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Il direttore de La Regione, nell’editoriale di giovedì scorso dedicato alla vicenda del cantiere ex- Palace  di Lugano, sostiene con forza la necessità di battersi contro i bassi salari. Il giorno dopo, commentando le discussioni sui rapporti con l’Europa in materia di circolazione, Edy Bernasconi fa il punto sulla situazione relativa al mercato del lavoro sostenendo, in sostanza, che le misure di accompagnamento non hanno permesso di porre un freno al dumping salariale e sociale.

La Regione, e con essa tutto il Ticino, stanno scoprendo un’amara realtà che negli ultimi anni solo MPS e Lega (che hanno animato, da posizioni diametralmente diverse, l’opposizione in occasione delle diverse votazioni sugli accordi bilaterali) avevano denunciato.

Persino il Partito socialista, dopo avere passato tutta una campagna elettorale, a raccontare, attraverso la voce dei propri candidati, che gli accordi bilaterali sono stati un vero e proprio toccasana per l’economia cantonale, ora si lancia in comunicati ultimatisti (“Adesso basta”) e, addirittura, annuncia che  “senza un vero ulteriore rafforzamento delle misure fiancheggiatrici non sarà più possibile in futuro sostenere un ulteriore allargamento degli accordi o i cosiddetti Bilaterali III”. Siccome questo giochetto è già stato fatto in occasione delle due precedenti votazioni (ed alla fine PS e direzioni sindacali hanno sostenuto i bilaterali con convinzione) e siccome, dice la saggezza popolare, non c’è due senza tre… 

I problemi che stanno emergendo sono di ordine diverso: vanno dalla questione degli appalti e, in particolare del subappalto, a quella del controllo di regole stabilite da contratti di lavoro.

Il problema sul quale, tuttavia, vorrei soffermarmi in questa sede è quello dei salari. Il fondo del direttore de La Regione sembra voler suggerire che è necessario un lavoro di “pulizia” per estirpare le mele marce, cioè quelle aziende che approfitterebbero e offrirebbero salari indecenti.

In realtà siamo confrontati con un problema più strutturale che necessita un intervento di fondo, a cominciare dal ruolo che il Cantone stesso può svolgere, dando segnali chiari a tutto il paese.

Si è messo l’accento, nella vicenda di Lugano, che venivano pagati salari attorno ai 9 euro netti (circa 12- 13 fr.), ben lontani quindi da quanto previsto dal CCL dell’edilizia. Si dimentica tuttavia che questi salari vengono, in un certo senso, promossi e benedetti anche dalle autorità cantonali. Anzi, sono addirittura codificati, in alcuni contratti normali di lavoro (CNL) che, in alcuni casi, sono proprio strumenti voluti dalle misure di accompagnamento.

Così, ad esempio, i lavoratori dei call center hanno diritto ad un salario di fr. 17.80 all’ora (tutto compreso – vacanze, festivi e tredicesima); quelli dei saloni di bellezza (altro recente contratto normale di lavoro) non vanno oltre i fr. 17.15; i lavoratori agricoli Fr. 14.40.

Ma anche in settori più importanti le cose non sono molto diverse. Pensiamo qui al settore della vendita (che vede un numero di occupati superiore a quello dell’edilizia), il cui contratto normale prevede un salario minimo di fr. 16.50 (17.65 se il lavoratore o la lavoratrice ha conseguito un attesto finale di tirocinio).

Sono solo alcuni esempi che mostrano come persino le nostre autorità promuovano in realtà i bassi salari. Una promozione che avviene non solo attraverso la pubblicazione di questi contratti che prevedono tali salari da fame,in accordo, bisogna ricordarlo, con il padronato  (e, osiamo sperare, con l’opposizione delle organizzazioni sindacali…); ma anche con una politica “di promozione” che non si cura minimamente dei livelli salariali delle aziende che “attira”.

Ultimamente abbiamo assistito alla polemica tra l’amministratore delegato del gruppo Swatch, Nicola Hayek, e i responsabili della promozione industriale cantonale, rei, agli occhi di Hayek, di non aver fatto abbastanza per favorire l’acquisizione di un terreno per un insediamento industriale.

La risposta dei responsabili della “promozione” è stata tutta “in difesa”, tutta tesa a giustificarsi di fronte ad un’azienda che si presenta come benefattrice del Ticino. Eppure sarebbe bastato ricordare proprio quello che si ricorda in questi giorni a proposito dei salari che girano sul cantiere di Lugano. E cioè che Hayek paga i propri lavoratori in Ticino esattamente come venivano pagati i lavoratori sul cantiere ex-Palace. Il salario orario nel settore orologiero in Ticino è di 2’400 franchi mensili, cioè 11,77 franchi orari.

Appare quindi necessaria un’azione immediata e di fondo. Un’azione che non può attendere gli esiti di proposte che, seppur positive (come l’iniziativa per l’introduzione di un salario minimo legale), rischiamo di arrivare (se arriveranno: l’esito di un voto popolare è tutt’altro che scontato) quando i classici buoi saranno ormai fuori dalla stalla.

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