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Venerdì 12 agosto 2011 è stato annunciato dall’INSEE (Istituto nazionale di statistica e degli studi economici) una crescita zero dell’economia francese nel 2° trimestre. Questa pubblicazione aggiunge un elemento supplementare a una settimana iniziata con un crollo dei mercati finanziari.

 

1. La crescita ha cominciato a rallentare prima del rimbalzo della crisi finanziaria

 

Da vari mesi appaiono segnali del rallentamento di una crescita già relativamente limitata (dato che, in diversi paesi, le perdite della produzione conseguenti alla recessione del 2009 non sono state cancellate, mentre perdura una disoccupazione elevata).È  il caso degli Stati Uniti (dove la produzione e il consumo decelerano da vari trimestri) e di molte economie europee.

In Francia, dopo una crescita dello 0,9% nel primo trimestre, l’Insee e la Banca di Francia avevano annunciato di attendere un rialzo dello 0,2% del PIL (prodotto interno lordo) nel secondo. Nei fatti, la cifra pubblicata il 12 agosto è zero. La produzione industriale è diminuita dello 0,6% e il consumo delle famiglie dello 0,7%. Per il terzo trimestre, la banca di Francia ha pubblicato una prima stima pari allo 0,2%, cosa che confermerebbe il rallentamento. La disoccupazione ha ricominciato ad aumentare da maggio con, in giugno, 33’600 disoccupati registrati in più. Il governo, da parte sua, mantiene, per il momento, la sua previsione di crescita annua del 2% (dopo il +1,5% nel 2010), ma questa cifra rischia fortemente di essere smentita.

In una pubblicazione dello scorso 8 agosto, l’OCSE afferma che i suoi indicatori avanzati (che rilevano la crescita futura) continuano a segnalare un rallentamento dell’attività per il mese di giugno 2011 nella maggior parte dei paesi dell’OCSE e delle grandi economie non membri (compresi il Brasile, la Cina e l’India).

Alcuni economisti evocano uno scenario a W (doppia recessione) con una nuova recessione. È troppo presto per saperlo. Ma, recessione o no, si profila un nuovo rallentamento generalizzato dell’economia. All’origine di questo rallentamento, con diverse graduazioni a dipendenza del paese, troviamo:

• La fine delle misure di sostegno all’attività, come, ad esempio, gli incentivi per il settore dell’automobile
• Il perdurare della crisi immobiliare (Stati Uniti, Spagna, ecc.).
• I primi effetti delle misure d’austerità in Europa.
• Lo stop della ricapitalizzazione da parte delle aziende.
• La debolezza della domanda delle famiglie.

Questo rallentamento potrebbe non risparmiare la Cina, anche se questa mantiene un tasso di crescita sensibilmente più elevato rispetto agli Stati Uniti o all’Europa.

 

2. La crisi finanziaria sarà duratura

 

Al di là di qualsiasi rimbalzo delle Borse, la crisi finanziaria dell’inizio del mese d’agosto rinvia al groviglio della crisi dei debiti pubblici e dell’incertezza che rimane sulla situazione delle banche.

I debiti pubblici sono esplosi negli ultimi due anni e rappresentano ormai un carico considerevole per i diversi Stati. In Francia, per il 2011, il rimborso del capitale rappresenterà circa 97 miliardi di euro e il pagamento degli interessi circa 45 miliardi di euro, per un totale di 142 miliardi di euro. A titolo di paragone:

• le entrate dell’imposta sul reddito sono state di 50,3 miliardi di euro nel 2010;
• il budget dell’insegnamento scolastico, escluse le pensioni degli insegnati (2011, previsioni) è di quasi 45,6 miliardi di euro.

Il pagamento degli interessi del debito assorbe dunque quasi tutte le entrate dell’imposta sul reddito.

