L’iniziativa per l’introduzione di un salario minimi, ci fa sapere l’Unione Sindacale Svizzera (USS), procede bene e presto dovrebbe essere raggiunto il numero necessario di firme. La rivendicazione è ormai entrata nel dibattito politico e non vi è occasione nel quale il tema non venga evocato.
In sé la cosa è sicuramente positiva. Discutendo del salario mensile si arriva anche a porre, in modo più generale, anche altre questioni, a cominciare da quella ad esso immediatamente legata, il reddito di cui dispongono i lavoratori e le loro famiglie.
Ma discutere e proporre iniziative serve ben poco per migliorare i salari effettivi dei lavoratori e delle lavoratrici.
Da quando questa discussione si è sviluppata nel movimento sindacale, portando al lancio dell’iniziativa, è successo esattamente il contrario di quanto si sarebbe potuto e dovuto fare: cioè mettere la questione salariale al centro non solo del dibattito, ma dell’azione sindacale concreta, quotidiana.
Invece tutto è delegato a questa iniziativa come se essa (ammesso è non concesso – anche per le debolezze della sua formulazione – che venga accettata in votazione popolare) potesse magicamente risolvere i problemi salariali con i quali da anni ormai si è confrontati.
Così il tempo scorre e le condizioni salariali peggiorano senza che alcuna mobilitazione venga organizzata. Pensiamo, ad esempio, agli adeguamenti salariali dello scorso anno che sono avvenuti nel totale disinteresse, lasciati in sostanza alla discrezione del padronato. E questo anche in settori importanti, come quello dell’edilizia, dove pure da tempo vi è la prassi di trattative contrattuali in materia di adeguamenti salariali.
Che le cose non vadano bene in materia salariale (e che l’iniziativa sul salario minimo stia avendo, contrariamente a quanto si potrebbe pretendere, un effetto smobilitante) lo confermano i dati relativi al 2010, diffusi pochi giorni orsono dall’Ufficio federale di statistica (UST).
Abbiamo già sottolineato, a più riprese, la sostanziale inattendibilità di queste statistiche; sta di fatto che, anche con queste riserve, esse mostrano comunque una tendenza chiara.
Per il 2010 l’UST ci segnala una sostanziale stagnazione dei salari (aumentati dello 0,8% in termini nominali di fronte ad un aumento dei prezzi dello 0,7%). La conferma di una stagnazione di lungo periodo possiamo affermare, visto che nel decennio precedente i salari reali di fatto non si sono mossi (anzi, tenendo conto di aumenti importanti non contemplati nell’indice dei prezzi al consumo -come quelle relative ai premi di cassa malati) possiamo dire che l’ultimo decennio ha visto una sostanziale diminuzione dei salari reali.
Anche per il 2010 i dati dell’UST che abbiamo qui sopra richiamato non hanno tenuto in considerazione l’influenza dei premi di cassa malati: che, per il 2010, hanno influenzato i redditi delle famiglie nella misura dello 0,6% (relativo ad un aumento dei premi di più dell’8%). Possiamo quindi affermare che, nell’anno in cui i profitti delle maggiori aziende quotate in borsa hanno stabilito nuovi record (oltre 80 miliardi) i salari reali dei lavoratori dipendenti di questo paese sono diminuiti.
Ed il 2011 non si annuncia migliore. Non basterà certo la riuscita dell’iniziativa sul salario minimo a modificare questa situazione.
Ci vorrebbe una mobilitazione dei salariati che, per il momento, sembra essere l’ultima preoccupazione delle direzioni sindacali.