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“Il trattato di Brest Litovsk fu un compromesso con gli imperialisti, ma fu un compromesso che in quelle circostanze doveva essere fatto […]. Rifiutare il compromesso “per principio”, rifiutare l’accettabilità del compromesso in generale, non importa di che tipo, è infantilismo, che è difficile persino prendere sul serio…Si deve essere capaci di analizzare la situazione e le concrete condizioni di ciascun compromesso, o di ciascuna tipologia di compromessi. Si deve imparare a distinguere tra un uomo che ha consegnato il suo denaro e le sue armi ai banditi per ridurre il danno che possono infliggere e per facilitare la loro cattura ed esecuzione, ed un uomo che consegna il suo denaro e le armi ai banditi per partecipare al bottino”. (Vladimir I. Lenin)

 

 

Questa citazione, che è stata pubblicata su ZNet il 19 marzo (cfr. http://www.solidarieta.ch/nmps/index.php?option=com_content&view=article&id=165:gli-sviluppo-in-libia&catid=84:crisi-mondo-arabo&Itemid=85), ha provocato un’ondata di discussioni e affermazioni di tutti i tipi – amichevoli, ostili, fortemente e blandamente di sostegno, gentilmente critiche o fortemente ostili – molto più grande di quanto mi sarei potuto aspettare, ancora più grande in quanto tradotta in molte lingue. Se questo è indice di qualcosa, lo è del fatto che la gente ha sentito che era in gioco una questione reale. Quindi discutiamola.

Il dibattito sul caso libico è legittimo e necessario per coloro che condividono una posizione anti-imperialistica, a meno che non si creda che sostenere un principio ci risparmi il bisogno di analizzare concretamente ogni specifica situazione e di determinare la nostra posizione alla luce della sua effettiva valutazione. Ogni regola generale ammette eccezioni. Questo include la regola generale che gli interventi militari da parte di potenze imperialistiche autorizzati dall’ONU siano puramente reazionari, e non possano raggiungere scopi umanitari o positivi. Solo per amor di discussione: se potessimo far tornare indietro la ruota della storia e tornare al periodo immediatamente precedente al genocidio in Ruanda, ci opporremmo a un intervento militare guidato dall’Occidente e autorizzato dall’ONU per impedirlo? Di sicuro, molti direbbero che un intervento di forze imperialistiche/straniere rischierebbe di fare molte vittime. Ma chiunque sano di mente può credere che le potenze occidentali avrebbero massacrato tra mezzo milione e un milione di esseri umani in 100 giorni?

Non voglio affermare che la Libia sia come il Ruanda: spiegherò tra un momento perché le potenze occidentali non si preoccuparono del Ruanda, o non si preoccupano del bilancio dei morti di proporzioni pari a quelle di un genocidio nella Repubblica Democratica del Congo, e invece  intervengono in Libia. Faccio l’esempio del Ruanda solo per mostrare che c’è spazio di discussione sui casi concreti, nonostante si aderisca fermamente a principi anti-imperialistici. L’argomentazione che l’intervento occidentale in Libia sia destinato a fare vittime tra i civili (mi preoccuperei anche dei soldati di Gheddafi da un punto di vista umanitario) non è determinante. Ciò che è decisivo è il confronto tra il costo in vite umane dell’intervento e il costo che avremmo avuto se non ci fosse stato.

Prendiamo un’altra analogia estrema per mostrare l’intero raggio della discussione: si sarebbe potuto combattere il Nazismo mediante mezzi non violenti? I metodi utilizzati dagli Alleati non erano essi stessi crudeli? Non hanno selvaggiamente bombardato Dresda, Tokyo, Hiroshima e Nagasaki, uccidendo un gran numero di civili? Col senno di poi, diremmo adesso che i movimenti anti-imperialisti in Inghilterra e negli Stati uniti avrebbero dovuto manifestare contro l’ingresso dei loro paesi nella guerra mondiale? O crediamo ancora che il movimento anti-imperialista avesse ragione a non opporsi alla guerra contro l’Asse ( come aveva ragione ad opporsi alla precedente, la Prima Guerra Mondiale del 1914-1918), ma che avrebbe dovuto manifestare contro qualsiasi danno di massa intenzionalmente inflitto ai civili senza un’evidente necessità di combattere il nemico?

