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Nella storia del PT c’è stato qualcosa di formidabile ed emozionante, ma anche qualcosa di terribile. Per riprendere il lessico coniato dai classici greci, abbiamo avuto il momento dell’epopea, quello della tragedia, ma anche un po’ di commedia nella traiettoria nel corso della quale il “petismo” si è trasformato in “lulismo”.

Il PT è stato il maggior partito della storia della classe lavoratrice brasiliana nel XX secolo. Negli anni Ottanta, Lula e la direzione del PT (che organizzarono la corrente interna Articolazione) sono stati in grado di rimanere ancorati a un partito che, nel giro di dieci anni, è passato da un’organizzazione di poche migliaia a un’altra di centinaia di migliaia di militanti; e che è passata dall’ottenere il 10% dei voti nel 1982 alle elezioni per il governatore di San Paolo (e il 3% mediamente negli altri Stati) a ingaggiare un confronto molto serrato al secondo turno delle presidenziali del 1989, appoggiandosi esclusivamente su contributi volontari.
Il PT del 2011 è, evidentemente, un altro partito, anche se il gruppo dirigente è essenzialmente lo stesso. In tre decenni, il PT ha eletto parecchie migliaia di consiglieri, alcune centinaia di deputati federali e nei vari Stati, ha conquistato il governo di oltre mille amministrazioni, di parecchi Stati e e per la terza volta detiene la presidenza. Il PT del 2011 è la macchina elettorale più professionale del Brasile, evidentemente integrata alle istituzioni del regime e strettamente associata ad alcuni dei più potenti gruppi imprenditoriali. Paradossalmente, l’autorità di Lula non è diminuita.
 
Il PT come sorpresa storica
 
La spiegazione del prestigio di Lula si basa, soprattutto, sulla storia del PT. Non c’è ragione di non ricordare che nel 1979/1980 la formazione di un PT indipendente, che si è sviluppato ed ha rapidamente acquistato influenza di massa nelle principali città dello Stato di San Paolo, guidato da un combattivo dirigente metalmeccanico, senza saldi rapporti internazionali, ha costituito un ammirevole, e imprevisto, fenomeno politico. Il PT non è stato un accidente storico, ma certamente una sorpresa. [1] Al termine degli anni Settanta, la maggior parte della borghesia brasiliana e i capi politici della dittatura continuavano a temere gli spazi politici che avrebbero potuto occupare, all’arrivo dell’amnistia, il Partito Comunista Brasiliano (PCB), da un lato, e Brizola e Arraes [leader socialisti], dall’altro. Si era nel periodo storico della “guerra fredda”. Un’epoca di anticomunismo primitivo.
Il PT e Lula oggi sono particolarmente sopravvalutati, ma sarebbe ingiusto non ricordare che quando fecero la loro comparsa nella vicenda politica nazionale, nel 1979/1980, furono sottovalutati. Fino al 1982 il PT fu talmente disprezzato che un settore della stampa e dei media di allora non prestarono molta attenzione all’impressionante capacità di Lula di guidare i lavoratori dell’ABC, [2] facilitandone una visibilità politica mai concessa, ad esempio, a Prestes. [3]
Naturalmente, dopo la fondazione della Centrale Unitaria dei Lavoratori (CUT), nel 1983, cambiò la politica della borghesia e dei mezzi di comunicazione di massa nei confronti del PT. Il processo di transizione democratica perseguito dalla dittatura era minacciato dalle apparizioni di Lula e dal ruolo del PT che incoraggiavano il proletariato dell’intero paese a lanciarsi nella lotta sindacale e politica in modo autonomo. Appartenere al PT era sinonimo di essere un egualitario, un radicale. Quando cominciò a sentirsi l’incidenza di un’avanguardia di qualche centinaia di migliaia di attivisti, in particolare durante la campagna  per le “Dirette”, [4] il PT cominciò ad essere seriamente considerato un nemico e Lula un pericolo. Dopo l’elezione di Luiza Erundina a Sindaco di San Paulo, nel 1988, si è istituito il secondo turno alle elezioni maggioritarie per prevenire la minaccia di nuove vittorie del PT. La militanza nel PT segnava la differenza negli scioperi, nelle occupazioni e nelle stesse elezioni.
 