I titoli del debito pubblico hanno una doppia caratteristica dal punto di vista della finanza:

• sono garanzie, perché gli Stati sono considerati debitori più sicuri degli agenti economici privati: le banche e le compagnie d’assicurazione conservano dunque un  portafoglio importante di titoli di Stato (che d’altronde fanno guadagnare interessi);

• sono strumenti di speculazione: i fondi speculativi fanno delle “andata-ritorno” rapide, acquistando e poi vendendo questi titoli al livello delle fluttuazioni dei tassi di cambio delle monete e dei tassi d’interesse. Spesso, queste operazioni sono fatte allo scoperto, in altre parole su titoli che gli operatori non possiedono (che sperano di procurarsi a buon prezzo al momento in cui li dovranno fornire).

Siccome le banche detengono quantità importanti di titoli del debito pubblico (la cui consistenza non è tuttavia nota), oggi c’è una rinnovata incertezza sulla loro salute. Fatto che scatena voci teleguidate o meno da speculatori (come si è visto il 10 agosto 2011 sulla banca Société Générale, di cui è stato “annunciato” il fallimento) e, inoltre, ne influenza il comportamento. Flussi finanziari si spostano costantemente da una banca all’altra e l’incertezza può portare un prosciugamento parziale di questi flussi necessari al finanziamento dell’economia, com’è avvenuto dopo il fallimento della banca americana Lehman Brothers nel 2008.

Allo stesso modo, si potrebbe assistere a una maggiore difficoltà d’accesso al credito per le persone o le imprese. Crisi dei debiti pubblici e incertezze bancarie si combinano dunque non solo per far crollare le Borse (dal 1° luglio al 10 agosto il CAC 40 ha perso il 25%, ma nelle prossime settimane, può risalire e ridiscendere…), ma anche per rischiare di approfondire la crisi dell’economia reale (produzione, impiego).

 

3. I margini di manovra degli Stati sono limitati e le contraddizioni si accrescono

 

Lo stock di debito pubblico accumulato, la libertà senza limite lasciata agli speculatori sui mercati finanziari legano le mani agli Stati. Ma le scelte con cui sono confrontate le varie borghesie si concretano diversamente e conducono a esitazioni, leggasi scontri, sulla via da seguire.

Negli Stati Uniti, la politica economica governativa è paralizzata dall’esigenza dei repubblicani d icomprimere a marce forzate il debito, senza rimettere in discussione le diminuzioni d’imposte per le famiglie più ricche attuate sotto la presidenza Bush. A fine luglio, per ottenere l’innalzamento del tetto massimo del debito, Obama ha capitolato, per l’ennesima volta, di fronte alle esigenze dei repubblicani. Questo non ha evitato il declassamento del rating da parte dell’agenzia di rating Standard & Poors a causa, in particolare, dell’incertezza sul futuro della politica di riduzione del debito. Solo la Federal Reserve (banca centrale) prova a giocare un ruolo attivo annunciando il 9 agosto un mantenimento dei suoi tassi d’interesse vicini allo zero per due anni. Ma non ha annunciato niente di più per ora, se non imprecisate assicurazioni su azioni, se necessarie, per mantenere la crescita.

In Europa, tutto gira per ora attorno al debito pubblico. Inizialmente limitati alla Grecia, gli attacchi speculativi hanno toccato l’Irlanda, il Portogallo e adesso l’Italia e la Spagna. Per salvaguardare le banche che detengono titoli, sono prima stati messi in piedi a livello europeo dispositivi di “aiuto” ai primi tre di questi paesi impegnati in piani d’austerità estremamente duri.

I discorsi sull’austerità si sono generalizzati dal 2010 in tutt’Europa, cosa che non ha impedito attacchi speculativi sul debito spagnolo e italiano, paesi di tutt’altra taglia rispetto ai precedenti. Lo scorso 8 agosto, dopo una riunione dei ministri delle finanze del G7, la Banca centrale europea (BCE) ha accettato di acquistare titoli del debito italiano e spagnolo. Il quotidiano Le Monde dello stesso giorno ha titolato “La BCE impedisce alle Borse di cedere al panico”, titolo presto smentito dalla ripresa del ribasso dei corsi. I titoli tossici, dopo essere passati alle banche, poi agli Stati, si dirigono verso la Banca centrale.

