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Non vi sono dubbi che l’avanzata della destra populista (Lega, ma anche una parte degli eletti PPD e PLRT) sia il dato incontrovertibile delle elezioni cantonali del 10 aprile. Un’avanzata fatta, soprattutto, a spese di dei social-liberali, usciti frastornati da questo appuntamento.

 

Risultati chiari

 

Il ragionamento va prima di tutto fatto sui voti, sulle schede depositate nelle urne che, al di là del valore che possa oggi essere dato ad un appuntamento come quello elettorale (sempre più deformato e deformante rappresentazione della realtà politica e sociale). E i dati sono chiari. Per il Parlamento cantonale il PLRT perde più di 4’500 schede,  il PS oltre 4’000, il PPD quasi 3’000; dall’altra parte sono la Lega  a guadagnare (circa 7’000 schede) e i Verdi (circa 3’700 schede). 

Si `trattato di un cambiamento chiaro di orientamento di una parte cospicua dell’elettorato che ha voltato le spalle ad alcuni partiti per sostenerne altri. Affermare, come ad esempio ha fatto il presidente del PS Bertoli che una parte dei voti persi dal suo partito sono rimasti nell'”area progressista” perché sarebbero andati ai Verdi, significa chiudere gli occhi davanti ad una realtà invece chiarissima: e cioè che si tratta di un voto che “punisce” in qualche modo i partiti che si sono  identificati, in modo più o meno marcato, con la linea perseguita in questi anni dal governo.

 

Un crisi sociale profonda e risposte “securizzanti”

 

Lo abbiamo già detto durante la presentazione della campagna e durante la campagna stessa.  La Lega è stata capace di giocare su due aspetti. Da un lato ha continuato la campagna sui bilaterali dando al suo “no” un aspetto sempre più xenofobo, attaccando frontalmente i frontalieri, e gli stranieri più in generale, rei di “rubare” il lavoro ai giovani ticinesi. La crescita importante del numero dei lavoratori frontalieri, dei lavoratori distaccati e dei lavoratori interinali stranieri, unitamente all’aumento della disoccupazione in Ticino, non poteva che alimentare questa campagna. Una campagna che, nella versione “Bala i ratt” dell’UDC ha preso una piega fortemente xenofoba. Una campagna apertamente xenofoba alimentata con il sentimento anti-italiano presente nella richieste relative al blocco dei ristorno dei contributi fiscali pagati dai lavoratori frontalieri ai loro comuni di residenza. Un aspetto che, anche se realizzato, non modificherebbe di un millimetro tutti gli aspetti legati

Dall’altra parte Bignasca è riuscito a dare del suo partito un’immagine del tutto diversa dalla realtà. E cioè di far apparire la Lega come un partito di “opposizione” mentre, non vi sono dubbi, che esso condivide di fatto la linea liberale difesa dalle forze maggioritarie: in ambito fiscale, in ambito economico, ma anche in quello sociale (basti pensare alle convergenti posizioni  sul tema della cassa pensione dei dipendenti del cantone).

La Lega è riuscita a livello cantonale a fare quello “miracolo” che da parecchi decenni il PSS riesce a fare (anche se sempre con minore successo) a livello nazionale: essere un partito organicamente di governo, gestore dell’ordine dominante, spesso dei dipartimenti fondamentali e, allo stesso tempo, vendersi come partito di “opposizione” di fronte ai partiti borghesi.

 

Un premio per l'”opposizione” dei Verdi

 

I Verdi ticinesi sono una forza chiaramente eco- liberale, seppur con forti preoccupazioni sociali. Ma non crediamo che sia stata questo “collocamento” ad influenzarne il successo elettorale. Crediamo che esso venga soprattutto da un bisogno di opposizione che in questi ultimi anni i Verdi hanno, al di là della loro collocazione di fondo, saputo rappresentare, in particolare rispetto alle politiche governative.

Basti ricordare che essi hanno sistematicamente votato contro Preventivi e Consuntivi dello Stato, contrastando (a volte unica opposizione parlamentare) diverse proposte di legge. Oltre al lavoro di “opposizione” svolto su singoli temi: da quello dell’inceneritore a quello della critica all’AET , fin alla politica energetica del cantone. Infine l’opposizione, molto mediatizzata, a livello locale, ma pur sempre nella capitale del Ticino, come quella condotta a Bellinzona (che, appare sempre più, nella strategia dei Verdi, uno strumento a partire dal quale passare nel prossimo periodo da forza di opposizione a quella di “forza di governo”). Resta il fatto che questa linea di opposizione si è rivelata pagante a livello elettorale.

