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È possibile, oggi 20 maggio 2011, parlare di un “Movimento 15 maggio”? Qual è la differenza tra una manifestazione e un campo permanente?

Può darsi che sia troppo presto per dirlo, ma penso che si, effettivamente, le manifestazioni che hanno avuto luogo in più di cinquanta città e gli accampamenti nelle principali piazze di molte città costituiscono un “avvenimento fondatore” di un nuovo tipo di movimento sociale che apre prospettive a più lungo termine. Tutte queste manifestazioni esprimono un’indignazione collettiva verso le conseguenze negative della crisi per la stragrande maggioranza sociale che non si sente per nulla responsabile di quanto le sta capitando.

Quanto al “salto” come quello che è appena accaduto tra manifestazione e accampamento, le motivazioni possono essere concrete. Nel caso di Madrid, per esempio, gli arresti che hanno avuto luogo alla fine della manifestazione di domenica scorsa (15 maggio) hanno spinto un gruppo di persone ad accamparsi a la Puerta del Sol al fine d’esigere la libertà dei loro compagni. In seguito, è lo smantellamento del campo da parte della polizia che ha provocato una nuova occupazione e un nuovo accampamento il giorno seguente e ancora in seguito.

Ma ci sono senza dubbio anche degli effetti generali come l’ “effetto emulativo e di contagio” che entrano in gioco. Questo lo vediamo nel paragone con il simbolismo di piazza Tahrir al Cairo ( pur riconoscendo la differenza con gli egiziani che perseguivano l’obiettivo di far cadere una dittatura) e nel fatto che l’iniziativa di Madrid ha agito come stimolo per per la mobilitazione nelle altre città che hanno espresso in questo modo la loro solidarietà. Si tratta dunque di occupare lo spazio pubblico nei luoghi simbolici delle città.

 

Quali possono essere le cause dell’indignazione di queste persone?

 

È difficile generalizzare, ma credo che la causa più comune sia la percezione d’ingiustizia dovuta alla risposta data dai grandi partiti politici alla crisi sistemica – finanziaria, economica, sociale… -; considerano la “classe politica” come corrotta e al servizio dei grandi poteri economici. La fattura della crisi la sta pagando la gente comune che non l’ha causata, giovani, donne, anziani e immigrati, per mezzo di massicci tagli ai diritti sociali fondamentali. Lo slogan della piattaforma che ha preso l’iniziativa di queste mobilitazioni è molto significativo, “Democrazia reale, subito”: : «Non siamo merci in mano a politici e banchieri». Inoltre, va considerato il fatto che sono i giovani i veri protagonisti di questi avvenimenti; ce lo ricorda, ad esempio, uno slogan di “Gioventù perduta”, un’altra piattaforma d’appello, anche questo molto rappresentativo dell’indignazione di chi denuncia la propria situazione: “senza casa, senza lavoro, senza salario”; a cui è immediatamente aggiunto “Senza Paura”, al fine d’esprimere la volontà di uscire dalla rassegnazione e dalla ricerca di soluzioni individualiste alla crisi.

 

Come possiamo interpretare questi avvenimenti in un contesto elettorale?

 

Penso che è proprio perché questo sta succedendo in piena campagna elettorale (locale e regionale, 22 maggio) che assume ulteriormente un carattere di protesta verso certi discorsi di partito che i giovani considerano come promesse che non saranno mai mantenute da chi salirà al potere. Questo riflette ciò che mostrano le inchieste: la “classe politica” è largamente considerata come uno dei principali problemi e, di conseguenza, si assiste a una disaffezione dei cittadine non verso la democrazia in quanto tale ma verso la democrazia realmente esistente. La gente pensa che questa democrazia si sia a poco a poco svuotata della sua sostanza e che le grandi decisioni si prendono fuori dai parlamenti e dalla istituzioni rappresentative. Una frase di uno dei numerosi manifesti può riassumere tutto questo: “La nostra democrazia è sequestrata. Vogliamo la libertà!”.

 

In quale misura questi fenomeni di protesta sono legati a ciò che sta succedendo a livello mondiale?

 

Dallo scoppio della crisi sistemica e finanziaria a fine 2008 assistiamo ad uno sviluppo ineguale, ma crescente di movimenti di protesta nei differenti paesi del «nord» verso le risposte neoliberali alla crisi. Nell’Unione Europea, abbiamo il caso della Grecia, della Francia, della Gran Bretagna e del Portogallo. Abbiamo anche il caso, fino ad ora eccezionale, dell’Islanda, che, attraverso due referendum, ha rifiutato il pagamento del debito generato da una banca privata che ha dichiarato il suo fallimento a causa del suo “avventurismo” speculativo. È per questo che abbiamo potuto leggere slogan come “la Spagna in piedi, è l’Islanda” o “Vogliamo essere islandesi”. E, infine, abbiamo l’esempio della rivolta nel mondo arabo e del ruolo giocato dalla gioventù, attraverso l’uso intensivo e generalizzato delle nuove tecnologie della comunicazione. Senza dubbio questo ha anche influito sulle nostre reti sociali che si sono messe a preparare le mobilitazioni del 15 maggio scorso.