Il PT che nacque dagli scioperi del 1979/1981
 
Non è così polemico sostenere che il PT non fu mai un partito rivoluzionario, indipendentemente dal fatto che nelle sue file abbiano militato con generosità e spirito di sacrificio molte persone combattive, che lottavano per la rivoluzione brasiliana. Un’analisi sobria consente di arrivare a concludere che il PT è sorto come partito operaio con un progetto di rappresentanza autonoma della classe lavoratrice, ma con un progetto predominante, nella direzione, di riforme per la regolazione del capitalismo brasiliano.
In dieci anni, tra il 1979 e il 1989, in funzione della decisione politica di opporsi all’apertura lenta, graduale e controllata della dittatura militare – la strategia di transizione democratica adottata dai governi Geisel e Figueiredo, su ispirazione del generale Golbery – il PT riuscì a costituire un polo di attrazione per il meglio della generazione di attivisti sociali che furono alla testa dei principali movimenti di massa del decennio, ridimensionando l’autorità del Movimento Democratico Brasiliano (MOB) di Montoro e Tancredo allorché questi furono eletti governatori a San Paolo e a Minas Gerais nel 1982, e spiazzando l’influenza che avrebbe potuto ottenere la direzione di Brizola, eletto lo stesso anno come governatore di Rio de Janeiro, e quella stessa del PCB di Luis Carlos Prestes, quando questi rientrò dall’esilio.
Quelli furono gli anni in cui la direzione del PT e di Lula si conquistarono il loro prestigio politico. Sostennero gli scioperi, appoggiarono la nascita del Movimento dei lavoratori rurali Senza Terra (MST), aiutarono il movimento studentesco, accolsero il movimento delle donne, protessero il movimento popolare urbano di lotta per le case, aiutarono il movimento negro e, cosa non meno importante, affrontarono la dittatura, promossero la campagna per le “Dirette” e denunciarono l’accordo culminato nel Comitato Elettorale che alla fine permise l’insediamento di Sarney. Tuttavia, dopo il 1988, quando assume l’Intendenza di San Paolo, il PT ha già cominciato a cambiare. Capire queste pressioni rimanda alla storia della lotta della classe operaia come chiave per comprendere il destino del PT.
 
Un proletariato giovane e combattivo, ma politicamente inesperto
 
È stato in quei trent’anni che si è sviluppata l’esperienza di migliaia di scioperi delle più svariate categorie di lavoratori che hanno rivitalizzato i sindacati. C’è stato anche il grande apprendistato degli scioperi generali negli anni Ottanta. Ci sono state le imponenti iniziative di Lula nel 1989, con centinaia di migliaia di persone in piazza. La lotta di pensionati dopo il piano Zelia/Collor ha scosso il paese. Senza dimenticare lo storico sciopero dei lavoratori del petrolio del 1995, la marcia del MST del 1997 su Brasilia un anno dopo il massacro di Eldorado de Carajas, e tante altre lotte popolari. In quei conflitti parziali, tuttavia, la classe operaia brasiliana è sempre stata più radicale nelle sue azioni che non negli obiettivi. Ha smosso montagne, ma ha chiesto troppo poco.
Soltanto in due occasioni, in questo intervallo storico di trent’anni di crescente fiducia nella direzione di Lula, del PT e della CUT, le masse popolari sono riuscite a fare irruzione sulla scena politica con l’immensa forza della loro mobilitazione politica per le strade, minacciando il governo di turno. Il loro programma, anche quando si muovevano con metodi rivoluzionari – rovesciare governi scendendo in piazza è un atto rivoluzionario, anche quando le mobilitazioni sono pacifiche – era un programma riformista.
La mobilitazione per obiettivi politici, quindi, fu qualcosa di poco comune, di inusitato. E per rovesciare governi odiosi, è stata eccezionale. Le masse popolari e i giovani scoprirono nelle “Dirette” e nel “Fuori Collor” la forza del loro intervento. Ma fu anche chiaro, con l’avvento di Sarney (1985) e di Itamar (1992), che era più facile mettersi insieme contro Figueiredo e contro Collor che non unirsi a favore di un progetto anticapitalista. Il socialismo, un vago riferimento per milioni di persone, non era se non l’aspirazione a una maggiore giustizia. Scesero in piazza esprimendo il peso della propria forza, quella di un’immensa maggioranza di poveri, di diseredati, in un enorme paese urbanizzato in pochi decenni, molto giovane e pressoché privo di istruzione. [5]
 