Le riunioni degli Stati europei si moltiplicano e inseguono gli eventi, ma due assi perdurano: nell’immediato, il salvataggio del sistema finanziario lasciato libero di speculare; per il presente e il futuro: austerità. I dibattiti, a volte duri, vertono sulle modalità tecniche (ma non senza conseguenze) di questa politica, in particolare sui criteri più o meno stretti dell’innesco dei meccanismi di sostegno ai debiti dei paesi e sul fatto che il sistema finanziario potrebbe parteciparvi in una qualche misura. Il paradosso è che questa politica, che ha come obiettivo solo quello di compiacere i mercati, non li rassicura per nulla, perché è decisa giorno per giorno. Nei fatti, come scrive Michel Husson, al di là dei bricolage, l’Europa è a un bivio: o un passo avanti verso un federalismo che permetta nell’immediato di mettere in comune i debiti, o il ripiegamento, ognuno per conto suo, conducendo all’esplosione della zona Euro. Siccome le borghesie europee non sono disposte ad assumere né uno né l’altro di questi esiti, la crisi perdura.

Per quanto riguarda la Francia, N. Sarkozy, rientrato temporaneamente dalle vacanze, per il momento non annuncia che un aumento dell’austerità per il budget del 2012 in preparazione. Questo sarà rapidamente accompagnato da un appello all’Unità nazionale per salvare la “nostra AAA”, le “nostre banche”, le “nostre imprese”, ecc.

Per far passare tagli supplementari nelle spese sociali e di educazione, saranno probabilmente annunciati alcuni ritocchi che riguardano le “scappatoie fiscali”, ma l’essenziale degli interessi dei ricchi sarà preservato, come hanno dimostrato i giochi di prestigio sullo scudo fiscale e l’imposta sulla fortuna (ISF). Se la crisi si approfondirà, è possibile che siano agitati di nuovo proclami sulla regolazione dei mercati finanziari come quelli di Jean-Louis Borloo [ministro dal 2002 al 2010, presidente del Partito radicale, mira a unire un nuovo centro per le elezioni presidenziali], fresco di conversione alla tassazione delle transazioni finanziarie.

 

4. Che fare (come disse qualcuno)?

 

Due insidie attendono le forze orientate su posizioni di radicale contestazione del sistema di fronte a questa nuova fase della crisi:

• Il primo sarebbe prendere la gente a testimone dell’irrazionalità del capitalismo, elaborare proposte alternative tecnicamente argomentate e poi credere che queste si imporranno attraverso la forza delle idee e la pedagogia (o grazie a un’abile combinazione elettorale unitaria).

• Il secondo sarebbe accontentarsi di denunce generali del capitalismo e appellarsi al suo rovesciamento come unica soluzione, disinteressandosi e denunciando come riformiste o opportuniste le idee di contestazione che circolano nella società.

Nei fatti, dal 2008, si è largamente diffusa la coscienza che il sistema sia “sottosopra”. I salariati  hanno ampiamente preso coscienza che il ritornello ripetuto loro dagli anni ’70 (“i profitti di oggi sono gli investimenti di domani e gli impieghi di dopodomani”, teorema sviluppato dal dirigente socialdemocratico Helmut Schmidt) non era altro che una presa in giro.

