Lo scrittore cubano Leonardo Padura Fuentes – conosciuto a livello internazionale, tra l’altro per il suo libro del 2009 e molto letto a Cuba, intitolato “L’uomo che amava i cani”1, un romanzo sull’assassinio di Trotzky e su chi lo ha compiuto, Ramon Mercader – scriveva a conclusione del Congresso del Partito comunista: “Il fatto più sorprendente e più emozionante (politicamente ed anche sul piano umano) sta nella proposta del nuovo Premier segretario e già Presidente della Repubblica, Raúl Castro, di mettere un limite di due volte cinque anni per i mandati del potere, qualcosa di inedito nella struttura dirigenziale di un partito socialista, dove le alte sfere del potere non cambiano se non con l’arrivo della morte”. Come per il papato, anche se a Roma si parla di una prima: le dimissioni di Benedetto XVI per ragioni di salute. Come Fidel?
L’ironia graffiante di Padura è più che percepibile quando dice che Raúl Castro ha 80 anni e dirige le Forze armate dal 1959! Un’ironia che insinua più di un dubbio sul concetto di “paese socialista”.
Come sottolineava, alla fine di un lungo colloquio, il giornalista uruguaiano Fernando Ravsberg: “Di aperture politiche non se ne parla e non se ne parlerà [continuerà] un solo partito al potere, un potere politico centralizzato”. (Red)
Ecco qualche cifra sulla direzione del Partito Comunista Cubano (PCC): su 115 membri del Comitato Centrale, 78 erano già dirigenti a livello nazionale e 18 provengono dalle Forze armate e dal Ministero degli interni; 20 erano già dirigenti nelle province o dirigenti municipali; due sono rettori di università e solamente sette lavorano nella produzione o nei servizi.
Tra i 15 membri dell’Ufficio politico (quasi tutti uomini) l’età media oscilla attorno ai 70 anni, vi è solo una donna e nessun giovane al di sotto dei 45 anni. Tra le vice presidenze dei comitati di Stato o di governo, solo un membro su otto è donna. Nella segreteria del Comitato Centrale (CC), una sola donna su quattro membri; tra i primi segretari provinciali vi sono due donne su dieci membri; tra i primi segretari municipali i sei membri sono donne. Tra i capi di Dipartimento di Stato o di partito, vi sono quattro donne su nove membri e tra i ministri, due su otto. Tra i membri del CC, otto sono generali d’armata, 12 sono generali divisionari e vi sono solo due rettori universitari (un uomo e una donna, responsabile dell’educazione fisica).
Vista questa composizione del CC si può dunque dire che siamo di fronte ad una direzione di burocrati militari, di burocrati statali, di burocrati della cultura, che hanno superato la mezza età e che sono affiancati da qualche raro tecnocrate più giovane e dell’apparato di Stato e del partito, con molto pochi/e donne e giovani.
Come già spiegato in articoli precedenti, è il settore più efficace e produttivo della burocrazia (il settore militare) che durante il congresso ha imposto le sue regole al settore più conservatore e dogmatico – quello della burocrazia del partito – e che ha subordinato quest’ultimo al funzionamento dello Stato. Funzionamento che il primo settore vuole assicurare in nome dell’efficacia e del cambiamento burocratico della burocrazia.
Eppure, il fatto più importante è che l’ampia discussione popolare sul progetto presentato dai vertici del sistema – anche se proposta a conclusioni prese ed in via di esecuzione – è comunque servita a una richiesta di cambiamento di rotta, espressa dalle inquietudini popolari (e dalla richiesta all’apparato di indire un sondaggio pubblico).
Queste discussioni hanno permesso, per esempio, la soppressione degli aspetti più aberranti del progetto, come la creazione di zone speciali completamente aperte al Capitale o alla Cina; o di insultanti campi di golf (con le loro infrastrutture) in un paese dove manca l’acqua ed alloggi popolari; o anche la proposta di permettere che gli imprenditori possano ricorrere a mano d’opera salariata come in un qualsiasi paese capitalista. Dopo questo dibattito, vi sono state proposte di abolire la libreta (la tessera che assegna sottocosto a tutti i cittadini un minimo di generi indispensabili) come strumento di Stato per il controllo dei prezzi. La libreta verrà abolita gradualmente e non immediatamente. Ecco un’ulteriore conferma dell’inquietudine popolare perché la libreta è stata presentata dalla direzione del PCC come esempio chiaro di un’aspirazione di uguaglianza nociva, molto radicata nell’immaginario collettivo che rifiuta di accettare l’etica e la distribuzione del mercato secondo il portamonete dei compratori ed anche la carità statale nei confronti dei più poveri.
Secondo l’esperienza tradizionale cubana, il congresso non ha minimamente riconosciuto la partecipazione dei lavoratori come elemento politico ed economico decisivo. Non si è tenuto conto del problema delle quote partecipative che erano state discusse liberamente dai lavoratori. Non si é discusso di come organizzare l’autogestione che aumenterebbe sicuramente la produttività, agevolerebbe la creatività, diminuirebbe la domanda di prodotti d’importazione e dei vari tipi di contratto richiesti per regolamentarla. Non é stata citata la possibilità di instaurare con le imprese o con lo Stato contratti di lavoro, sottoscritti da sindacati democratici ( indipendenti dallo Stato e dal partito) e con una partecipazione cosciente nella produzione. Al contrario, si continua a parlare della convergenza tra pianificazione e mercato, mentre quest’ultimo è incontrollabile per definizione, essendo esso internazionale, caotico e impossibile da pianificare. Tutt’al più, si potrebbero instaurare piani settoriali deboli e su sistemi destinati ad errori e correzioni.
Non esiste una discussione seria sul contesto mondiale (economico, politico, ecologico) nel cui ambito applicare le risoluzioni del congresso. Non vi é stato un minimo riferimento critico sul fatto che, nel momento più difficile della Rivoluzione cubana, il congresso sia stato rinviato per nove anni. Né sugli errori commessi in passato da quegli stessi dirigenti che ora tentano una rettifica in extremis ed in un’oscurità teorica totale.
Dove va Cuba, soprattutto se continuano ad aumentare gli alimenti importati e il petrolio? Verso più capitalismo di Stato? Perché ciò che il governo definisce imprese statali socialiste basate sul lavoro salariato sono solo imprese statali e null’altro. Oppure verso un’impossibile e reazionaria via cinese – libertà di mercato, milionari socialisti e partito unico comunista – come il sostegno immediato di Pechino al governo cubano sembra indicare? I dogmatici immobilisti continueranno con la loro repressione e i loro cavilli? Le manovre per un sistema alla cinese, senza essere in Cina, e nella povertà, non porteranno forse alla chiusura degli spazi di discussione?
La chiave di questa situazione è nelle mani dei lavoratori cubani, che finora sono stati osservatori privi di parola ed oggetto di decisioni che cadono dall’alto. La mancanza di stimoli socialisti, di ideali e di prospettive rivoluzionarie comporta disillusione e demoralizzazione e conduce a soluzioni individuali piuttosto che alla ricerca di soluzioni collettive. Il pragmatismo di chi sta ai vertici deve essere compensato da una discussione sui principi e sulla storia del processo rivoluzionario cubano. Gli assegni in bianco portano sempre al fallimento.
* articolo apparso sul quotidiano messicano La Jornada. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà
1) Leonardo Padura Fuentes, L’uomo che amava i cani” editore Tropea