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La maggioranza dei programmi politici dei principali partiti che concorrono alle elezioni cantonali del prossimo 10 Aprile puntano a migliorare la competitività delle aziende, ad una politica fiscale che favorisca la loro concorrenzialità, all’amnistia fiscale e ad una politica di rigore e austerità nella spesa sociale.

 

Bastano questi punti per comprendere come anche in Ticino la lezione tratta dall’ultima crisi economica, scoppiata nel 2008, non sia stata compresa e che ci aspetta un’altra legislatura dove saranno di nuovo i salariati e le salariate ticinesi a farne le spese. L’attenzione dell’economia per i numeri svela l’interesse di classe di chi “ci governa”. La crescita economica, tanto osannata da tutti i politici, passa attraverso tagli alle spese sociali e sgravi fiscali per quelle aziende che hanno licenziato circa 15’000 salariati e salariate in Ticino e continuano a macinare utili, con la speranza che queste ultime investano in attività produttive creando occupazione.

In realtà, i dati a nostra disposizione smentiscono l’effetto positivo degli sgravi fiscali sull’occupazione. Infatti, in Svizzera negli ultimi tre anni la quota dei profitti è aumentata del 30% mentre la disoccupazione è cresciuta del 10% e il patrimonio netto dei super-ricchi è aumentato di 21 miliardi solo nell’ultimo anno. Lo strumento degli sgravi fiscali, che sottrae gettito fiscale alle casse dello Stato e che è stato uno degli elementi che hanno contribuito all’esplosione dei debiti sovrani in tutta Europa, non è utilizzato dalle imprese per gli investimenti in strutture produttive ma serve in sostanza a mantenere intatti i saggi di profitto e a distribuire dividendi agli azionisti. Le aziende tendono sempre di più ad investire nel settore finanziario per un motivo molto semplice: è più redditizio. Le conseguenze della crisi economica, come la compressione salariale e l’esplosione della disoccupazione, compromettono la domanda aggregata. Le aziende perciò non hanno mercato in cui vendere i propri prodotti.

Queste sono le contraddizioni o i paradossi da cui il sistema capitalista e le politiche neoliberali non sembrano poter uscire. Noi pensiamo che per uscire davvero dalla crisi economica occorre un’economia che risponda ai reali bisogni della stragrande maggioranza della popolazione e che ridefinisca la redistribuzione della ricchezza a favore di chi questa ricchezza la produce: salariati e salariate. Considerando che lo Stato è il maggior datore di lavoro nel Cantone Ticino, bisogna potenziare il collocamento pubblico, favorire la costruzione di alloggi a pigione moderata e raddoppiare i posti di tirocinio nell’amministrazione cantonale e nelle aziende pubbliche e para-pubbliche. Inoltre, bisogna introdurre al più presto un salario minimo legale di 4’000 franchi mensili (per 13 mensilità) che possa fermare il dumping salariale e sociale ormai dilagante; rafforzare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici sui luoghi di lavoro  introducendo il divieto di licenziamento per motivi economici e il diritto alla riqualificazione professionale pagata per coloro che non trovano un posto di lavoro; riformare il sistema sanitario introducendo una cassa malati federale unica con i premi calcolati in base al reddito.

I soldi per finanziare questi progetti ci sono. Evidentemente bisogna andare nella direzione opposta rispetto agli sgravi fiscali. Aumentare al 15% l’aliquota sugli utili e raddoppiare quella sul capitale per le persone giuridiche, reintrodurre la tassa di successione a tutti i livelli e abolire le tassazioni forfetarie che favoriscono i ricchi. Se ci fosse una reale volontà politica in questo senso, in Ticino queste misure potrebbero facilmente essere adottate. Purtroppo questa volontà politica non esiste! Il governo ticinese in questi anni ci ha mostrato chiaramente da che parte sta: non certo dalla parte dei lavoratori. Il cosiddetto piano anti-crisi varato nel 2009 è emblematico in tal senso. Esso è stato persino definito “pacchetto keynesiano”, nonostante i 90,4 milioni messi a disposizione dal Cantone per il triennio 2009-2011, 65,8 dei quali a carico del Cantone mentre i restanti 24,6 finanziati da terzi,  rappresentassero solo il 0,25% del Pil.  Di questi 90 milioni, 28,5 milioni (quasi la metà del contributo cantonale) sono sgravi fiscali per le aziende. Togliendo i 30 milioni devoluti a Banca Stato per favorire il credito privato (quindi l’indebitamento) e altre somme esigue per gli investimenti edili e gli incentivi alla rottamazione, restano 17 milioni, circa 5,5 milioni all’anno, per alcuni provvedimenti in ambito ambientale, sociale e formativo. Un dato che ci permette di denunciare la responsabilità nella gestione della crisi economica da parte del governo ticinese e che ci mette in guardia dalle future misure di austerità post-elettorali che colpiranno salariati e salariate. Questa tendenza ci impone la costruzione di un movimento di opposizione extra-parlamentare che rivendichi il diritto al lavoro e allo studio per tutti i cittadini di questo Cantone. Un’alleanza che dovrà essere necessariamente multilaterale, composta da studenti, pensionati e lavoratori: le vere vittime di questa crisi.    

 

* Candidato  al Gran Consiglio per la lista MPS-PC