La questione è quella della loro entrata in azione. Bisogna rompere la sindrome “TINA” [“Non ci sono alternative”, slogan del Primo ministro conservatrice, dal 1979 al 1990, Margaret Thatcher]. La messa in evidenza di rivendicazioni radicali, ancorate nelle preoccupazioni presenti può contribuirvi. Si Può provare a riassumere così le rivendicazioni da avanzare per concorrere a rompere il circolo vizioso senza fondo nel quale ci intrappola il capitalismo [1]:

• Per affrontare il problema del debito pubblico, indipendentemente dal paese, si deve decretare una moratoria sul debito esistente e sottometterla a un audit pubblico, per portare un giudizio circostanziato e determinare quali debiti saranno rimborsati e quali no. Una parte sostanziosa del debito dovrà essere ripudiata. Il resto sarà sottomesso a ristrutturazione: riprogrammazione, riduzione, costituzione di un tetto massimo, ecc.

• Si devono riformare gli statuti della Banca centrale europea, per mettere fine alla sua indipendenza e permettere il finanziamento monetario del deficit pubblico (acquisto da parte della BCE dei titoli del debito pubblico al momento della loro emissione).

• In materia di deficit pubblico, si deve porre rimedio alla situazione attraverso una riforma fiscale ampia, per cancellare i vantaggi concessi ai più ricchi e tassare fortemente gli alti redditi, i profitti delle società e i grandi patrimoni

• Si deve legare la finanza. Cosa che, oltre alla proibizione della cartolarizzazione dei crediti [2] e dei fondi speculativi, implica l’abolizione del segreto bancario e l’instaurazione di un controllo del movimento dei capitali accompagnato a una tassazione delle transazioni finanziarie. Si devono proibire definitivamente le vendite allo scoperto, che permettono la speculazione sui titoli.

• Si deve infine mettere tutte le istituzioni finanziarie sotto stretto controllo della società, con la costituzione di un grande polo bancario pubblico attraverso la socializzazione delle banche, senza indennizzo, né riscatto.

• Si deve riprendere ai padroni, attraverso l’innalzamento dei salari e una fiscalità di redistribuzione, i punti di valore aggiunto confiscati ai salariati dall’inizio degli anni ’80, per assicurare le basi di un altro sviluppo.

• Di fronte agli ulteriori licenziamenti che si annunciano, si deve stabilizzare il mercato del lavoro, ristabilendo la preponderanza dei CDI (Contratti a durata indeterminata) e proibendo i licenziamenti, in primo luogo nelle imprese che fanno utili

• Si devono garantire le conquiste sociali, farla finita con le politiche d’austerità, per innescare una crescita sociale ed ecologica, ricostituire servizi pubblici degni di questo nome.

 

Questi punti non esauriscono l’insieme delle rivendicazioni all’ordine del giorno, ma, al di là delle formulazioni, sintetizzano ciò che sembra più urgente per fare fronte a una crisi che non è solo economica e produce in Europa rischi di decomposizione sociale propizi al ritorno dell’estrema destra.

Una battaglia ideologica, la più unitaria possibile, attorno a questi assi è necessaria. Ma, beninteso, sarebbe illusorio credere che tali esigenze s’imporranno attraverso la loro forza intellettuale: avranno bisogno di movimenti sociali ampi per far piegare i dominanti e in seguito far sloggiare i loro rappresentanti politici a favore di governi fedeli ai lavoratori quanto Sarkozy, Merkel e compagnia (e Jospin ai suoi tempi – Primo ministro dal giugno del 1997 al maggio 2002) lo sono agli interessi dei capitalisti.

 

[1] Qui sono ripresi (con formulazioni di cui l’autore si assume la responsabilità) elementi che si trovano nel “Nos réponses à la crise”, testo adottato dal congresso del NPA di febbraio 2011 e nel testo di Isaac Johsua precedentemente citato.

[2] Cartolarizzazione: si tratta di un meccanismo che permette a una banca o a un’istituzione finanziaria di trasferire a investitori attivi finanziari come prestiti o crediti. Questi attivi sono trasformati in titoli negoziabili sui mercati finanziari.

 

 

* articolo apparso il 12 agosto 2011 sul sito del NPA (Nouveau Parti Anticapitaliste). La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.