La mancata acquisizione di un terreno industriale nella regione del piano di Magadino, in vista di un investimento industriale, ha suscitato le proteste del patron del gruppo orologiero Swatch. Hayek junior ha lamentato una certa mancanza di dinamismo nel promuovimento industriale in Ticino, costretto da limiti legali e burocratici che ne ostacolerebbero l’attività.
Tutto questo ha poi suscitato diverse reazioni. Da un lato i soliti ultra-liberisti a rincarare la dose (il promuovimento industriale non rappresenterebbe altro che un ostacolo alla libera iniziativa) immaginando un servizio il cui unico criterio dovrebbe essere quello di assecondare, senza discussioni, le volontà e le richieste delle imprese; dall’altro i promotori di un promuovimento “intelligente” che punterebbe sulla “qualità” degli insediamenti industriali, lavorando di più sul lungo termine e limitandosi ad una funzione di “consulenza attiva” nei confronti delle imprese.
In realtà, come sempre, il dibattito evita le questioni di fondo. La verità relativa alle decisioni di insediamenti industriali è in realtà molto più prosaica di quanto non vogliamo farci intendere molti ragionamenti e possiamo ridurla ad un solo termine: profitti!
Certo, le cosiddette “condizioni quadro” sono importanti per un insediamento industriale: ma non perché permettono di produrre meglio e in condizioni migliori, ma semplicemente perché permettono di produrre e di generare profitto al meglio. È questo l’aspetto fondamentale di qualsiasi decisione imprenditoriale. Nessun imprenditore viene in Ticino perché ha una particolare simpatia per il Cantone, per la sua popolazione, per la sua cultura: ma semplicemente perché vi ritrova le condizioni migliori per generare il massimo profitto.
Una prova concreta ce la fornisce proprio la Swatch che negli ultimi anni si è assai sviluppata in Ticino, in particolare nell’assemblaggio (quello di Genestrerio è, unitamente a quello di St. Imier, uno dei maggiori centri mondiali di assemblaggio di tutto il gruppo Swatch). E non è escluso che il gruppo voglia ulteriormente svilupparsi in Ticino (recentemente ha acquisito il controllo di una nuova azienda e, come testimoni la polemica alla quale abbiamo accennato all’inizio di questo articolo, cerca nuove occasioni di insediamento).
Ma qual è la molla fondamentale di questa scelta “ticinese”? Semplice: livelli salariali più bassi del resto della Svizzera, manodopera disponibile in grande quantità (quasi tutta la manodopera del settore è frontaliera) e pronta a lavorare a salari inaccettabili per qualcuno che deve vivere in Ticino.
Il settore orologiero è retto da un contratto collettivi di lavoro (CCL) che prevede la pattuizione individuale del salario. In poche parole è l’accordo tra singolo lavoratore e datore di lavoro a fissare il salario. Prevede tuttavia che sindacati e padronato a livello regionale possano fissare salari d’entrata minimi (validi, tuttavia, solo per le aziende che sottoscrivono il contratto collettivo).
Questi salari minimi d’entrata variano tra i 3’200 franchi mensili lordi (Giura Bernese) e i 4’300 fr. di Neuchâtel). Unica eccezione il Ticino dove vige un salario d’entrata di 2’400 franchi mensili. Il che significa che un lavoratore in Ticino (e sempre ammesso che faccia parte di un’azienda firmataria del CCL) costa il 25% in meno del lavoratore meno caro nel resto della Svizzera. Come, ad esempio, nei due centri di assemblaggio del gruppo Swatch che abbiamo citato qui sopra.
Eccola dunque da dove viene la disponibilità di Hayek e soci a voler aumentare la propria presenza industriale in Ticino. E il loro nervosismo per la mancata messa a disposizione di terreni per i loro investimenti viene solo dal fatto che, di fronte ad una domanda mondiale ancora in forte espansione, il ritardo di insediamento costa al gruppo orologiero in termini di minori profitti.
Dubitiamo che lo sviluppo industriale del Ticino passi attraverso tali “benefattori”: sono solo sfruttatori, come sempre, della situazione di frontiera. Come è stato per l’industria dell’abbigliamento, come è stato per l’industria orologiera locale degli anni ’60. Come è stato, nel passato recente, per gli insediamenti del settore della logistica (quella delle grandi firme come Gucci) tutto costruito su bassi salari e lavoro precario (è in quel settore che le agenzie estere di lavoro interinale hanno spopolato).
Ancora una volta il problema salariale, del dumping salariale, resta la questione centrale per il Ticino.