Tempo di lettura: 4 minuti

L’accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria è stato giustamente accolto da Tremonti, Sacconi, da tutto il mondo del potere economico e governativo e dalle finte opposizioni come un grande successo. Con esso si afferma la centralità dell’aziendalismo e soprattutto si pongono limiti senza precedenti alla libertà sindacale, ai diritti contrattuali, ai poteri dei lavoratori.

Il principio ispiratore di questo accordo è che nel contratto aziendale la maggioranza dei sindacati decide, la minoranza non si può opporre. E’ un mostruoso centralismo burocratico applicato alle relazioni sindacali. (…)

Ma vediamo in concreto i punti che portano a questo disastro.

1. Nella premessa l’accordo assume totalmente l’ideologia confindustriale. L’obiettivo comune è quello di: “un sistema di relazioni industriali che crei condizioni di competitività e produttività tali da rafforzare il sistema produttivo, l’occupazione e le retribuzioni.” E’ la filosofia di Marchionne: prima la competitività e la produttività e poi l’occupazione e, ancora dopo le retribuzioni e chissà quando i diritti.
Che Marchionne sostenga questo è in fondo parte del suo ruolo ampiamente retribuito. Che lo sostenga anche la Cgil è distruttivo per l’autonomia sindacale.
Ma superate queste enunciazioni filosofiche si arriva alla sostanza, cioè a un’intesa che ha lo scopo di rendere “esigibile” il comportamento delle parti, in particolare rispetto al livello aziendale. Infatti sul contratto nazionale, che a parole rimane, si stabilisce solo il principio che chi ha più del 5% delle deleghe e dei voti nelle Rsu, può andare a trattare. Non interessa all’accordo, invece, come si fanno i contratti nazionali, con quali regole e con quali diritti per i lavoratori. Tutto questo è affidato ad accordi tra le categorie, cioè a niente. E’ la dimostrazione che lo spirito di quest’accordo è quella di rendere sempre più forte l’accordo aziendale e sempre più debole il contratto nazionale.

2. Infatti il sistema diventa rigorosissimo quando si parla degli accordi aziendali. La maggioranza di una Rsu eletta dai lavoratori approva un accordo aziendale e questo è valido per tutti, senza bisogno di voto dei diretti interessati. La minoranza ha l’obbligo di accettare l’accordo, perché sono impegnate a rispettarlo: “tutte le associazioni sindacali firmatarie del presente accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda”. Cioè, le strutture della Cgil, e anche naturalmente la Fiom, non possono più opporsi in Fiat da un accordo sottoscritto dalla maggioranza delle Rsu, come è avvenuto a Mirafiori e Pomigliano, ma devono accettarlo e applicarlo in quanto la casa madre confederale si è preventivamente impegnata per loro. Questo significa anche rinunciare allo sciopero perché le “clausole di tregua sindacale finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni” hanno “effetto vincolante” per tutti i firmatari dell’accordo interconfederale. D’ora in poi se Fim, Uilm e Fismic firmano in Fiat, la Fiom deve solo obbedire e non può scioperare, perché la Cgil si è impegnata per essa.

3. Il sistema dei contratti nazionali è ampiamente derogabile. La parola deroghe non compare nell’accordo, per scelta ipocrita e complice. Ma si scrive che i contratti collettivi aziendali possono definire “specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”. Si aggiunge anche che se i contratti non prevedono clausole di deroga, queste si possono fare lo stesso a livello aziendale, in particolare sulla “prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro”. Non si capisce a questo punto di che cosa dovrebbe lamentarsi la Fiat. La Cgil ha messo la firma tecnica agli accordi del passato e, in ogni caso, si impegna ad accettare quelli futuri.

4. I lavoratori non votano mai, se non quando in azienda operano le Rsa. Qui c’è un’altra novità negativa, perché gli accordi del passato non prevedevano più le Rsa, che come si sa sono nominate dalle organizzazioni sindacali e non elette dai lavoratori. In questo caso invece si riscopre la loro esistenza, forse perché gli accordi separati in Fiat prevedono tutti l’istituzione delle Rsa al posto delle Rsu elettive. Solo in questo caso è ammesso il voto dei lavoratori sugli accordi, quando un’organizzazione o il 30% degli interessati lo richiede. Tutto questo chiarisce ancor di più che in tutte le altre situazioni ai lavoratori è negato il diritto al voto sugli accordi. Non si vota più. Non nel contratto nazionale, dove non è prevista nessuna validazione democratica dell’accordo. Non a livello aziendale, dove decidono le Rsu. Insomma, passa una sorta di porcellum sindacale. Come per l’attuale Parlamento c’è un maggioritario che decide per tutti e che obbliga l’opposizione ad adeguarsi. E’ il sogno di Berlusconi.

5. Questo accordo chiede al governo di ridurre le tasse e i  contributi sul salario aziendale legato alla produttività. Mentre si promette la riduzione delle tasse sulle retribuzioni, questo accordo chiarisce che essa va solo al salario flessibile che interessa alle aziende e a una minoranza dei lavoratori. Anche qui la Cgil improvvisamente aderisce all’ideologia di Bombassei, Sacconi, Bonanni e del libro bianco.

In conclusione, questo accordo cambia la natura del sindacato, cambia la natura della Cgil, distrugge la libertà e l’autonomia della contrattazione ai vari livelli mentre stabilisce un sistema burocratico aziendalistico governato dalle imprese e dagli accordi corporativi con le grandi confederazioni. E’ il sistema della complicità sindacale auspicato dal libro bianco di Sacconi. E’ bene inoltre ricordare che  resta totalmente in vigore l’accordo separato del 2009, che la Cgil non aveva sottoscritto. Ora quell’accordo viene regolato da questa intesa unitaria.
Con questa intesa si opera una rottura profonda con questo anno di lotte e di movimenti, mentre, come ha giustamente sottolineato Tremonti, si dà un vero aiuto alla politica economica del governo e alle banche europee che chiedono flessibilità, aziendalismo e tagli allo stato e ai diritti sociali. La segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, con questa firma è venuta meno allo spirito e alle stesse norme statutarie della confederazione, e come minimo dovrebbe dimettersi. Non lo farà ma sappia che c’è chi glielo chiede e continuerà a chiederglielo. Mobilitiamoci per far ritirare alla Cgil la firma da questa intesa e, in ogni caso, per contrastarla e rovesciarla. E’ una battaglia di democrazia e giustizia sociale contro un modello economico autoritario e aziendalistico che si vuole imporre ai lavoratori perché paghino tutti i costi della crisi. Contro questo accordo bisogna ribellarsi.

 

* articolo apparso sul quotidiano Liberazione il 30 giugno 2011

Print Friendly, PDF & Email