ll PT e le fluttuazioni del rapporto di forza fra le classi
 
La Cut, il PT e Lula hanno avuto la propria legittimazione in questo processo, ma la classe lavoratrice non era né socialmente né politicamente alla testa della maggioranza popolare sfruttata. Non dirigeva, era capeggiata. Né le “Dirette” né il “Fuori Collor” erano stati costruiti con una piattaforma che esaltasse rivendicazioni di classe. Il programma che portò milioni di persone a lottare era solo democratico. Non sorprende che i grandi conflitti avvenissero entro i confini di alleanze con dissidenze borghesi, come il MDB di Ulysses Guimaraes e Tancredo Neves nel 1984 o con Orestes Quercia e Lionel Brizola nel 1992.
Nel 1992, quando esercitavano già un’influenza maggioritaria sulla classe lavoratrice, il ruolo di Lula e del PT fu un ruolo regressivo: arrivarono in piazza in ritardo, ed ebbero la funzione di pompieri, assicurando l’insediamento di Itamar che, al di fuori dello Stato di Minas, era un illustre sconosciuto, tranne occupare quasi per caso la vicepresidenza.
Malgrado la pressione inerziale reazionaria in un paese arretratissimo culturalmente, in cui la paura di rappresaglie fu sempre particolarmente efficace per neutralizzare l’iniziativa collettiva del popolo, e politicamente poco organizzato, la maggioranza della classe operaia organizzata nei sindacati cominciò ad evolvere a sinistra negli anni Ottanta. Giunse a essere protagonista, nel 1987 e nel 1989, di due scioperi generali che, pur essendo parziali, riuscirono a raggiungere una dimensione nazionale. Dalle illusioni nel PMDB la classe operaia passò all’opposizione nei confronti del governo di Sarney e portò Lula fino al secondo turno nel 1989. Anche i ceti medi urbani conobbero un’evoluzione a sinistra negli anni finali della dittatura, per poi dividersi: la maggioranza si spostò verso l’appoggio a Collor nel 1989 e poi sostenne in modo euforico il Piano Real. Dopo la svalutazione monetaria, nel 1999, i settori intermedi si allontanarono lentamente dal governo di Fernando Henrique Cardoso e dal PSDB, che languiva per una serie di scandali connessi alla corruzione, avvicinandosi a Lula mentre il PT svoltava spudoratamente a destra. Alla fine si incontrarono, nel 2002.
La maggioranza popolare disorganizzata rimase la base elettorale dei partiti borghesi, eredi di Arena e del PMDB, per tutto il ventennio che va dal 1982 al 2002, quando Lula fu eletto. Per riassumere: per primi, negli anni Ottanta, i settori organizzati del proletariato e della gioventù studentesca, ma poi, con il passar degli anni e al passaggio del secolo parte del ceto medio e anche parte delle masse popolari semiproletarie puntarono a cambiare le proprie vite attraverso la rappresentanza politica offerta dal PT e da Lula. Una promessa di riforme, con scarsi rischi di scontro con i potenti interessi del capitale.
 