Basta con le analogie. Sono sempre oggetto di dibattiti infiniti, anche se servono all’utile scopo di mostrare che esistono situazioni in cui può esserci un dibattito, situazioni in cui o si cede ai banditi, o si chiama la polizia, ecc. Tali analogie mostrano che non si può sostenere che ogni attitudine simile debba essere respinta automaticamente come una “violazione dei principi”, senza prendersi il disturbo di valutare le circostanze concrete. Altrimenti, i movimenti anti-imperialisti nei paesi occidentali sembrerebbero impegnati soltanto a opporsi ai propri governi, senza preoccuparsi minimamente del destino delle altre popolazioni. Questo non è più anti-imperialismo, ma isolazionismo di destra: l’atteggiamento “lasciateli andare tutti all’inferno, e lasciateci in pace” à la Patrick Buchanan. Quindi valutiamo con calma la situazione concreta con cui abbiamo a che fare in questi giorni.

Dobbiamo partire dalla natura del regime di Gheddafi. I fatti qui lasciano poco spazio per un legittimo dissenso. Ne parlo solo per coloro che credono, in buona fede e per pura e semplice ignoranza, che Gheddafi sia un progressista e un anti-imperialista. Vero, Gheddafi ha cominciato come un dittatore relativamente progressista, anti-imperialista e populista,  guidò un colpo di stato militare contro la monarchia libica nel 1969 imitando il colpo di stato egiziano che rovesciò la monarchia nel 1952. Il suo primo eroe fu Gamal Abdel-Nasser, anche se il suo regime inizialmente era più ideologicamente di destra, con molta più enfasi sulla religione (più tardi, Gheddafi pretese di dare una nuova interpretazione dell’Islam). Cominciò molto presto a reclutare persone da paesi più poveri come mercenari nelle sue forze armate, inizialmente per la sua Legione Islamica.

Proclamò la sostituzione delle leggi esistenti con la Sharia nei primi anni Settanta, subito prima di imbarcarsi in una imitazione della “rivoluzione culturale” cinese, con la sua versione islamica del Libretto Rosso di Mao: il Libro Verde. Imitò anche la pretesa della “rivoluzione culturale” di istituire una “democrazia diretta”, tramite la creazione di un sistema di “comitati popolari” trasformando in teoria la Libia in uno “Stato delle masse”- ma  in realtà un paese con una percentuale record di persone sul libro paga delle forze di sicurezza. Più del 10% della popolazione libica era costituito da “informatori” pagati per sorvegliare il resto della società. Gheddafi imprigionò o giustiziò molti oppositori del regime, inclusi molti degli ufficiali che avevano preso parte insieme a lui al rovesciamento della monarchia. Negli ultimi anni Settanta,  decise di trasformare l’economia libica in una combinazione di capitalismo di Stato nelle grandi imprese e capitalismo privato con “associazioni” di lavoratori in imprese più piccole, e di abolire gli affitti e il commercio al dettaglio(persino i parrucchieri vennero nazionalizzati!). Destinò anche parte delle entrate petrolifere dello Stato al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini libici, una versione  “rivoluzionaria” del modo in cui alcune delle monarchie del Golfo con elevate entrate petrolifere pro capite provvidero ai bisogni dei loro cittadini per garantirsi una base sociale – bistrattando contemporaneamente, come in Libia, i lavoratori immigrati che costituiscono la maggior parte della forza lavoro e della popolazione.

