Recentemente il Consigliere di stato uscente Gabriele Gendotti commentava in modo entusiasta la revisione della legge sulla scuola che prevede l’obbligo per i comuni di permettere a tutti i bambini di tre anni l’accesso alla scuola dell’infanzia. Nel caso in cui non ci dovessero essere posti disponibili presso le strutture comunali, sarà sempre compito dei comuni trovare soluzioni e assumersi i costi di un eventuale trasferimento dei bambini in sezioni di altri comuni.
A prima vista la cosa è sicuramente positiva, in effetti sono molti i bambini di tre anni che ancora oggi non trovano posto nelle scuole dell’infanzia e questo avviene soprattutto nei grandi centri.
Ma il problema non può essere risolto solamente da un generico vincolo legislativo.
I comuni devono essere messi nelle condizioni non solo di poter offrire un posto a tutti i bambini, ma anche di fare in modo che questa offerta sia di qualità e rispetti le esigenze e i bisogni dei bambini più piccoli. E’ impensabile continuare a gestire la scuola dell’infanzia con sezioni di 24/25 bambini e una sola insegnante che, se lavora in una struttura dove esiste la mensa, non dispone nemmeno della pausa pranzo. Le insegnanti infatti mangiano insieme ai bambini e devono gestire da sole il delicato momento del pasto.
Inoltre si sa che la scuola dell’infanzia, così come concepita, non si presta necessariamente ad accogliere in maniera adeguata i bambini di tre anni. Se, come è giusto, si vuole garantire a tutti a partire dai tre anni la possibilità di frequentare la scuola dell’infanzia è necessario riformare questa stessa struttura, creare sezioni più piccole, con più maestre che possono permettere di far seguire ai bambini la giornata con ritmi diversi in base alle loro esigenze e con orari e ritmi adeguati.
Diventa inoltre necessario garantire a chi si occupa dei bambini in questa estremamente delicata e importante fascia di età condizioni di lavoro e di salario adeguati.
Una vera politica in favore del potenziamento della scuola dell’infanzia necessita di investimenti importanti e non può essere risolta unicamente con una modifica di legge che, se applicata senza i necessari sostegni, rischia solo di diventare un ulteriore peso per chi nella scuola dell’infanzia ci vive: bambini costretti a frequentare la scuola dell’infanzia in altri comuni rispetto a quelli di residenza, maestre oberate di incarichi e responsabilità e bambini non adeguatamente seguiti, e così via..
E questo discorso vale poi per tutti gli ordini scolastici. La scuola è diventato uno dei temi caldi della campagna elettorale, ma a farla da padrone è il dibattito, in vero poco interessante, sulla laicità della scuola. In realtà una scuola laica, come abbiamo già avuto modo di dire, non significa ancora una scuola pubblica e di tutti. Se vogliamo difendere la scuola pubblica non bastano i proclami, ma è necessario investire in maniera importante per migliorare le condizioni di formazione, intervenendo prima di tutto sul numero di allievi per classe e sul numero e il tipo di materie insegnate, e sulle condizioni di lavoro degli insegnanti. Il DECS in questi anni ha fatto esattamente il contrario. Il Ticino è uno dei cantoni che investe meno nella scuola, che ha il numero di allievi per classe più elevato e dove esiste ancora un’importante selezione socioeconomica degli allievi. Già questo ultimo elemento è illuminante sul fatto che la scuola non è proprio “di tutti”! Per non parlare poi della politica relativa alle condizioni di lavoro dei docenti che in questi anni sono solo peggiorate: basti pensare all’introduzione dell’abilitazione a tempo pieno, alla riduzione di stipendio per i nuovi assunti, all’aumento dell’orario di lavoro o al peggioramento della cassa pensione. E poi ci si stupisce del fatto che sia così difficile reperire persone che vogliano fare l’ insegnante…
* candidata MPS al Gran Consiglio e al Consiglio di Stato