L’onda lunga delle mobilitazioni contro la crisi e i regimi autoritari e corrotti del Nord Africa è finalmente arrivata in Europa. Lo Stato spagnolo ha dato fuoco alle polveri. Una convocazione tramite il social network più in voga del momento, Facebook, fa scoppiare la rivolta cittadina, o civica.
Il punto di partenza è semplice: la constatazione che le cose non vanno affatto bene. La crisi colpisce duramente, la disoccupazione cresce, la situazione sociale peggiora e chi siede in Parlamento, dalla destra alla sinistra parlamentare, non fa nulla per invertire la rotta.
Da qui una specie di appello urbi et orbi alla mobilitazione per farla finita con questa dirigenza politica e con i partiti, al grido di: “Non ci rappresentano! Democrazia reale adesso!”.
Dalla manifestazione del 15 maggio, si passa ai campi base, che si estendono, dai centri delle principali città, Madrid, Barcellona, Siviglia, ecc. alle città minori, per un totale di 82 piazze occupate. Alla riunione di Puerta del Sol a Madrid di sabato 4 giugno arrivano le delegazioni di 53 campi.
Lo Stato Spagnolo dà il la all’Europa, e un po’ dappertutto si tenta, con maggiore o minore fortuna, di riprendere l’iniziativa: dalla Grecia alla Francia, passando per l’Italia si moltiplicano gli appelli a “prendere la piazza”, a riprenderci lo spazio del dibattito sui nostri destini. A non lasciarci rappresentare da gente impresentabile, invischiata in corruzione, decadenza e, in definitiva, priva di ogni legittimità e credibilità ad affrontare e risolvere i nostri problemi quotidiani, fatti di disoccupazione, precarietà del reddito, necessità di sostenere le spese crescenti.
La questione della rappresentanza
Salta all’occhio nelle piazze, un’immensa quantità di cartelloni e messaggi di ogni tipo, che coprono le pubblicità dei grossi gruppi multinazionali e che decorano bancarelle, tende, e ogni luogo dove si riesca ad attaccare qualcosa.
Ma nessuno, in piazza distribuisce materiale. Né gli organismi che sono nati per dare il minimo di struttura necessaria alla quotidianità del movimento, né il gruppo addetto alle informazioni, né il coordinamento, né l’ufficio stampa hanno volantini e materiale strutturato da distribuire. Le commissioni, che si riuniscono su base tematica per costruire piattaforme rivendicative condivise, comunicano, come l’assemblea, per “comunicati stampa”. Il materiale, per capire i termini dei vari dibattiti, non si trova su carta nella piazza, ma su internet.
Ed attorno alla piazza, nelle scuole, nelle università, negli uffici, nelle fabbriche, nei trasporti, nessun segno di passaggio degli “indignados”: tutto si svolge in modo apparentemente normale.
La piazza, in pratica, non va fisicamente verso la gente, ma è la gente che deve muoversi, motu proprio, verso la piazza.
Non ci sono partiti, né di destra, né di sinistra, che partecipano in modo organizzato al movimento. I partiti sono anzi visti come forme d’organizzazione obsolete ed esclusive e non godono di grande simpatia nella piazza. In generale, sembra che il movimento rifiuti, per ora e almeno sul piano ufficiale, che si formino al suo interno componenti omogenee con piattaforme definite.
A una frequenza sostenta, si svolgono le Assemblee, che sono appuntamenti realmente di massa, a dispetto di una piazza che, nella sua quotidianità, raggruppa relativamente pochi partecipanti. Forse anche per effetto delle riunioni di commissione, che non necessariamente si svolgono in piazza.
La composizione
Il movimento è nato da un appello molto generico e ampiamente condivisibile da persone di diversi orientamenti e diverse appartenenze sociali, principalmente organizzati in due collettivi “mantello” di associazioni eterogenee: “Juventud sin futuro” (Gioventù senza futuro) e “Democracia real ya!” (Una vera democrazia, adesso!). Assente per il momento la componente sindacale: i due principali sindacati (CCOO e UGT) restano lontani anni luce dalla piazza, avendo inoltre recentemente firmato un “patto sociale”, dal sapore molto elvetico, con il governo di Zapatero. Altre sigle sindacali (CNT, CGT) esprimono solidarietà ma non intervengono nel movimento in maniera strutturata: così come per i partiti, anche i sindacati incontrano la diffidenza degli “indignados”.
