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Riparte alla grande l’offensiva padronale sugli orari di apertura dei negozi. Un’offensiva che va di pari passo con quella, a livello legale, costituita dal nuovo progetto di legge sugli orari di apertura dei negozi che il governo ha adottato poche settimane fa.

 

Prove di deroga senza reale opposizione

 

Come si ricorderà attorno alla concessione della deroga per il giorno festivo di S. Giuseppe vi fu un lungo braccio di ferro che, alla fine, vide la decisione dei tribunali sostenere il parere del Dipartimento delle Finanze e dell’Economia (DFE) contrario a quella concessione. Non certo per ragioni di principio: ma perché le sentenze precedenti dei tribunali avevano messo l’accento sul fatto che non fosse possibile proseguire con una struttura permanente di deroghe.

La decisione che affossava l’apertura del 19 marzo doveva essere quindi letta come una conferma di una prassi seguita in passato e non certo la rinuncia, da parte del DFE, a proseguire con tentativi di imporre ulteriori occasioni di deroga.

Stupidamente la direzione di Unia non ha trovato di meglio che proclamare ai quattro venti  che la rinuncia all’apertura il 19 marzo era una “vittoria” del sindacato e delle sue non meglio precisate “mobilitazioni” (che pochi o nessuno hanno visto…).

La conferma di questa prova di infantilismo politico-sindacale è venuta pochi giorni dopo: in barba a qualsiasi logica il DFE decide di permettere l’apertura dei negozi il 10 aprile, il pomeriggio della domenica elettorale. Merito di chi? “Sconfitta” di chi? Non lo sappiamo, dato che, dopo la “vittoria” di pochi giorni prima, ora si era confrontati con una sicura “sconfitta” che nessuno ha rivendicato.

La verità è che il grado di presenza sindacale sui luoghi di lavoro, le capacità di organizzare i lavoratori e le lavoratrici, nonché quelle di convincere i lavoratori e le lavoratrici ad impegnarsi in una mobilitazione contro queste aperture, sono oggi altamente insufficienti. Risultato certo di un ritardo sindacale storico: ma anche di una politica sindacale che, dopo un certo recupero di presenza e di azione negli anni 90 e nella prima parte degli anni 2000, in questi ultimi anni  non ha fatto progressi significativi (né sul piano regionale, né su quello nazionale).

 

Ed ora, verso l’affondo finale?

 

Tutti hanno potuto leggere, negli giorni scorsi, le indicazioni relative a possibili processi di deregolamentazione (stile Foxtown) anche in altri centri del Mendrisiotto  (Serfontana e il centro Ovale di Chiasso) : in gioco, anche qui, l’apertura domenicale permanente. Un processo che potrebbe poi essere allargato anche ad altre regioni.

Se in questi luoghi la partita dovesse volgere a favore del padronato e della deregolamentazione entreremmo effettivamente in una fase assolutamente nuova e fortemente sfavorevole ai salariati; e dalla quale difficilmente, a breve termine, si riuscirebbe a tornare indietro.

 

La  priorità

 

Tutto questo, a nostro modo di vedere, ha  a poco a che vedere con il nuovo progetto di legge in discussione. Nemmeno un referendum vittorioso contro questo progetto contribuirebbe, in quanto tale, a bloccare questo processo in atto che, lentamente ma inesorabilmente, sta modificando l’organizzazione del lavoro sui luoghi di lavoro, i tempi di lavoro, le condizioni del personale.

È da queste evidenze che sarebbe necessario partire per costruire un percorso di resistenza tra e con i lavoratori e le lavoratrici; un lavoro sindacale costante, continuo, che potesse contare su grandi mezzi e capacità politiche ed organizzative a disposizione.

Un lavoro di questo genere dovrebbe essere prioritario e centrale nel prossimo periodo , ancora più del futuro (e per il momento imprescrutabile, seppur necessario) appuntamento sul referendum contro la nuova legge proposta dal governo.

È proprio su questa capacità di costruire un rapporto di forza (ed il tempo  a disposizione è poco) che si misurerà la capacità del sindacalismo nostrano.

Che, ce lo auguriamo, si dimostri capace di andare al di là degli ormai ripetitivi  comunicazioni stampa e dei proclami roboanti di lotte che non vengono: tutta roba che, ne siamo sicuri, non fanno più nemmeno solletico al padronato.