Nel decennio successivo, di fronte ai risultati disastrosi della sua politica e alla crisi dell’URSS, da cui dipendeva per l’acquisto delle armi,Gheddafi pretese di imitare la perestroika di Gorbachev, liberalizzando l’economia libica, ma non la sua linea politica. Il successivo grande dietrofront politico avvenne nel 2003. Nel dicembre di quell’anno, venne in soccorso politico di Bush e Blair, annunciando che aveva deciso di rinunciare al suo programma di costruzione di armi di distruzione di massa. Diede così la spinta necessaria alla credibilità dell’invasione dell’Iraq come un modo per fermare la proliferazione di armi di distruzione di massa. Gheddafi improvvisamente si trasformò in un leader rispettabile e tutti si congratularono caldamente con lui, con Condoleeza Rice che lo citava come modello. Uno dopo l’altro, i leader occidentali si affollarono in Libia facendogli visita nella sua tenda e concludendo interessanti contratti. Quello che ha instaurato larelazione più intima con lui è il primo ministro italiano, di estrema destra e razzista, Silvio Berlusconi: la sua amicizia con Gheddafi non è stata fruttuosa solo economicamente. Nel 2008 hanno concluso uno dei più brutti accordi degli ultimi tempi, concordando che le barche piene di gente provenienti dal continente africano e intercettate dalle forze navali italiane mentre cercavano di raggiungere le coste europee sarebbero state dirottate verso la Libia invece che verso il territorio italiano, dove avrebbero dovuto essere vagliati per l’asilo. Questo accordo è stato così efficace che ha ridotto il numero di richiedenti asilo in Italia dai 36000 del 2008 ai 4300 del 2010. È stato condannato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, inutilmente.

L’idea che le potenze occidentali stiano intervenendo in Libia perché vogliono rovesciare un regime ostile ai loro interessi è semplicemente assurda. Ugualmente assurda è l’idea che quello che vogliono sia mettere le mani sul petrolio libico. Infatti, tutte le compagnie petrolifere e di gas occidentali sono attive in Libia: l’italiana ENI, la tedesca Wintershall, l’inglese BP, le francesi Total e GDF Suez, le americaneConocoPhillips, Hess, Occidental, l’anglo-olandese Shell, la spagnola Repsol, la candese Suncor, la norvegese Statoil, ecc. Perché allora le potenze occidentali intervengono in Libia oggi, e non in Ruanda ieri e in Congo ieri e oggi? Essendo uno di coloro che hanno energicamente sostenuto che l’invasione dell’Iraq fosse dovuta al petrolio, contro coloro che cercavano di superarci in astuzia dicendo che eravamo “riduzionisti”, non aspettatevi che non sostenga che questo intervento non riguardi il petrolio. Decisamente lo riguarda. Ma come?

La mia idea è la seguente. Dopo aver guardato per alcune settimane Gheddafi condurre la sua terribile, brutale e sanguinosa repressione della rivolta cominciata a metà febbraio – le stime del numero dei morti ai primi di marzo erano tra 1000 e 10000, la seconda cifra stimata dalla Corte penale internazionale, con l’opposizione libica che stima tra 6000 e 8000 morti – i governi occidentali, come chiunque altro in questo caso, si sono convinti che una strage su larga scala fosse imminente, dato che Gheddafi era impegnato in un’offensiva contro-rivoluzionaria che aveva quasi raggiunto la seconda più grande città della Libia, Benghazi (più di 600000 abitanti). Per dare un’indicazione di ciò che un governo repressivo può fare, pensiamo al fatto che la repressione del regime siriano della rivolta del 1982 nella città diHama, che ha meno di un terzo della popolazione di Benghazi, causò più di 25000 morti. Se un massacro su simile scala fosse avvenuto in seguito al consolidamento del potere di Gheddafi, i governi occidentali non avrebbero avuto altra scelta che imporre sanzioni e un embargo sul petrolio al suo regime.

Le condizioni del mercato del petrolio degli anni Novanta erano caratterizzate da una depressione dei prezzi, nel periodo in cui gli Stati Uniti attraversavano la loro più lunga espansione economica di sempre, il boom degli anni di Clinton. Era vantaggioso per Washington e i suoi alleati mantenere l’embargo sull’Iraq in quel decennio (a un costo pari quasi a un genocidio). Solo alla fine del decennio il mercato del petrolio ha cominciato a uscire dalla depressione e i prezzi hanno cominciato ad aumentare in un modo che sembrava essere di natura strutturale, cioè una tendenza all’aumento a lungo termine. E non è una coincidenza se George W. Bush e i suoi cari amici si dichiarassero poi in favore di un “cambio di regime” in Iraq. Perché era la condizione senza la quale Washington non avrebbe tollerato di togliere l’embargo su un paese i cui maggiori accordi petroliferi erano stati concessi in favore di Francia, Russia e Cina (i tre maggiori oppositori dell’invasione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU – sorpresa sorpresa!).

