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Tokyo ha riconosciuto che l’incidente di Fukushima è stato di “livello 7”, ma solo una volta passate le elezioni locali. Quanto alle autorità nucleari internazionali, queste pretendono che la crisi nipponica non ha nulla a che fare con quella di Tchernobyl di 25 anni fa. I calcoli politici hanno ancora una volta il sopravvento sui diritti dei cittadini all’informazione, alla protezione e alla democrazia.

 

Pensavate che la valutazione della gravità di un incidente nucleare fosse rigorosamente scientifica? Avete torto; è (anche) un affare squisitamente politico. Così, è solo dopo le elezioni locali del 10 aprile che il governo giapponese ha riconosciuto che quello di Fukushima Daiichi raggiungeva il “livello 7”, il più alto sulla scala INES.

 

Tokyo aveva innanzitutto annunciato, contro ogni evidenza, che si trattava di un incidente di livello 4 (che non produce che “fuoriuscite minori di materie radioattive che non esigono probabilmente la messa in opera di contromisure in più della sorveglianza degli alimenti locali”). Questa classificazione è stata mantenuta dal 12 al 18 marzo, durante tutta la fase di fuoriuscite intense di radioattività (fuoriuscite di gas, esplosioni, incendi,…)! Dopodiché, Tokyo ha a lungo preteso che non superasse il livello 5 (vale a dire fuoriuscite radioattive “limitate”). Questa successione di menzogne non ha impedito al partito di governo di perdere le elezioni locali (parò, la sua sconfitta avrebbe potuto essere ancora più cocente se la verità fosse stata detta prima). Il governo deve ora preparare la popolazione a una crisi nucleare duratura: l’impresa responsabile del sito, Tepco, annuncia infatti –senza garanzie!- che le ci vorranno dai 6 agli 8 mesi per chiudere definitivamente la centrale (nessuna sa nulla del tempo necessario per lo smantellamento degli impianti).

 

Le autorità nucleari francesi, facendo finta di giocare la carta della trasparenza, fanno credere da tempo che l’incidente di Fukushima era di livello 6. Invece, al posto di riconoscere la franchezza tardiva dei loro omologhi giapponesi, oggi giocano a fare i precisini…

 

Tutto è simbolico. Nessuno “visualizza” cosa significa un livello 6 di gravità (“più di 5 e meno di 7” ha sottilmente risposto un esperto interrogato a questo proposito in televisione). Si può dunque continuare a sperare che la “catastrofe” sarà evitata. Invece il livello 7 evoca immancabilmente Tchernobyl. Così bisogna ammettere che la catastrofe è presente; e questo fin dai primi giorni.

 

Significa anche ammettere che una catastrofe nucleare può anche verificarsi in uno dei paesi tecnologicamente più avanzati del mondo…

 

Per quanto possano essere imperfette, le informazioni fornite dal Giappone giustificano pienamente la riqualificazione dell’incidente al livello 7 della scala INES. Pertanto, a dimostrazione dell’importanza che accorda a questa questione la lobby nucleocrata, l’Associazione internazionale della sicurezza atomica (AIEA) si è mobilitata. L’ammissione di Tokyo è stata seguita da un’autentica offensiva mediatica per dire che non si poteva paragonare Fukushima a Tchernobyl, dato che la radioattività rilasciata fino ad oggi (e domani?) non sarebbe che il 10% di quanto successo nel 1986.

 

È molto difficile paragonare i livelli di emissioni quando le cifre ufficiali, oltre a essere incomplete, sono poco credibili. Le autorità nipponiche non hanno comunicato i calcoli e le ipotesi sulle quali si fondano le loro conclusioni. Solo le emissioni atmosferiche sono state prese in conto e non le emissioni marine. La virulenza della radiotossicità non può essere stimata, dato che sono presi in considerazione troppo pochi radioelementi. È veramente importante che in Giappone diverse associazioni possano effettuare misurazioni indipendenti, come viene fatto in Francia dal Criirad. Le reti antinucleari nel mondo dovrebbero aiutarli a dotarsi della strumentazione necessaria.

 

Ciò detto è evidente che, da diversi punti di vista, quanto avvenuto a Fukushima è più grave di quanto successo a Tchernobyl. Perché implica, nel contempo, quattro reattori e non uno solo (uno scenario mai previsto dalle autorità internazionali). Perché il tonnellaggio del combustibile nucleare presente nelle istallazioni di Fukushima è molto più importante (1760 t contro le 180 t del reattore 4 di Tchernobyl). Perché non può essere imputato a degli ingegneri apprendisti stregoni (come è stato fatto nel 1986). Perché ha smentito tutte le garanzie date sui rischi incorsi (la possibilità di un terremoto di magnitudo 9 in questa parte del Giappone era stata esclusa). Perché dura più a lungo – e continua a emettere radioattività. Perché si produce 25 anni dopo l’esperienza traumatica di Tchernobyl, in una centrale che si pensava molto più sicura – e in Giappone e non in uno stato in crisi come l’Ucraina sovietica di allora.

 

Mentendo per un mese sulla gravità dell’incidente, il governo giapponese non ha preso, quando avrebbe dovuto, misure di protezione della popolazione e dei lavoratori che sono intervenuti sul sito. Annacquando il dibattito le autorità nucleari francesi e internazionali tentano di impedire ogni reale discussione sulla politica energetica. Un’autentica negazione di diritto all’informazione a alle scelte democratiche. Ecco i veri problemi.

 

Il 3 aprile, il milante Kazuyoshi Sato si è indirizzato a un presidio non lontano dalla centrale in crisi. “Mi sono investito 20 anni fa nella Rete di Fukushima per la denuclearizzazione; ed eccoci oggi confrontati a una catastrofe nucleare in corso”. Non vogliamo dover dire la stessa cosa davanti ad altre centrali, in Francia, in Giappone o altrove. Bisogna uscire dal nucleare. Adesso!

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