Sulla piazza, si incontrano salariati e disoccupati, precari, studenti, pensionati, militanti e simpatizzanti della sinistra, ma anche della destra, sebbene questi ultimi sembrano molto meno presenti nella piazza, forse per questioni culturali. E assenti dalla piazza restano in gran parte gli operai e le classi più popolari.
L’ambizione del movimento è quella di essere un movimento di “TUTTO il popolo”, coprendo tutti i soggetti sociali che non si sentono rappresentati dalle politiche governative, spesso anche portatori d’istanze antagoniste tra loro. In generale sono completamente assenti i dibattiti sugli antagonismi di classe e sulla natura del sistema economico. Anticapitalismo, classe, partiti, sindacati sono considerati concetti novecenteschi, superati e non adatti a comprendere l’attuale realtà di rete del movimento.
Le rivendicazioni
Dalle commissioni nascono proposte molto radicali, come quelle della commissione economica di Puerta del Sol, che chiedono un massiccio intervento pubblico a controllo e limite delle grandi imprese capitalistiche e finanziarie; e la forma stessa di azione è molto radicale, l’occupazione, le assemblee cittadine e di quartiere. Ma, ciononostante, la riflessione di fondo sulla natura del sistema economico e dunque del suo necessario superamento, anche attraverso le proposte che vengono dalla piazza, è completamente tenuta al bando.
Fino ad ora, la comunicazione è avvenuta su base totalmente orizzontale e questo è un pregio democratico. Ma il modello appare molto improntato ai social network. In pratica, la principale preoccupazione, è quella di raccogliere quante più suggestioni possibile, senza metterle a confronto e soprattutto senza fissare delle priorità.
Il rischio è che si stia costruendo una realtà molto simile al Movimento 5 stelle, ma senza capo popolo in stile Grillo.
Anche se c’è la consapevolezza che queste rivendicazioni andranno poi organizzate in modo da permettere una chiarificazione delle posizioni su tutta una serie di questioni. Il programma che fa da guida al movimento resta un minestrone; troppa carne al fuoco e quindi difficile individuare una serie limitata di obiettivi cardine su cui basare l’azione del movimento. Questo, e il fatto che le diverse sensibilità debbano, almeno sul piano ufficiale, apparire sciolte nel movimento potrebbe, a lungo termine offuscare la chiarezza del dibattito.
Tuttavia, nella pratica, in questa fase le rivendicazioni democratiche (riforma della legge elettorale per un meccanismo proporzionale, trasparenza della politica, più democrazia diretta, separazione più netta dei poteri) vengono sempre messe avanti, nei discorsi e nella comunicazione. A discapito delle rivendicazioni sociali. L’incontro nazionale dei campi tenuto a Madrid lo scorso fine settimana (una specie di abbozzo di coordinamento nazionale) ha confermato questa tendenza, che alimenta, a nostro modo di vedere, le illusioni riformiste di molti, dando la prospettiva di un cambiamento radicale possibile all’interno di questo stesso sistema economico e sociale.
Il movimento oltre i campi base
Il movimento ha saputo mantenere l’occupazione delle piazze anche laddove si è cercato di sloggiarli con la forza: l’evacuazione della Plaça Catalunya a Barcellona, condotta con brutalità dalla p
olizia il 29 maggio, è stata ribaltata da una manifestazione immediata di 50’000 persone, che hanno ripreso la piazza. Ma la decisione di concludere l’esperienza dei campi base, giunta in questi giorni, era inevitabile per molte ragioni, sia tecniche che politiche.
I Campi saranno smontati e probabilmente rimarranno delle strutture informative che indirizzeranno le persone verso le assemblee di quartiere che si stanno organizzando sul modello lanciato a Madrid, dove si sono formate circa 150 assemblee di quartiere (!), che raggruppano decine di migliaia di persone.
