la realizzaione del progetto eco-socialista di una società che produca per soddisfare bisogni umani reali, determinati democraticamente, nel rispetto dei ritmi e dei funzionamenti degli eco-sistemi.

Senza questa alternativa, la crescita capitalista provocherà sempre più catastrofi, senza soddisfare i bisogni sociali. Questa è la terribile lezione di Fukushima.

 

Articolo apparso sul giornale belga La Gauche (edito dalla LCR, sezione belga della IV Internazionale) lo scorso 14 marzo. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.

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