Il Parlamento greco ha votato, la notte scorsa, la fiducia al nuovo governo di Papandreu. Tutto questo nel contesto di una mobilitazione popolare imponente e che continua con l’obiettivo di impedire che governo e parlamento adottino il nuovo piano di austerità richiesto da Unione Europa, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale in cambio del versamento, entro fine mese, di un ulteriore prestito di 12 miliardi di euro. L’articolo che segue fa il punto sul movimento in Grecia, in particolare dopo le imponenti manifestazioni degli ultimi 10 giorni. (Red).
La Grecia torna ad occupare le prime pagine dell’attualità internazionale: un fatto ormai ricorrente da qualche tempo. Questa volta non si tratta solo del debito o di pagamenti dei cosiddetti “aiuti” da parte dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale; ma delle reazioni suscitate da questo tipo di realtà economiche su una popolazione già traumatizzata da un anno di “terapia shock “neoliberista.
Anche in questo caso, nulla di sorprendente: la Grecia ha una ricca tradizione di protesta sociale e di rivolta. Resistenza di massa contro l’occupazione nazista, feroci battaglie contro lo stato di polizia seguito alla guerra civile del 1944-1949, rivolta degli studenti e dei lavoratori contro il regime militare nel novembre del 1973, tutti elementi che hanno costituito la memoria popolare. Nel dicembre 2008, annunciando gli attuali movimenti, i giovani di Atene e dei centri urbani si ribellano dopo l’assassinio di uno studente da parte della polizia, rivelando così la profondità del disagio sociale, ben prima dello scoppio della crisi del debito .
Gli eventi della scorsa settimana, soprattutto le grandi dimostrazioni di piazza del 15 giugno 2011, che hanno fatto vacillare il governo, si spiegano alla luce della concomitanza di due fenomeni. Da un lato, una mobilitazione sindacale classica che si conclude con uno sciopero generale del settore privato e il pubblico a seguito dell’appello di confederazioni sindacali burocratizzate ma ancora relativamente potenti. Certo, dopo il voto dal Parlamento, il 6 maggio 2010, del famoso “Memorandum” tra il governo greco, l’UE e il FMI, il paese ha vissuto almeno in 11 occasioni giornate simili, spesso con una significativa partecipazione ma con risultati del tutto inconsistenti. Se questa ultima giornata del 15 giugno è stato un successo impressionante (secondo fonti sindacali la partecipazione avrebbe oscillato, a seconda del settore, tra l’80 e il 100%), e le manifestazioni sono state tra le più imponenti mai vista, la ragione fondamentale va ricercata nell’entrata in campo, a partire dallo scorso 25 maggio, di un nuovo attore.
Quel giorno, a seguito di un appello su facebook, ispirato al movimento degli «indignati» in Spagna, decine di migliaia di persone affollano i luoghi principali del paese e rimangono lì fino al mattino. Una folla eterogenea, principalmente costituita da elettori delusi da entrambi i maggiori partiti (conservatore e socialista) che si alternano al potere da più di tre decenni, scendono per la prima volta per le strade a gridare la loro rabbia contro il governo e il sistema politico.
Le parole d’ordine si concentrano soprattutto contro il “Memorandum” al quale abbiamo qui sopra fatto riferimento, alla “troika” (UE, BCE, FMI) e alle misure di austerità da essa volute che, in meno di un anno, hanno ridotto di un quarto i salari e le pensioni (tradizionalmente i più bassi di tutta l’Europa occidentale, dopo il Portogallo), aumentato il tasso ufficiale di disoccupazione al 16,2% e portato alla bancarotta ospedali, università e servizi pubblici di base.
Poco seguito dai media internazionali, malgrado abbia dimensioni e radicamento sociale di gran lunga più significativi rispetto al suo “cugino” spagnolo, questo “movimento delle piazze”, come si è autodefinito,è sicuramente assai diverso da tutte le altre precedenti forme di azione collettiva.
Da qui sono nati, probabilmente, alcuni malintesi: questo movimento non può in nessun modo essere, essenzialmente, ricondotto a una qualsivoglia forma di protesta morale. È invece indicativo di una profonda crisi di legittimità non solo del partito di governo, ma di tutto il sistema politico e dello Stato in quanto tale. Sventolando bandiere greche, a volte con l’aggiunta di quelle tunisine, spagnole e argentine, i ” movimento delle piazze “, annuncia la propria secessione e dà sfogo alla sua rabbia di fronte alle revoca in atto del “contratto sociale” fondamentale tra lo stato e i cittadini. Come proclama il grande striscione che campeggia da diverse settimane nella piazza centrale di Atene, Syntagma, la “Piazza della Costituzione”: “Non siamo indignati, siamo determinati”.
Il vero motore dell’attuale movimento è l’esigenza di vera democrazia, combinata con la consapevolezza che non è coerente con le politiche di demolizione sociale. Tutte le sere, per le strade di decine di città in tutto il paese, si tengono assemblee popolari, seguite da un nuovo tipo di attività: circolazione della parola, discussione sulle proposte preparate dalle commissioni di lavoro, decisioni su modalità ed obiettivi delle azioni future.
Lo spazio urbano così recuperato diventa il luogo della protesta e il simbolo di questa riappropriazione popolare della politica. Malgrado la messa a parte delle identificazioni partitiche, per paura di manipolazione e di sterili divisioni, i militanti delle formazioni della sinistra radicale accorrono velocemente. Le manifestazioni del fine settimana, come ad esempio quella del 5 giugno, vedono confluire centinaia di migliaia di manifestanti in tutto il paese, quasi 300’000 ad Atene. A questo punto si opera un processo di decantazione politica: in un’atmosfera che ricorda i Forum Sociali Europei della grande epoca, le assemblee invitano all’unificazione delle lotte con quelle sindacali, nella prospettiva di accerc hiare il parlamento (ad Atene) ed altri edifici pubblici (in provincia) in vista della votazione, prevista per la fine del mese, sul nuovo pacchetto di austerità negoziato con l’UE. Questo è esattamente ciò che accade durante questa giornata cruciale del 15 giugno quando l’incontro tra i cortei sindacali e il ” movimento delle piazze ” assume un carattere insurrezione e si scontra con la repressione della polizia, soprattutto intorno parlamento e a piazza Syntagma.
Per lunghe la più grande confusione regna ai più alti livelli dello Stato. In una capitale in pieno caos, il primo ministro George Papandreou negozia a lungo con l’opposizione di destra per formare un governo di “unità nazionale” che egli stesso non farebbe parte. In tarda serata, davanti ad un’opinione pubblica e ai media in uno stato di grande confusione, annuncia il fallimento di questi tentativi e la prospettiva di un semplice rimpasto [il Ministro della Difesa prenderà il posto del ministro dell’Economia].
Ma è troppo tardi: dopo aver riconosciuto egli stesso l’illegittimità del proprio potere, messo in discussione dalla defezione di membri del suo partito, Papandreou prende tempo, principalmente interessato a far passare ad ogni costo l’accordo con l’UE.
Un accordo a cui un movimento più rinvigorito e determinato che mai tenterà di opporsi. La crisi sociale ed economica si è ormai combinata con una crisi politica generale, che non potrà essere risolta semplicemente con la convocazione di elezioni anticipate. Il calderone greco è in ebollizione: ci avviciniamo al momento dell’esplosione? Le prossime settimane saranno decisive. Una cosa è certa: l’onda d’urto partita da questo paese ha già scosso a fondo l’attuale struttura europea.
* Insegna al King’s College di Londra. È autore , tra l’altro, di La France en révolte (Textuel, 2007).