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 Al momento in cui scriviamo queste righe non è ancora chiaro come andrà a finire la discussione in  Gran Consiglio sulla riforma della Legge cantonale sull’assicurazione malattia; una riforma legata alla necessità di adeguare la legge cantonale alla nuova normativa  federale che prevede il finanziamento pubblico delle spese ospedaliere nella misura del 55% anche per gli istituti privati riconosciuti nell’ambito della pianificazione ospedaliera di ogni cantone.

 

 

Sull’ultimo numero del nostro giornale avevamo pure spiegato come questa riforma del finanziamento sia legata alla introduzione di un altro meccanismo, il

sistema SwissDRG (acronimo del nuovo sistema tariffario Swiss Diagnosis Related Group). Con questo sistema l’ospedale riceve per ogni prestazione ospedaliera relativa ad una determinato caso un importo fisso (forfetario).

L’obiettivo di questa riforma, e di questi meccanismi, è quello di costruire un sistema sanitario fondato sulla concorrenza e sulla logica del mercato.

 

Prima la pianificazione

 

In realtà i cantoni avrebbero  un certo spazio nell’applicare il nuovo sistema di finanziamento. Non solo potrebbero porre parecchie condizioni relative al personale impiegato (la sua qualificazione, la sue mansioni, il rapporto tra personale qualificato e non, ecc.), ma anche alla remunerazione di questo personale. In particolare la stipulazione di un contratto collettivo di lavoro unico (oggi, ad esempio, in Ticino vi sono due diversi contratti, uno per il settore privato e uno per quello pubblico, con importanti differenze).

Ma al di là di questi importanti e decisivi aspetti relativi alle condizioni del personale, ve ne sono altri che avrebbero dovuto avere la preminenza prima di lanciarsi in un dibattito dal quale rischiano di uscire vincitori, ancora una volta, i difensori della medicina privata.

Il DSS (ed il governo) hanno deciso di adeguare le norme cantonali (fissando una serie di parametri finanziari) prima di procedere alla nuova pianificazione ospedaliera. Questa avverrà solo nel 2014, a bocce ormai ferme per quel che riguarda modi e quantità del finanziamento pubblico degli ospedali (pubblici e privati).

Procedere in questo modo avrebbe permesso di concentrarsi su quella che è una vera e propria anomalia nel sistema sanitario ticinese: la presenza massiccia delle cliniche private (il 41% del totale dei letti riconosciuti nell’ambito della pianificazione ospedaliera cantonale); una percentuale quasi tripla rispetto a quella nazionale.

 

Un accordo fragile…

 

Si è invece preferito agire in un altro modo: tentare di bloccare la presenza degli istituti privati mettendo un limite massimo alle prestazioni sanitarie che ogni istituto può erogare e facendo di questo punto la base di un accordo tra liberali e PS. Accordo simbolizzato dal fatto che i due relatori fossero congiuntamente Merlini e Ghisletta.

Ma simili accordi, e con che alleati!, mostrano subito il loro limite. Ed in effetti l’offensiva del settore privato (per la penna della pipidina Mimi Lepori Bonetti) non si è fatta attendere e si è concretizzata subito in un emendamento del liberale Del Bufalo che chiedeva di eliminare questo limite.

È probabile che l’esito del voto in Parlamento faccia saltare questo accordo: tra leghisti, liberali e pipidini vi è sicuramente una maggioranza che vuole a tutti i costi che questa riforma si traduca in un ulteriore sostegno al settore privato.

 

Basta un referendum?

 

Il PS, che rischia di vedere la propria strategia minimalista (si è in realtà rinunciato ad altre importanti rivendicazioni pur di trovare l’accordo sul limite massimo alle prestazioni) fallire.

E così, come già annunciato, non gli resterà che ricorrere al referendum contro l’eventuale decisione del Parlamento.

Un referendum sacrosanto, non ci sono dubbi; ma che, per non essere fatica sprecata, necessita un mutamento radicale della strategia nei confronti del settore privato.

Una strategia che in passato ha visto i social-liberali spesso compiacenti verso il settore privato. Come non ricordare, per non fare che un esempio, che fu proprio Pietro Martinelli a ritirare il messaggio, ormai in fase di approvazione, per la costruzione di un cardiocentro inserito nel quadro dell’Ente Ospedaliero a vantaggio di un’iniziativa privata che poi si è rivelata, almeno dal punto di vista del finanziamento, non priva di ambiguità?

Una decisione che, non si può negare, non ha fatto che aumentare il peso e l’influenza delle strutture ospedaliere private.

Lo ripetiamo: solo se inserito in una prospettiva di una decisa lotta in direzione di un ridimensionamento del settore ospedaliero privato il lancio di un eventuale referendum potrebbe avere un senso. Altrimenti sarà, come detto, fatica sprecata e non modificherà, nemmeno se vittorioso, il sostanziale rapporto di forza a favore delle strutture ospedaliere private.