Le attuali condizioni del mercato petrolifero mondiale sono tali per cui i prezzi del petrolio, dopo essere calati a causa della crisi globale, hanno ricominciato il loro movimento in salita, svariati mesi prima dell’onda rivoluzionaria in Nord Africa e Medioriente. Questo, in una situazione di crisi economica globale non risolta, con un recupero falso ed estremamente fragile. In queste condizioni, un embargo petrolifero sulla Libia semplicemente non è un’opzione. Il massacro deve essere evitato. Il miglior scenario per le potenze occidentali è diventato la caduta del regime, risolvendo così il problema di doverlo fronteggiare. Una soluzione meno peggiore per loro sarebbe una situazione di stallo duratura e la divisione de facto del paese tra Ovest e Est, con esportazioni di petrolio da entrambe le province, o solo dagli impianti maggiori situati a Est sotto il controllo dei ribelli.

A queste considerazioni bisognerebbe aggiungere la seguente: è senza senso e un esempio di “materialismo” rozzo, respingere come irrilevante il peso dell’opinione pubblica sui governi occidentali, soprattutto in questo caso sui governi della vicina Europa. In un momento in cui gli insorti libici sollecitavano il mondo sempre più insistentemente a fornire loro una no-fly zone per neutralizzare il principale vantaggio delle forze di Gheddafi, e con il pubblico occidentale che assisteva agli eventi in televisione – rendendo impossibile che unmassacro a Benghazi passasse inosservato, come spesso era successo in altri casi (come la già citata Hama, per esempio o la Repubblica Democratica del Congo) – i governi occidentali non avrebbero dovuto soltanto affrontare l’ira dei loro cittadini, ma avrebbero messo a repentaglio la loro abilità di invocare pretesti umanitari per ulteriori guerre imperialistiche come quelle nei Balcani o in Iraq. Non solo i loro interessi economici, ma anche la credibilità delle loro ideologie era in gioco. E il peso dell’opinione pubblica araba ha certamente avuto un ruolo nella richiesta della Lega Araba per una no-fly zone sulla Libia, nonostante non ci sia dubbio che i regimi arabi stessero sperando che Gheddafi sedasse la rivolta, rovesciando così l’onda rivoluzionaria che sta investendo l’intera regione e facendo tremare i loro regimi dall’inizio di quest’anno.

Ora, cosa facciamo in questa situazione? Una rivolta di massa, che sta affrontando una reale minaccia di massacro su larga scala stava richiedendo una no-fly zone per aiutarli a resistere all’offensiva criminale del regime. Diversamente dalle forze anti-Milosevic in Kosovo, non stavano chiedendo a truppe straniere di occupare la loro terra. Al contrario, avevano buone ragioni per non avere fiducia in uno spiegamento simile: la loro consapevolezza, alla luce di ciò che è successo in Iraq, Palestina, ecc., che le potenze mondiali hanno programmi imperialistici, così come la loro esperienza del modo in cui le stesse potenze mondiali si sono ingraziate i tiranni che li stavano opprimendo. Hanno esplicitamente rifiutato qualsiasi intervento straniero di terra, chiedendo solo copertura aerea. E la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU escludeva esplicitamente, secondo le loro richieste, “una forza di occupazione straniera di qualsiasi tipo in qualsiasi parte del territorio libico.”

Non mi soffermerò sulle argomentazioni inaccettabili di coloro che cercano di seminare dubbi sulla natura della leadership della rivolta. Sono spesso gli stessi che credono che Gheddafi sia un progressista. I leader della rivolta sono una combinazione di dissidenti politici,intellettuali e attivisti per i diritti umani, alcuni dei quali hanno trascorso lunghi anni nelle prigioni di Gheddafi, uomini che hanno rotto col regime per unirsi alla ribellione, e rappresentanti delle diversità regionali e tribali della popolazione libica. Il programma su cui si sono uniti riguarda un cambiamento democratico – libertà politiche, diritti umani, elezioni libere – esattamente come tutte le altre rivolte della regione. E se non è chiaro come sarà la Libia post-Gheddafi, due cose sono certe: non potrà essere peggiore del regime di Gheddafi, e non potrà essere peggiore del probabile scenario dell’Egitto post-Mubarak con un ruolo cruciale dei fondamentalisti Fratelli Musulmani, preso da molti come argomentazione a favore del dittatore egiziano.