Quattro crisi
 
In questo processo il PT ha affrontato molte crisi, ma quattro di queste ne segnarono la storia. La dinamica politica della sua evoluzione non è stata lineare. Il criterio per stabilire quali furono le crisi principali è oggetto di polemica. L’ipotesi del presente articolo è che una crisi è significativa quando il partito ne esce qualitativamente diverso da quel che era prima. Negli anni Ottanta, ad esempio,quando la situazione politica svoltava a sinistra per la mobilitazione più attiva dei lavoratori e dei giovani, il PT conobbe una prima rottura alla sua destra, che però fu indolore, sia nell’avanguardia più organica, sia nell’area di influenza elettorale. [6]
La prima grande crisi giunse con il governo di Luiza Erundina a capo dell’Intendenza di San Paolo. La questione centrale che si poneva era il rapporto con il sistema democratico: accettare o meno i limiti legali del quadro costituzionale. Erundina ed altri intendenti del PT, ad esempio Diadema nell’ABC dell’area metropolitana di San Paolo, si trovarono di fronte al dilemma di occupazioni di terre pubbliche e private da parte di movimenti di lotta per le abitazioni, e di fronte a scioperi del pubblico impiego. Fecero appello alla repressione, chi più chi meno, e vi furono anche episodi con arresti e feriti. Nel partito non vi fu rottura, ma le falde tettoniche del PT si mossero. Il PT pagò il debito estero del municipio, scrupolosamente, e non esitò a fare ricorso alla Polizia Militare contro la lotta operaia e popolare.
All’inizio degli anni Ottanta, quando la situazione politica evolveva a destra ed erano più intense le pressioni borghesi per la stabilità del sistema democratico, la direzione del PT convocò il Primo Congresso e decise di espellere Convergenza socialista, una tendenza trotskista che diede vita, dopo l’unificazione con altre organizzazioni marxiste, al Partito Socialista dei Lavoratori Unificato (PSTU). [7] Si trattò della seconda grande crisi. A partire di là, le tendenze di sinistra che continuavano a resistere nel PT furono avvertite di quale sorte avrebbero avuto se avessero sfidato la direzione. Questa crisi non ebbe ripercussioni elettorali, ma restò una ferita insanabile: era stata eliminata l’ala rivoluzionaria e le reazioni furono declamatorie.
Paradossalmente, con l’impulso del “Fuori Collor” la corrente maggioritaria del PT – che si era spinta troppo oltre nella svolta a destra nel Primo Congresso del 1991 – si divise, organizzando l’Articolazione di sinistra. Questa corrente, insieme, tra le altre, alle tendenze marxiste Democrazia Socialista (DS) e Forza socialista, conquistò la maggioranza nell’Incontro Nazionale del PT, nel 1993. La reazione rivelò, senza dubbio, che si trattava di un “fuoco di paglia”, di una cosa effimera. Nell’Incontro Nazionale del 1995, dopo la seconda sconfitta presidenziale di Lula nel 1994, l’Articolazione guidata da Zé Dirceu recuperò la maggioranza, in alleanza con la tendenza Nuova Sinistra, capeggiata da José Genoino e da Tarso Genro. [8]
Nel 1999, la direzione del PT, dopo la terza sconfitta elettorale del 1998, realizzò un’altra svolta più a destra: vietò la campagna “Fuori Fernando Henrique Cardoso” che stavano costruendo la CUT e il MST, con l’appoggio della sinistra interna ed esterna al PT e che a Brasilia aveva promosso una iniziativa con circa 100.000 attivisti. La campagna “Fuori FHC” cercava di ripetere quella che era stata la campagna “Fuori Collor” nel 1992 e minacciava di crescere, in un quadro di intenso malcontento provocato dalla maxisvalutazione del real nei primi mesi del secondo mandato di Henrique Cardoso. La posizione inflessibile della direzione del PT – Zé Dirceu aveva condizionato l’accettazione della presidenza del PT alla sconfitta della mozione favorevole al “Fuori FHC” – dimostrò al governo di FHC la disponibilità a bloccare qualsiasi movimento sociale.