 

Le mobilitazioni dal 15 maggio in poi sono state indette principalmente tramite delle reti sociali come internet. In quale misura internet cambia il panorama delle mobilitazioni politiche?

 

È evidente che l’uso di queste reti costituisce una rivoluzione nell’ambito della controinformazione e della comunicazione, ed aiuta a contrastare le informazioni e le opinioni diffuse dai media tradizionali, oltreché a diffondere le loro proprie informazioni con una rapidità ed un risparmio di tempo prima impensabili. Queste reti permettono un coordinamento molto più efficace tra i militanti e fanno intravvedere la possibilità di un funzionamento più democratico e più orizzontale. Infine, questi mezzi contribuiscono più facilmente al passaggio tra virtuale e reale per mezzo della diffusione rapida delle iniziative di strada e delle risposte immediate date dalle autorità.

 

Cosa pensi del modo in cui queste mobilitazioni sono coperte dai media tradizionali?

 

Fino al 15 maggio scorso, c’è stato un silenzio quasi totale attorno a quanto facevano le reti sociali; ma è evidente che c’è stato un cambiamento d’atteggiamento nei giorni seguenti, quando si è manifestata la legittimità sociale dei giovani manifestanti e si è potuto constatare la grande eco riscontrata nelle strade. Ma ci sono anche dei tentativi palesi di mostrare già la presunta debolezza di questo movimento. La sua eterogeneità (reale ma logica e non negativa in quanto tale), la sua possibile manipolazione da parte di uno o l’altro dei partiti (tutto questo rinvia alle teorie cospirative in voga che vorrebbero cancellare le motivazioni reali della protesta), l’esistenza di settori “anti-sistema” (attribuendo un valore negativo a questa qualificazione, malgrado si siano potuti leggere slogan assai chiari del tipo “È il sistema che è contro le persone”) o “violenti” (mentre vediamo che l’opzione chiaramente maggioritaria è la disobbedienza civile non violenta). Tuttavia, ci sono anche dei media (specialmente alcune radio) che hanno dato la parola ai portavoce delle reti o ad analisti che contribuiscono alla comprensione di quello che sta succedendo. È qualcosa d’importante che può aiutare la gente a cercare risposte differenti, rispetto a quello che i partiti offrono, sul soggetto della democrazia reale esistente e sulla crisi.

 

Per finire: quali pensi che saranno gli effetti possibili di questa mobilitazione sia a breve che a lungo termine?

 

La costruzione di una nuova soggettività comune, pluralista e creativa propria delle persone che partecipano a queste mobilitazioni è già di per sé un effetto importante. Questo è positivo per tutte queste persone, poiché implica il tentativo di uscire dalla paralisi sociale smettendo di credere che. di fronte alla crisi, non ci sia altro da fare se non andare a votare per l’uno o l’altro partito il 22 maggio. L’effervescenza collettiva che si sta vivendo in questi giorni, il sentimento di sentirsi parte di un movimento così esteso e sincronizzato in tante città e con delle referenze a livello internazionale, con un repertorio di messaggi e d’azione molto ampi e di volta in volta sempre più creativi, avrà senza dubbio un impatto su tutte queste persone. Da questa esperienza può sorgere un nuovo ciclo di mobilitazioni con una certa durata nel tempo e sempre più coordinate, anche se è evidentemente molto probabile che differenti reti, discorsi e proposte cominceranno a esprimersi pubblicamente e che le prime tensioni sorgeranno nel movimento. Ma quest’ultimo punto dipenderà anche dall’atteggiamento che avranno il potere pubblico e le loro tattiche di cooperazione e/o repressione di fronte alle rivendicazioni dei differenti settori del movimento.

 

*professore presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’

Universidad Nacional de Educación a Distancia (UNED). È membro della redazione della rivista Viento Sur. L’intervista è stata condotta lo scorso 20 maggio (prima delle elezioni regionali che hanno visto la sconfitta del PSOE di Zapatero). La traduzione in italiano (condotta a partire dalla versione in francese apparsa sul sito www.alencontre.org) è stata curata dalla redazione di Solidarietà

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