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Lunedì scorso è stata presentata in Gran Consiglio una mozione con la quale si chiede bloccare il versamento relativo all’anno 2010 dei ristorni dei frontalieri. Obiettivo di questa mozione sarebbe quello di dare un segnale forte a Berna e all’Italia in vista di ottenere una sostanziale revisione dei ristorni (circa il 40% delle imposte pagate in Ticino dai frontalieri per un totale di oltre 50 milioni di franchi annui).

 

Elaborata dalla Lega dei Ticinesi questa mozione avrà il sostegno, diretto o indiretto, di quasi tutte le forze politiche cantonali. Dico indiretto poiché alcuni (Verdi e liberali) condividono la sostanza (bloccare il versamento e dare un segnale forte) pur auspicando una forma diversa (versare questi soldi su un conto bloccato). Si tratta, tuttavia, di aspetti di dettaglio: in questo momento bisognerebbe dare un “segnale forte” a Berna.

Nella stessa direzione si muove il padronato. Claudio Generali, giovedì, ha inviato, a nome dei banchieri anche un lui un segnale forte: si deve difendere “la piazza finanziaria”, cioè la possibilità che i nostri banchieri continuino ad amministrare indisturbati gli averi (di provenienza non sempre cristallina) degli amici di Berlusconi, di Tremonti e di Bossi, permettendo di evadere felicemente il fisco italiano.

Il padronato ticinese ha fatto pure sentire la sua voce: dobbiamo difendere la possibilità che le imprese svizzere lavorino in Italia, possano investire, stabilirvisi, fare affari senza dover incorrere nelle pastoie della burocrazia.

Non vogliamo affermare (anche se la tentazione è forte) che di tutto questo a chi vive e lavora in questo cantone importa assai poco; ci limitiamo a dire che la soluzione di questi problemi, che vengono presentati come fondamentali, non toccherà minimamente i problemi reali, quotidiani, con i quali oggi  è confrontato chi vive e lavora in questo cantone.

Rinegoziare l’accordo relativo ai ristorni dei frontalieri (versare solo la metà dei cinquanta milioni?), permettere alla piazza finanziaria di continuare ad assistere i propri clienti nella politica di evasione fiscale, permettere che banche e imprese possano stabilirsi in Italia con più facilità non permetterà, ma nemmeno un po’, di migliorare le condizioni di vita, di lavoro e di reddito di chi vive e lavora in Ticino.

Il tema centrale con i quali oggi siamo confrontati, quello del dumping salariale e sociale, cioè il proliferare di salari bassi versati in tutti i settori (da quelli industriali a quelli del terziario), non è nemmeno sfiorato da questi temi; la sostituzione di manodopera indigena con lavoratori frontalieri proprio perché possono accettare questi salari (non devono vivere in Ticino e quindi possono farcela con un salario di 2’500 – 3’000 franchi mensili) e quindi la mancanza di prospettive per varie categorie di lavoratori: da più giovani a quelli più avanzati con l’età, siano essi poco o molto qualificati; la precarizzazione del mercato del lavoro attraverso l’aumento vertiginoso di lavoratori assunti solo per effettuare un determinato lavoro, in particolare ricorrendo a manodopera estera che sfugge a qualsiasi obbligo di notifica.

Sono questi i problemi fondamentali con i quali sono confrontati  tutti i giorni coloro che lavorano e vivono in Ticino. E vorrebbero che di questo si parlasse. La “piazza” ticinese la si difende impedendo salari scandalosamente bassi, rafforzando l’ispezione del lavoro per evitare l’aggiramento delle disposizioni di legge e contrattuali su salari, orari di lavoro, ecc, rafforzando i meccanismi di controllo sull’aggiudicazione dei lavori pubblici, ecc. ecc.

Ma di tutto questo Bignasca e Gianora, Generali e Albertoni, Jelmini e Savoia, Rusconi e Modenini, preferiscono glissare, tacere, al massimo fare qualche sparata televisiva.

Alla base di  questa mozione sta una logica abbastanza semplice: bisogna “punire” in qualche modo i frontalieri rei di rubarci il lavoro e di essere disposti a lavorare per  salari da fame.

Non solo non si fa nulla perché questo non sia possibile, ma si “mandano segnali” in accordo con coloro che organizzano il dumping salariale sociale: cioè con quel padronato, industriale e dei servizi, che offre salari sempre più bassi, che opta per l’assunzione di frontalieri proprio perché in grado di accettare questi salari, che trova tutti i modi possibili e immaginabili per diminuire i costi utilizzando manodopera precaria.

Non è una situazione nuova. Anche in passato, di fronte ai problemi posti dalla crisi sociale, si è sempre preferito parlar d’altro,trovare un facile capro espiatorio (l’immigrato, il frontaliere, ecc.). Il tutto con l’obiettivo di allontanare le responsabilità da sé stessi. Se è colpa “degli altri” non può essere certo colpa di governi e parlamenti nei quali Lega, PLRT e PPD hanno una solidissima maggioranza.