Coerente con la decisione di offrire dimostrazioni del suo impegno nei confronti della governabilità, nel luglio del 2002 la direzione del PT preparò un manifesto che coincideva con il lancio della quarta candidatura di Lula alla presidenza, tenendo questa volta come vice Zé Alencar, uno dei maggiori imprenditori del settore tessile e senatore di Minas Gerais. Il documento dichiarava a piene lettere la decisione di onorare il pagamento del debito pubblico, interno ed esterno.
Infine, nel 2003, dopo l’elezione di Lula, la direzione del PT non esitò ad espellere Heloisa Helena e due deputati che avrebbero poi creato il Partito Socialismo e Libertà (PSOL), ancora una volta con l’accusa di indisciplina, per aver rifiutato di votare in parlamento la Riforma della sicurezza sociale. Si trattò della terza grande crisi. Fu dimostrato che la direzione del PT non avrebbe esitato a imporre la svolta a destra.
Fu tuttavia nel 2005 che il PT attraversò la crisi più seria della sua storia. Fu decapitata politicamente una parte del nocciolo duro della sua direzione, per la crisi aperta con le denunce dello scandalo del mensalão. [9] Nonostante la non nascosta soddisfazione delle fazioni maggioritarie della borghesia in parlamento e sui mezzi di comunicazione di massa nei confronti dell’operato di Lula nel suo primo mandato, la crisi del mensalão si trasformò in un offensiva borghese nel Parlamento, con qualche eco per le strade, nelle fabbriche e nelle università, che fece traballare Lula nel Palazzo di Planalto. Il mensalão ha costretto il PT a sacrificare Zé Dirceu e decine di lider, ha demoralizzato il partito nei settori più critici della militanza operaia e popolare, in buona parte dell’avanguardia studentesca più combattiva e nei mezzi di comunicazione di massa più onesti dell’intelligenza di sinistra. Dopo otto anni al potere, è cambiata la natura di classe della direzione del PT. I segnali di rapido arricchimento sono diventati inoccultabili. Lo stesso partito ha mutato la sua composizione sociale. Il partito operaio riformista passò alla storia. Dopo anni al potere, è nato un partito con rapporti organici con alcuni settori della borghesia brasiliana.
Nonostante tutto, il PT ha conservato un’influenza maggioritaria sul proletariato. Tra il 2002 e il 2010 Lula ha formato un governo che ha ottenuto gli applausi pressoché unanimi di quanto c’è di più reazionario in Brasile e nel mondo: da Maluf a Delfim Neto, da Michel Temer a Henrique Meirelles, da Bush a Sarkozy, da Merkel a Putin, né sono mancate tra i maggiori banchieri, imprenditori, latifondisti, voci disposte ad ammettere pubblicamente che Lula e il PT hanno abbagliato le classi dominanti di tutti i continenti. Come se non bastasse e nonostante l’impressionante scoperta del finanziamento elettorale tramite osceni rapporti con il mondo imprenditoriale – una consueta corruzione che il PT aveva sempre denunciato – Lula ha stupito per la persistenza della sua autorevolezza nella classe operaia. Tuttavia, non sono solo queste condizioni esterne favorevoli a poter spiegare il perdurare dell’influenza del PT sulla classe lavoratrice. Né possono farlo gli oltre dieci milioni di “borse famiglia” distribuite.
 