Chiunque si dichiari appartenente alla sinistra, può ignorare la richiesta di protezione di un movimento popolare, anche per mezzo dei poliziotti-banditi imperialisti, quando il tipo di protezione richiesta non è uno di quelli attraverso il quale si potrebbe esercitare un controllo sul loro paese? Certamente no, per come credo che la sinistra dovrebbe essere. Nessun vero progressista potrebbe ignorare la richiesta di protezione proveniente dalla rivolta – a meno che – cosa molto frequente nella sinistra occidentale, non ignori le circostanze e l’imminente minaccia di un massacro di massa, prestando attenzione alla situazione solo una volta che il  proprio governo sia stato coinvolto, facendo così partire il suo (normalmente sano, devo aggiungere) riflesso di opporsi al coinvolgimento. In ogni situazione in cui gli anti-imperialisti si sono opposti a interventi militari guidati dall’Occidente che adducevano come motivazione la prevenzione di un massacro, hanno indicato alternative mostrando che la scelta dei governi occidentali di far ricorso alla forza derivava da disegni imperialistici.

C’era una soluzione non violenta per la crisi in Kosovo: per dirne una, l’offerta fatta dal governo russo di Yeltsin nell’agosto 1998 di una forza internazionale per mettere in atto una soluzione politica congiuntamente imposta da Mosca e Washington. Fu trasmessa dall’ambasciatore statunitense Alexander Vershbow alla NATO, e ignorata a Washington. Lo stesso potrebbe essere detto del febbraio 1999. Le posizioni della Serbia e della NATO erano diverse, ma negoziabili, come fu dimostrato dopo 78 giorni di bombardamenti, quando la risoluzione ONU fu un compromesso tra le due. C’era una soluzione non violenta per far sì che Saddam Hussein ritirasse le sue truppe dal Kuwait nel 1990: tralasciando il fatto che non avrebbe potuto resistere a lungo alle dure sanzioni imposte al suo regime per forzarlo ad andarsene, infatti stava offrendo di negoziare la sua ritirata. Washington preferì distruggere le infrastrutture del paese e rispedirlo “indietro all’età della pietra”, come il reporter per il Consiglio di Sicurezza dell’ONU descrisse la situazione del paese dopo la guerra del 1991.

Qual era dunque l’alternativa alla no-fly zone nel caso libico? Nessuna è convincente. Il giorno in cui il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha votato la sua risoluzione, le forze di Ghfeddafi erano già arrivate alla periferia di Benghazi, e le sue forze aeree stavano attaccando la città. Pochi giorni in più e avrebbero preso Benghazi. Coloro che si confrontano con questa domanda danno risposte molto poco convincenti. Si sarebbe potuto contemplare una soluzione politica se Gheddafi avesse voluto concedere elezioni libere, ma non voleva. Lui e il figlio Saif non avevano dato alla rivolta altra scelta che la resa ( promettendo loro un’amnistia a cui nessuno avrebbe potuto credere), o la “guerra civile”. Ignorerò coloro che dicono che la popolazione di Benghazi avrebbe potuto fuggire in Egitto e trovare rifugio lì! Non merita commenti. Ignorerò anche coloro che dicono che avrebbero dovuto intervenire solo gli eserciti arabi, come se un intervento delle forze egiziane e saudite avrebbe causato meno morti, e rappresentato  un’ influenza meno imperialistica sul processo in Libia. La risposta che sembra più convincente è quella che auspicava l’invio di armi agli insorti; ma non era un’alternativa plausibile.

