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Le organizzazioni sindacali, dal punto di vista della propaganda generale, stigmatizzano  le decisioni  padronali, ormai sempre più numerose, di aumentare l’orario di lavoro (cumulandolo, in qualche caso, anche con una ulteriore riduzione del salario nominale). 

Nella loro argomentazione mettono l’accento sul fatto che solo una parte tutto sommato molto piccola dell’industria è confrontata con problemi di “sopravvivenza” legati al cambio e che la strategia del padronato e delle singole aziende tende ad approfittare di questo difficile momento per  trarre dei vantaggi.

 

In qualche lodevole caso, come è stato il caso della Trasfor in Ticino, la mobilitazione dei lavoratori, più o meno sostenuta dalle organizzazioni sindacali, ha permesso, almeno per il momento di far recedere il datore di lavoro da questa intenzione.

 

Accordi a raffica…concordati

 

In realtà le organizzazioni sindacali in molti dei casi emersi hanno discusso e concluso con le direzioni aziendali questi accordi. Lo “scambio” viene così presentato: più ore di lavoro in “cambio” di garanzie relative all’occupazione. Anche se poi questi accordi prevedono spesso clausole che li rendono nulli se dovessero verificarsi licenziamenti…

Le organizzazioni sindacali attive nel settore industriale (in particolare Unia) hanno così concordato aumenti di orario di lavoro (a parità di salario – di fatto quindi con una diminuzione del salario effettivo per ora lavorata) con tutta una serie di industrie anche importanti. Segnaliamo, tra gli ormai moltissimi esempi che potrebbero essere citati, quello della Lonza (azienda leader mondiale quotata in borsa) – il primo degli accordi di questo tipo annunciato nei mesi scorsi -, dell’azienda Buhler, della Bücher Industries, della Franke, ecc.

 

Una “vecchia”politica sindacale

 

Se è vero che in altri casi (come quello del gruppo Gerog Fischer ) le organizzazioni sindacali hanno espresso la loro contrarietà per non essere state associate nelle discussione, non di meno quanto successo trova le radici nella stessa politica condotta dalle organizzazioni sindacali e negli accordi sottoscritti.

Al di là delle procedure specifiche (è possibile che in qualche caso lo stesso contratto prevedesse la necessità di coinvolgere i partner contrattuali), bisogna tuttavia ricordare che le decisioni prese in questi ultimi mesi dalle aziende – l’aumento dell’orario settimanale di lavoro senza adeguamento salaraile – rientra completamente in quanto previsto dalla convenzione nazionale per l’indutria delle macchine (cioè il contratto collettivo del settore industriale più importante del paese). Convenzione tra l’altro scaduta alla fine del 2010  e prolungata tacitamente fino a giugno 2013. Un prolungamento suggerito, così hanno giustificato la loro decisione le organizzazioni sindacali, dalla situazione di crisi…

Tale convenzione (ormai da moltissimi anni, da quando le danze in quel settore erano condotte dal “vecchio” sindacalismo della FLMO poi confluita nel “nuovo” sindacalismo di UNIA)  un articolo (il 57, definito nella convenzione precedente con il nome programmatico di “articoli di crisi”) che prevede appunto la possibilità di derogare al normale orario di lavoro (è – nella media annuale – di 40 ore) aumentandolo sulla base di accordi presi o con i rappresentanti dei dipendenti ( i membri della commissioni aziendali – come avvenuto nel caso dell’AGIE di Losone) o ricorrendo – in casi più importanti – ai partner sindacali contrattuali (sul cui aiuto possono contare anche le commissioni aziendali in tutti i casi – evidentemente  nel caso dell’AGIE i lavoratori hanno pensato di non ricorrere al sostegno delle organizzazioni sindacali…).

L’articolo 57 (nelle sue varianti a) b) c)…) prevede la possibilità di derogare, e di aumentare l’orario di lavoro, praticamente per ogni motivo: difficoltà economiche, difficoltà produttive, difficoltà finanziarie, necessità di rilanciare la competitività dell’azienda, lancio di un nuovo prodotto…

 

E pensare che era stato un successo

 

Nella trattativa del 2005 questo cosiddetto articolo di crisi (allora portava il numero 56 nella precedente convenzione) venne discusso e ridefinito e oggi, in quella formulazione, viene utilizzato dai datori di lavoro per imporre questi accordi ai lavoratori.

Val la pena riportare qui il commento contenuto in un volantino UNIA a proposito della riformulazione di questo articolo 57: “Il nuovo articolo 57 è più vincolante dell'”articolo di crisi” finora in

vigore (…)La possibilità di derogare, in via eccezionale, alle disposizioni in vigore concernenti la durata del lavoro era già contemplata dall’articolo di crisi (art. 56) della vecchia CCL. Tra il 1998 e il 2005 poco più di una dozzina di aziende hanno fatto ricorso a tale articolo. Al riguardo, a livello

svizzero i dipendenti interessati sono stati quasi 2500. Rispetto alle 610 aziende contraenti e ai 120’000 dipendenti del ramo le deroghe sono state poche. Il sindacato Unia ha però dovuto constatare che nel corso degli ultimi anni sono aumentate le pressioni delle aziende sulle rappresentanze del personale finalizzate ad ottenere l’approvazione incondizionata dell’applicazione dell’articolo di crisi nelle aziende.

Alla luce di questa situazione, per Unia una ridefinizione dell’articolo di crisi, con regolamentazioni più chiare e vincolanti e maggiori possibilità d’intervento e di controllo da parte dei sindacati, assumeva un’importanza rilevante. Le nuove disposizioni stabilite dall’art. 57 della CCL non solo limitano gli spazi d’intervento delle deroghe, ma sono, rispetto all’articolo di crisi finora in vigore, più chiari, più precisi e più vincolanti.” (sottolineatura nostra).

Quando si dice avere le idee in chiaro…