La trasformazione del “petismo” in “lulismo”
 
Le posizioni politiche non sono, sicuramente, l’unico parametro per capire il PT. I partiti si possono giudicare dalla storia della loro linea politica, dalle campagne politiche in cui si impegnano e dalle loro lotte politiche intestine; dal confronto delle loro posizioni quando stanno all’opposizione e quando stanno al potere; dal programma per la trasformazione della società, o anche dai valori e dagli ideali che ne ispirano l’identità; dalla composizione sociale dei loro membri – militanti o simpatizzanti – o dal loro finanziamento, o dai loro rapporti internazionali. Sono tutti criteri validi, e costruire una sintesi esige che se ne valuti la dinamica di sviluppo. La sola cosa impossibile è giudicare un partito per quello che pensa di sé.
Da un punto di vista politico-sociologico, il PT è sorto come un partito operaio con influenza di massa minoritaria fino al 1987 e maggioritaria a partire dal 1989; con una corrente maggioritaria nella sua direzione, fin dalla fondazione, capeggiata da un blocco politico che ha unito una frazione della burocrazia sindacale con aspirazioni di classe piccolo borghese e un collettivo di leader provenienti dall’ambiente intellettuale militante della generazione del ’68, o accademica: un gruppo dirigente che accettava il ruolo caudillista di Lula, a un tempo come portavoce ufficiale e come Bonaparte interno dei vari raggruppamenti; un programma di riforme democratico-radicale, vale a dire di regolamentazione sociale del capitalismo, che si è convenuto definire democratico-popolare; rapporti internazionali ibridi che univano il sostegno di un settore della gerarchia cattolica, via Olanda e Germania (con rapporti istituzionali minoritari in Vaticano), l’appoggio di una parte della socialdemocrazia internazionale (via Cuba e poi Germania Orientale) e, alla fine ma non meno importante, con un’ala di sinistra molto frammentata e in varie organizzazioni, con la peculiarità per giunta della presenza di alcune migliaia di trotskisti. Questo criterio induce a considerare importante il rapporto della CUT con i fondi pensione statali a partire dagli anni Ottanta, in piena era di privatizzazioni. La spiegazione di un simile processo richieda inoltre una prospettiva storica.
 
Quattro fasi nella storia del PT
 
Un altro percorso per ricostruire una storia del PT è un’analisi storico-politica del partito. Le periodizzazioni sono discutibili, ma ineludibili. Da questo punto di vista, la storia del PT può suddividersi in quattro fasi qualitativamente distinte:
a)                 Tra il 1980 e il 1985 il PT è stato un partito di opposizione al regime militare e al governo Figueiredo, e il motore principale di tutte le lotte sociali contro la dittatura, conquistando con questo la guida dei movimenti sociali contro la dittatura, passando ad occupare il posto che prima del 1964 spettava al PCB. Dopo l’elezione di Sarney alla presidenza e quella della Costituente nel 1986, ma soprattutto dopo le amministrative del 1988, il PT smise di essere un partito di opposizione al sistema, ormai un sistema democratico-elettorale, ma continuò ad essere un partito di opposizione intransigente al governo.
b)                 Dopo la sconfitta di fronte a Collor nel 1989 e nelle elezioni per i governi degli Stati del 1990, per impulso della nuova situazione internazionale aperta dal crollo del Muro di Berlino, l’impegno della direzione del PT nei confronti del sistema costituzionale indusse il partito a vacillare di fronte al governo Collor. Per questo rifiutò di prendere l’iniziativa di avviare una campagna all’insegna del “Fuori Collor” nel 1991, in occasione dell’inaugurazione del Primo Parlamento, ma dopo che, a prescindere dal PT, la campagna ottenne l’appoggio delle masse in strada, passò ad appoggiarla nell’agosto del 1992.
c)                  Dopo l’elezione di Henrique Cardoso nel 1994, fino al 2002, il PT mantenne una posizione di opposizione parlamentare, pur rinunciando a mobilitare la propria base sociale d’appoggio per cercare di impedire che Cardoso riuscisse a governare, anche quando nel 1999 si aprì la possibilità di promuovere un movimento antigovernativo analogo a quello che si era avuto contro Collor. In questo processo si rafforzò la leadership di José Dirceu. Alla fine, dopo la vittoria di Lula o, più precisamente, dopo la “Lettera ai brasiliani” del luglio 2002, quando si trasformò in partito di governo, il PT divenne il principale strumento di contenimento sociale per garantire a Lula la governabilità. Fu il PT a contenere l’eventualità che il logoramento sociale accumulato in seguito alla disoccupazione, al congelamento dei salari e alle privatizzazioni degli anni di Henrique Cardoso si esprimesse in forma di mobilitazione popolare. Ed è soprattutto la presenza di Lula a permettere di spiegare come mai il regime democratico in Brasile non ha attraversato una crisi come quella argentina del 2001.
d)                 Il PT è stato il partito dirigente del governo Lula che ha ottenuto tra il 2002 e il 2010 – soprattutto dopo il 2006 – la stabilità politica del sistema democratico elettorale: nessuno dei governi eletti dopo il 1989 – né Collor, né Itamar, né Fernando Henrique Cardoso – avevano ottenuto tanto successo nell’azzerare la protesta operaia e popolare. Durante questi otto anni del mandato, il PT ha attraversato la crisi del mensalão nel 2005 e ne è uscito, ancora una volta, irriconoscibile: lo scandalo ha reso evidente il disprezzo della direzione del PT per i più elementari limiti etici, accettando il finanziamento illegale alla scala apocalittica di decine di milioni di dollari.
 
