La questione della violenza è tema di campagna elettorale che molti cavalcano senza ritegno.
Naturalmente nemmeno una parola viene spesa per una delle forme di violenza quotidianamente più diffuse. Ci riferiamo alla violenza sulle donne, questione ormai purtroppo vecchia, quasi come il mondo.
Proprio recentemente la polizia cantonale ha diramato alcune cifre sugli interventi fatti in questo ambito, dimostrando, per l’ennesima volta, come la violenza domestica sia una realtà che tocca un numero importante di donne. È noto quanto sia difficile elaborare delle statistiche anche perché la maggioranza dei casi passa inosservata e sotto silenzio. Sembrerebbe comunque che una donna su cinque subisce violenza almeno una volta nella vita e l’80% di queste violenze viene esercitata dal partner o convivente.
A questo punto si tratta di analizzare quali le sono misure che il cantone ha messo in atto per la protezione delle vittime. E in questo ambito il bilancio è tutt’altro che positivo. Dal 1° gennaio 2008 la Polizia cantonale può ordinare l’immediato allontanamento, dalla propria abitazione e proibirne il loro ritorno, alle persone che usano violenza nell’ambito familiare.
L’allontanamento dura massimo 10 giorni. Una misura che, se da una parte garantisce un minimo di tranquillità alle donne che trovano il coraggio di denunciare la loro situazione, dall’altra, da sola, non permette certo di proteggere a lungo termine le vittime. Non è ben chiaro cosa avviene in questo periodo in cui il coniuge violento viene allontanato, quali interventi siano previsti per sostenere le donne in questo delicato e, molto spesso, difficilissimo momento.
In secondo luogo appaiono del tutti insufficienti gli strumenti e i mezzi che il cantone mette a disposizione per aiutare le donne a ricostruirsi una vita lontane dalla violenza domestica. Basti pensare che in Ticino esistono due strutture di accoglienza delle donne maltrattate che contano, in tutto, 14 posti letto atti a ospitare sia le donne che i loro bambini. Oltre a questo esiste una rete di consultori e servizi che cercano di sostenere le donne nella ricerca di un’abitazione, di un lavoro e di una vita lontana dalla violenza, ma che, a loro volta, non dispongono dei mezzi necessari per svolgere in maniera adeguata questo difficile compito.
Appare quindi necessario e urgente, in primo luogo, potenziare, con investimenti pubblici sia in termini di strutture che di personale, questi servizi di aiuto e di sostegno alle vittime della violenza. Solo in questo modo si potrebbe del resto garantire alle donne una sicurezza tale da permetterle di trovare il coraggio di denunciare queste situazioni.
Questo è vero per tutte le donne e in particolare per le donne immigrate che, verosimilmente, si trovano in una situazione di doppia difficoltà e più difficilmente possono contare sul sostegno di una rete famigliare o sociale, molto spesso assente. Accanto a questo si deve garantire che chi usa violenza sia perseguito e giustamente punito, si deve uscire dalla perversa idea che la donna deve provare di aver subito violenza e battersi per invertire invece l’onere della prova: è chi ha usato violenza che deve dimostrare eventualmente di essere innocente, non la vittima che deve ancora subire una seconda violenza dovendo portare la prova della situazione subita.
* candidata MPS al Gran Consiglio e al Consiglio di Stato