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In Francia, con 4,65 milioni di inscritti al Pôle Emploi (Centro per l’Occupazione) alla fine del 2010 e con posti disponibili solo con rapporto interinale, i lavoratori continuano a pagare la crisi. Lo stesso accade in tutto il resto dell’Europa.

Ma il rifiuto di addebitare alle banche il costo delle loro azioni si traduce anche in un’accelerazione della crisi dei debiti sovrani. In Portogallo, dove si moltiplicano gli scioperi e le manifestazioni, il Parlamento ha rifiutato il quarto piano di austerità presentato dal Primo ministro José Socrates, che ha dimissionato. Ciò non gli ha impedito di ritornare, quattro giorni più tardi, alla testa del Partito socialista portoghese. Il 5 giugno prossimo si terranno le elezioni anticipate. Dieci giorni più tardi, arriveranno a scadenza circa 9 miliardi di titoli di Stato, ciò implicherà la richiesta di nuovi prestiti. A dieci anni, il tasso di interesse dei titoli portoghesi raggiunge un nuovo record, attorno all’8%. Se questa situazione si protrarrà, il nuovo governo dovrà scegliere tra la sospensione dei rimborsi o il ricorso all’Unione europea (UE) ed al Fondo Monetario Internazionale (FMI). 

Questa seconda opzione salvaguarda, a corto termine, la logica capitalista, ma tre fattori mettono fortemente in dubbio la capacità del sistema europeo di sopravvivere ancora parecchi anni nella sua attuale struttura.

Prima di tutto possiamo notare che in molti paesi la situazione economica sta degradandosi. In Grecia, l’effetto depressivo dei piani di rigore è sempre più evidente. Il bisogno di finanziamenti dello Stato greco fino al 2012, stimato in precedenza a 45 miliardi di euro, è stato rivalutato a circa 110 miliardi. Ristrutturare il debito è ora inevitabile. Per quanto riguarda  le banche irlandesi, il loro salvataggio è appena stato rivalutato a 70 miliardi di euro, cioè quasi la metà del PIL dell’isola. Tutti gli altri Stati applicano una politica di austerità che deprime l’occupazione. Al di fuori della zona euro, la congiuntura europea non è migliore. In Gran Bretagna, dove il governo Cameron ha lanciato un piano di tagli che ammonta a 91 miliardi di euro entro il 2015, l’OCSE prevede una crescita del PIL solo dell’1,5% nel 2011 mentre il  tasso di inflazione raggiunge già attualmente il 4,4%.

Le recenti dichiarazioni di Angela Merkel hanno mostrato come tra le classi dominanti si accentuino le contraddizioni.

Il Portogallo è l’ultimo anello prima della Spagna, paese dove il tasso di disoccupazione ufficiale raggiunge il 20,3% con una crescita economica, negativa nel 2009 e 2010,  in prospettiva vicina quasi a zero nel 2011 (+ 0,8%). In questo marasma, il “socialista” Zapatero osa affermare che l’economia è in ripresa e che “aumentare in modo sostanziale la pressione fiscale può frenarla”. La realtà è che, sempre più gli spagnoli non possono rimborsare le loro ipoteche immobiliari. E dunque, tenendo conto del peso economico della Spagna e dell’indebitamento inaudito del suo settore privato, l’UE non sarà in grado di assicurare il salvataggio delle casse di risparmio spagnole. I compromessi tra le borghesie nazionali d’Europa non reggeranno il colpo.

Infine, e soprattutto, l’UE sta organizzando la sua fuga in avanti. Il  nuovo governo irlandese, pur avendo annunciato che avrebbe tassato i grandi creditori, non fa figurare questa decisione nel piano che ha pubblicato. La Banca centrale europea (BCE) lo ha ricattato: alle banche irlandesi è stata accordata liquidità per il rifinanziamento, a condizione che i loro creditori (per la maggior parte altre banche europee)  vengano rimborsati integralmente. Ciò riflette ampiamente la tendenza attuale della politica BCE, che concedeva tassi di interesse deboli ed anche riscatti (seppur proibiti) di titoli di Stato. Ora, con il presupposto di salvare il sistema, la BCE aumenta i tassi e vuole essere sicura che il costo della crisi non pesi sul capitale. I profitti stanno ritornando e per il governatore della BCE, “aumentare i salari è l’ultima sciocchezza da fare”. I governi non sono gli ostaggi, ma bensì gli artigiani di questa politica europea. Durante gli ultimi vertici europei, hanno accettato le basi di una nuova macchina infernale. Ogni fallimento deve essere aggravato: il “patto per l’euro”, il “semestre europeo” e il “meccanismo europeo di stabilità”, ecco i tre nuovi arrangiamenti istituzionali che aiuteranno le politiche liberali e che non faranno altro che approfondire la crisi sociale ed economica. A meno che non si coordini una resistenza popolare per abbattere questa logica letale.

 

* articolo apparso sul  settimanale Tout est à nous! dello scorso 7 aprile. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.