Il PT di fonte al suo futuro
 
Ogni generazione ricava conclusioni riflettendo, comparativamente, in base a una serie di insegnamenti ereditati. La rielezione di Lula nel 2006 e l’elezione di Dilma Rousseff hanno trovato il loro cemento nei venti fausti della situazione economica mondiale tra il 2003-2008 e la ripresa della crescita nel 2010: la conservazione di una bassa inflazione, l’aumento lento ma costante del salario minimo, la salvaguardia del salario medio e la riduzione della disoccupazione che hanno consentito di accedere al credito, e l’estensione di politiche pubbliche come la “borsa famiglia”.
Di fronte a circostanze eccezionali come fu il crollo della dittatura dello Stato Nuovo (1937-1945) e della dittatura militare (1964-1984), i lavoratori dovettero trovare un nuovo punto di appoggio politico e/o sindacale, come avvenne nel processo aperto dalla sconfitta del nazifascismo nella Seconda guerra mondiale, che fece sì che il PCB diventasse partito con influenza di massa spiazzando il varghismo, o in quello tra il 1978-1980 che ha dato origine al PT, in sostituzione del PCB di Prestes.
La fase di apprendistato sindacal-parlamentare – conosciuta nella tradizione marxista come la “strategia tedesca”, per analogia con la storia della socialdemocrazia più forte del mondo – si esaurisce soltanto al calore di una situazione rivoluzionaria che non si è ancora aperta. La collaborazione di classe è un progetto che rinasce ogni volta, finché i lavoratori non abbiano conquistato sufficiente fiducia in se stessi e nella loro lotta. Le masse possono abbandonare il capo di ieri, senza rinunciare alle chimere di un sogno. Possono anche riconciliarsi con capi che li hanno delusi.
Tra il 1994 e il 2002, grazie ai fondi pensione e attraverso la partecipazione alla gestione dei fondi pubblici, la burocrazia sindacale della CUT, che costituisce ancora il principale apparato di sostegno sociale della direzione del PT, ha fatto il suo ingresso nel mondo degli affari. Dopo l’elezione del 2002, il PT è passato a intrattenere rapporti organici con il grande capitale brasiliano, e ad accettare con la crisi del mensalão il nuovo ruolo cesarista di Lula come leader indiscusso. E insostituibile. E questo ne preannuncia la rovina. Naturalmente, le illusioni riformiste non muoiono da sole. Ci sarà ancora bisogno di eventi straordinari, come nei precedenti cicli storici, perché possa affermarsi una nuova direzione.