L’invio di armi non poteva essere organizzato ed effettuato – specialmente se pensiamo a missili anti-aerei sofisticati – in 24 ore! Non poteva essere un’alternativa a una strage annunciata. In quelle condizioni, in assenza di altre soluzioni plausibili, era moralmente e politicamente sbagliato per la sinistra opporsi alla no-fly zone; o,  in altre parole, opporsi alla richiesta da parte della rivolta di una no-fly zone. E rimane moralmente e politicamente sbagliato richiedere di revocare la no-fly zone – a meno che Gheddafi non sia più in grado di utilizzare la sua forza aerea. Senza questo, revocare la no-fly zone porterebbe alla vittoria di Gheddafi, che riprenderebbe a usare i suoi aerei e a distruggere la rivolta anche più ferocemente di quanto avesse intenzione di fare prima. D’altra parte, dovremmo assolutamente pretendere che i bombardamenti cessino  non appena i mezzi aerei di Gheddafi saranno stati neutralizzati. Dovremmo pretendere chiarezza su quanto potenziale aereo resti a Gheddafi, e, se ne ha ancora a sua disposizione, su cosa serve per neutralizzarlo. E dovremmo opporci all’entrata della NATO come partecipante attivo  nel terreno di guerra al di là dei colpi iniziali all’esercito di Gheddafi necessari per fermare l’offensiva delle truppe contro le città ribelli nelle province dell’Ovest – in questo caso gli insorti stessi avevano invitato e accolto la partecipazione della NATO.

Questo significa che dobbiamo sostenere la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU? Assolutamente no. Questa era un risoluzione decisamente dannosa e pericolosa, precisamente perché non definiva abbastanza garanzie contro la trasgressione del mandato di protezione della popolazione civile libica. La risoluzione lascia troppo spazio all’interpretazione, e potrebbe essere usata per portare avanti un programma imperialista che vada oltre la protezione,  per immischiarsi nel futuro politico della Libia. Non può essere appoggiata, ma dovrebbe essere criticata per le sue ambiguità. Ma non può neanche essere contrastata, se questo significa opporsi alla no-fly zone,  dando l’impressione che non ci importi nulla dei civili e della rivolta. Possiamo solo esprimere le nostre forti riserve. Una volta che l’intervento è cominciato, il ruolo delle forze anti-imperialiste avrebbe dovuto essere quello di monitorarlo da vicino, e condannare tutte le azione che colpiscono i civili se non sono state osservate le misure per evitare quelle uccisioni, così come tutte le azioni della coalizione prive di una logica di protezione civile. Un articolo della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU dovrebbe però essere contrastato: quello che conferma l’embargo sulle armi alla Libia, se questo include tutto il paese e non solo il regime di Gheddafi. Dovremmo al contrario richiedere che le armi siano inviate apertamente e massicciamente ai rivoltosi, così che loro non abbiano più bisogno di sostegno militare straniero il più presto possibile.

Un commento finale: per molti anni, abbiamo denunciato l’ipocrisia e il doppio metro di giudizio delle potenze imperialiste,additando il fatto che non hanno impedito il reale genocidio in Ruanda mentre sono intervenute per fermare il fittizio “genocidio” in Kosovo. Questo implica che pensavamo che l’intervento internazionale sarebbe stato necessario per impedire e fermare il genocidio in Ruanda. La sinistra non dovrebbe proclamare dei principi “assoluti” come “Siamo contrari all’intervento militare delle potenze occidentali qualsiasi siano le circostanze.” Questa non è una posizione politica ma un tabù religioso. Si può tranquillamente scommettere che l’intervento in Libia si dimostrerà imbarazzante per le potenze imperialiste in futuro. Come hanno giustamente detto quei membri dell’establishment statunitense che contrastavano l’intervento del loro paese, la prossima volta che le forze aeree israeliane bombarderanno uno dei paesi vicini, Gaza o il Libano, la gente chiederà una no-fly zone. Io, per primo, lo farò. Dovrebbero essere organizzati picchetti alla sede ONU a New York per pretenderla. Dovremmo essere tutti pronti a farlo, ora che abbiamo un’argomentazione importante.

La sinistra dovrebbe imparare a smascherare l’ipocrisia imperialista usando contro di essa le stesse armi morali che essa sfrutta cinicamente, anziché rendere questa ipocrisia ancor più effettiva mostrandosi non interessata alle considerazioni morali. Sono loro che hanno un doppio metro di giudizio, non noi.

 

(www.zcommunications.org – 25/03/2011) Traduzione di Letizia Menziani