Il movimento, sembra intenzionato a rimanere in vita e a continuare la sua attività. Due importanti manifestazioni, il 15 giugno e il 19 giugno (data di mobilitazione europea), alimenteranno nuovamente la mobilitazione. Restano aperti una serie di problemi: l’organizzazione del dibattito, i soggetti sociali che lo compongono, la natura delle sue rivendicazioni e gli strumenti per far pressione.
Organizzazione del dibattito e strutture
Sul lungo termine, non è pensabile che il movimento possa continuare a strutturarsi sul modello social network, in cui ognuno può dire ciò che gli va quando gli va e fare proposte di ogni tipo, indipendentemente da un programma di priorità politiche. Si dovranno scegliere degli obiettivi concreti e costruire percorsi per far sì che siano raggiunti. Al movimento spagnolo e all’Europa tutta, servono vittorie concrete che ridiano la speranza nella possibilità di cambiamento. Per ora, il movimento sta ragionando sulla rete e sulla costruzione di una piattaforma informatica che permetta l’accesso al dibattito.
Si porrà inoltre il problema del superamento delle decisioni per consenso, in cui anche un’infima minoranza può imporre un veto su qualsiasi decisione del movimento, problema particolarmente sentito adesso che la posta in gioco si fa importante, con la costruzione di strutture permanenti.
Un segnale, un esempio?
In tutta Europa, e sin dai primi giorni, l’appello all’indignazione e l’occupazione delle piazza ha avuto, come detto, l’effetto straordinario di lanciare, dapprima, un movimento di solidarietà (manifestazioni, sit-in), poi di dare l’esempio.
È così che in Grecia, la piazza Syntagma di Atene è occupata, così come molte altre. Domenica scorsa una manifestazione di 250’000 persone ha invaso le strade della capitale greca. In Francia, numerosissime città, tra cui Parigi, vedono nascere piccoli accampamenti, e le assemblee generali serali sono in alcuni luoghi abbastanza affollate (5’000 a Parigi la scorsa settimana).
Il vento di rivolta che scuote la Spagna, sopraggiunto dall’altra sponda del Mediterraneo, si appresta sicuramente a soffiare in tutta Europa. Il contesto della crisi e delle politiche di crisi, catastrofico per le classi popolari, rende tutto questo possibile e probabile. Il movimento spagnolo nutre anche le nostre speranze, per il suo carattere massiccio, per lo spirito di rivolta e per il clima solidale, rispettoso che permette a quanti vi partecipano di politicizzarsi e di pensare a un altro mondo possibile. Ma questo movimento ha bisogno, e crudelmente anche, di una strategia vincente: non c’è per ora né coscienza né accordo, né degli obbiettivi né dei mezzi per raggiungerli. C’è solo “l’indignazione”.
L’economia delle città spagnole, per esempio, è stata, a gradi diversi, capace di sopportare il movimento, che non ha minimamente scalfito l’immagine turistica, né gli interessi del grande capitale. In pratica, i campi si potrebbero protrarre fino al loro esaurimento, senza porre nessun problema di stabilità sistemica, alla faccia della “spanish revolution”. Senza strumenti di pressione, senza l’obbiettivo di costruire un rapporto di forza, il movimento avrà come unico sbocco la via elettorale (oppure il nulla).
Senza l’arrivo dei lavoratori e dello strumento di lotta principe per la costruzione e il raggiungimento degli obiettivi, il blocco della produzione, appare difficile una continuità che non rischi di risolversi nell’ennesimo partito-strumento elettorale.
Il movimento deve però porsi il problema della sua stessa composizione, dei soggetti specifici a cui rivolgersi, operando dunque una chiarificazione interna e correndo inevitabilmente il rischio di perdere qualche pezzo per strada.
La chiarificazione sulle rivendicazioni sarà inevitabile, soprattutto su una serie di temi, come ad esempio le oppressioni. Si dovranno prendere posizioni su questioni come l’ambientalismo, la lotta al razzismo, al sessismo, le rivendicazioni salariali, ecc. Il dibattito su capitalismo e anticapitalismo, defenestrato dal movimento, rientrerà, volenti o nolenti, dalla porta principale e chiederà a tutti di prendere posizione.
* entrambi hanno soggiornato alcuni giorni in Spagna, in città diverse, proprio nei giorni più “caldi” del movimento degli “indignados”. Riportano qui le loro riflessioni.