 

* Valério Arcary è uno storico. Docente del CEFET/SP, ha conseguito il dottorato presso l’Università di San Paolo (USP). È membro della Direzione nazionale del Partito Socialista dei Lavoratori Unificato (PSTU) del Brasile. La traduzione in italiano è stata curata da Titti Pierini ed è apparsa sul sito http://antoniomoscato.altervista.org/

 

 [1] Nella tradizione marxista, un accidente storico è un fenomeno transitorio, pertanto effimero. L’antagonismo tra la necessità e la casualità è uno dei temi teorici più appassionanti sul terreno interdisciplinare della filosofia e della storia.
 [2] La sigla ABC allude alle città che costituiscono la periferia proletaria di San Paolo, dove sono insediate le principali fabbriche automotrici e metallurgiche dell’immensa metropoli.
 [3] Leggendario dirigente storico del PCB.
 [4] Si riferisce alla richiesta che le principali autorità nazionali fossero designate tramite elezioni dirette, non mediante un’elezione indiretta in un Collegio Elettorale manipolato dalla dittatura,  come alla fine è avvenuto.
 [5] Tra il 1950 e il 1980, il Brasile ha mediamente raddoppiato il PIL in ogni decennio. Ci sono voluti solo trent’anni perché raddoppiasse la popolazione. In termini reali, il reddito pro capite, nel 1980, era aumentato del 50% rispetto al 1950. Sono trascorsi trent’anni per raddoppiare il PIL del 1980. E ci sono voluti trenta anni anche per raddoppiare la scolarità media: nel 2010 si è raggiunta una scolarità media di sette anni (per la popolazione di 15 anni o più), che rappresenta la metà di quella dei paesi europei del Mediterraneo.
 [6] Tre deputati federali – Bete Mendes, José Eudes e Airton Soares – ruppero con il partito nel 1985 perché il PPT non appoggiava l’Alleanza Democratica che elesse indirettamente la lista Tancredo/Sarney nel Collegio Elettorale della dittatura, dopo la campagna per le “Dirette” nel 1984. Se ne andarono da soli, senza portare con sé militanti né incidere sull’influenza elettorale che continuò ad aumentare. La successiva traiettoria di Soares fu erratica: passò per il PDT (appoggiando nel 1980 la candidatura di Brizola), il PSDB, il PPS (con Ciro Gomes nel 1988) e alla fine si è iscritto al Partito Verde (PV) sostenendo Marina Silva nel 2010.
 [7] Convergenza Socialista era stata una delle prime tendenze presenti fin dalla fondazione. Zé Maria de Almeyda fu uno di coloro che sostennero l’idea di dar vita a un PT nel Congresso dei metallurgici di Lins nel 1979. Nel 1992, l’accusa su cui si basò l’espulsione di CS fu quella di violazione della disciplina, poiché la tesi che sosteneva la necessità di una campagna per cercare di rovesciare Collor era stata battuta al I Congresso Nazionale del PT del 1991, con il voto del 30% dei delegati. CS orientava il 10% di questo blocco e arrivò a conquistare due deputati al Parlamento. CS non accettò la decisione e, basandosi sull’influenza sindacale e studentesca superiore alla sua presenza organica nel PT -15% nella CUT e 20% nell’Unione Nazionale degli Studenti –appoggiò in piazza il “Fuori Collor”. Il PSTU presentò come candidato Zé Maria alle elezioni del 1998, 2002 e 2010, senza però ottenere rappresentanza parlamentare. Fu la principale tendenza di sinistra anticapitalista che promosse la formazione della Centrale Sindacale e Popolare/ Coordinamento Nazionale di Lotte (CSP/CONLUTAS), sorta nel 2005.
 [8] La tendenza Nuova Sinistra nacque dallo scioglimento nel 1989 del Partito Comunista Rivoluzionario. Il PCR nacque nel 1979 da una scissione del Partito Comunista del Brasile (PCdB), la cui storia rinvia alla rottura Cina-URSS del 1961. Il PCdB condivise la linea maoista sostenuta dall’Albania ed è stato alla testa della guerriglia di Araguaia agli inizi degli anni Settanta. Il PCR fece parte dell’opposizione di sinistra all’interno del PT degli anni Ottanta. La Nuova Sinistra effettuò la svolta politica più inverosimile alla fine degli anni Ottanta: giunse alla conclusione che lo stalinismo fosse inscindibile dal leninismo e dallo stesso marxismo.
 [9] Gigantesco scandalo di versamenti e corruzioni di parlamentari ed eminenti figure governative.