 

PS, un partito sempre più “al governo”

 

La sconfitta, pesante, del PS viene, a nostro modesto giudizio, dalla sua logica sempre più “governista”. Ed il grande sconfitto di queste elezioni, indipendentemente dalla sua elezione in consiglio di Stato, è Manuele Bertoli, presidente di un PS sempre più presidenzialista in questi ultimi anni. Certo, egli è stato eletto in Consiglio di Stato: ma il suo partito, che ha diretto per diversi anni, ha subito una delle più pesanti sconfitte degli ultimi decenni. La vittoria “personale” nella corsa al governo non può certo cancellare la sconfitta elettorale di cui egli porta, unitamente a tutta la direzione, una grande responsabilità.

Pensiamo che le ragioni di questa sconfitta siano sostanzialmente tre.

La prima è la sua identificazione di “partito al governo”, cioè un partito i cui orientamenti sono, fondamentalmente, legati alla sua presenza in governo. La compatibilità con questa presenza e la logica istituzionale sono ormai divenuti gli elementi fondamentali dell’azione politica e del programma.

La seconda è l’assoluta insignificanza della sua consigliera di Stato. Che passerà alla storia per il bacio con Borradori e non certo per le proposte politiche con le quali ha qualificato la propria azione in governo negli ultimi dodici anni. Tutto questo, fuori onda, molti dirigenti socialisti sono pronti ad affermarlo; ma nessuno osa dirlo pubblicamente. Anzi, per tutti “Patrizia” è stata proprio brava in questi ultimi dodici anni. E siccome lei è convinta di esserlo, come negarle il diritto di correre per un posto in Consiglio Nazionale? E quando, come nella recente campagna elettorale, i candidati socialisti alla sua successione hanno dovuto fare un esempio di “realizzazione” politica nell’ambito del DSS hanno dovuto menzionare la legge sugli assegni famigliari, pensata e portata in porto da…Pietro Martinelli.

La terza è l’assoluta incomprensione della dinamica che avrebbero creato gli accordi bilaterali (con il seguente dumping salariale) e di come attorno ad essi la Lega avrebbe costruito il suo successo. Si è celebrato per lungo tempo (ed ancora durante la campagna elettorale) il successo degli accordi bilaterali (attribuendogli, tra l’altro, i recenti sviluppi della economia cantonale), rivendicando ancora la bontà di quelle misure di accompagnamento che, fin dall’inizio, apparivano del tutto insufficienti a contenere (come è stato)  il dumping salariali.

 

La lista MPS-PC

 

La lista MPS-PC perde un terzo dei voti che le due formazioni (separatamente) avevano ottenuto quattro anni fa. Le ragioni di questa flessione, in un contesto oggettivamente difficile per noi, vista anche la tendenza al voto utile, sono illustrate in modo convincente nell’intervista a Matteo Pronzini nella pagina qui a fianco.

Ma al di là del risultato, per un forza socialista rivoluzionaria, appare fondamentale il bilancio concreto della campagna. E qui le note sono per noi più che positive. Pensiamo, per non prendere che un solo aspetto, all’intenso coinvolgimento di molti giovani militanti in questa campagna. Un coinvolgimento nella distribuzione del materiale (nelle scuole, nelle bancarelle, sui luoghi di lavoro), ma anche nei dibattiti ai quali hanno partecipato (nelle scuole le posizione della lista MPS-PC sono state quasi sempre difese, unica lista a farlo, da giovani candidati). Lo stesso per quanto riguarda i loro interventi sulla stampa e sui vari blog. Una presenza che non è certo passata inosservata e che ha attirato l’attenzione di altre forze politiche (in particolare quelle dell’area “progressista”).

Per quel che riguarda l’MPS questa campagna ha permesso di ricompattare le nostre forze, di lasciarci definitivamente alle spalle la crisi interna di due anni fa, di annodare nuovi contatti, di farci conoscere in regioni dove la nostra presenza è ancora debole.  Un bilancio positivo da cui sviluppare una nuova fase di crescita della nostra organizzazione.

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