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Mentre scriviamo queste righe il Parlamento greco ha appena approvato il piano di austerità, suscitando la reazione rabbiosa  del vasto movimento di protesta che ha visto, da giorni, la congiunzione del movimento sindacale con quello degli “indignati” (cfr. a questo proposito i numerosi articoli apparsi sul sito del nostro giornale).

 

La Grecia è, per il momento, il paese nel quale la guerra sociale che le classi dominanti hanno cominciato a condurre da ormai diversi mesi mostra in modo più esplicito il suo volto. Un semplice sguardo ad alcuni degli aspetti fondamentali del nuovo piano approvato (con l’accordo e il sostegno di Unione Europea, Banca Centrale europea e Fondo Monetario Internazionale) conferma che si tratta di qualcosa di più profondo di un semplice piano di “austerità.

È sufficiente qui ricordare come la disoccupazione abbia ormai quasi raggiunto il 20% della popolazione, con una disoccupazione giovanile attestata quasi al doppio; questi ultimi poi hanno visto i loro già minimi salari di riferimento (erano attorno ai 700 euro un paio di anni fa) scivolare al di sotto dei 600 euro: veri e propri salari da fame; l’aumento della precarietà si combina con nuove soppressioni di posti di lavoro nel settore pubblico dove il piano in discussione prevede di tagliare almeno 150’000 posti di lavoro.

Vi è poi tutto il processo di privatizzazione (attraverso il quale lo Stato pensa di poter  “far cassa”) che va dalle telecomunicazioni  all’elettricità, dalla Posta all’acqua, al gas, agli aeroporti: non vi è praticamente settore pubblico che non verrà sottoposto all’offensiva di privatizzazione.

Le conseguenze non tarderanno a farsi sentire in termini di potere d’acquisto per i salariati, attraverso un prevedibile aumento delle tariffe. Andando in questo modo a deprimere ulteriormente i già magri redditi dei salariati che dovranno subire, grazie al nuovo piano del governo, tutta una serie di aumenti di imposte indirette: IVA dal 6,5% al 13% per molti beni di largo consumo (medicine, giornali, ecc.) fino ad uno scandaloso aumento al 23% per i prodotti alimentari, oltre al raddoppio delle tasse sull’olio da riscaldamento.

La lista potrebbe lungamente continuare: ma, anche incompleta, dà un’idea di quella che abbiamo chiamato la guerra sociale in atto; un guerra che dalla Grecia sta muovendo ormai verso tutta l’Europa, come hanno dimostrato le recenti vicende di Portogallo e Spagna.

L’offensiva delle classi dominanti, dei loro governi e delle loro istituzioni, dimostra molto bene che la crisi economico-finanziaria acceleratasi a partire dal 2008 è tutt’altro che terminata: e l’attuale cosiddetta crisi del “debito sovrano” non è altro che una nuova fase, generata dal modo in cui queste stesse classi dominanti hanno risposto alle situazioni di emergenza sistemica verificatesi a partire dal 2008.

Di fronte a tutto questo la via da seguire è quella mostrata dai lavoratori greci, dai movimenti sociali degli “indignati” in Grecia e in Spagna, dei giovani in Portogallo. La contestazione della legittimità dei governi e dei debiti da loro contratti per sostenere i profitti di chi la crisi ha contribuito in modo determinante a crearla (a cominciare dalla banche). E non si può certo dimenticare come oggi a condurre questa guerra sociale contro poveri e salariati siano proprio governi social-liberali (Grecia, Spagna, Portogallo fino a poche settimane fa) che nulla hanno da invidiare ai governi della destra conservatrice.

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