È una sceneggiata vera e propria quella che si sta consumando attorno a BancaStato. Il punto di partenza, ovviamente, la richiesta di chiarezza, partita dalla ormai famosa interrogazione di Matteo Pronzini sugli assetti dirigenziali alla testa della banca.
Pronzini aveva chiaramente sostenuto che Donato Barbuscia, il presidente della Direzione Generale, non era in congedo di formazione per tre mesi, come aveva comunicato al personale Fulvio Pelli, il presidente del Consiglio di Amministrazione; ma che era stato di fatto estromesso dalla direzione della banca.
Questo avveniva lunedì 5 settembre. Martedì 6 settembre il Corriere del Ticino annunciava, in un lungo articolo, che quanto affermava Pronzini era confermato dalle fonti che il giornale aveva potuto contattare: Barbuscia era di fatto stato silurato.
A questo punto non avrebbero dovuto più esserci dubbi sul fatto che le cose stavano effettivamente così. Anche perché, abbiamo saputo in questi giorni dall’intervista “autocritica” (si fa per dire!) di Pelli, la decisione del Consiglio di Amministrazione è stata presa il 29 agosto. Una settimana, in un cantone piccolo e nel quale vige la più ampia “prossimità”, è uno spazio di tempo amplissimo. Solo degli sprovveduti, guidati da un super-sprovveduto, potevano pensare che la cosa non si sarebbe saputa.
Una commissione di sprovveduti?
Oggi la commissione per la verifica del mandato pubblico si inalbera e accusa Pelli di lesa maestà. Egli avrebbe (ha) mentito nel corso dell’audizione davanti alla commissione tenutasi, e prevista da tempo, proprio il giorno delle rivelazioni del Corriere che confermavano il contenuto dell’interrogazione Pronzini.
Richiesto di prendere posizione su queste notizie, Pelli confermava che Barbuscia era in congedo su sua richiesta e che, finito il congedo, sarebbe tornato alla testa della banca.
Contrariamente a quello che oggi vanno esponendo con vari comunicati gli eminenti membri di questa commissione, il problema grave non è tanto il fatto che Pelli abbia mentito (la storia recente di BancaStato è fatta di una serie impressionante se non di bugie, perlomeno di omissioni di informazione da parte dei suoi organi); ma il fatto grave è che la commissione, tutto sommato, gli abbia creduto. Basta andare a vedere le reazioni “confortate” di alcuni membri della commissione che rilasciavano interviste televisive “tranquillizzanti” la sera stessa dell’incontro con Pelli. Provare per credere: andate a rivedervi l’intervista del quasi-candidato al consiglio nazionale Saverio Lurati.
Chi controlla?
Il problema, evidentemente, non è solo la qualità personale dei membri di questa commissione quanto la questione del controllo pubblico su BancaStato.
Un problema che non è mai stato risolto, né nell’ambito della vecchia gestione né con la riforma del 2003. Anzi, con la riforma del 2003 (che, lo ricordiamo ancora una volta, venne combattuta solo dall’MPS) il problema del controllo si è andato aggravando.
Da un lato perché gli strumenti di controllo venivano sulla carta indeboliti, dall’altro perché l’evoluzione economica e sociale avrebbe richiesto un potenziamento ed una forma diversa di controllo pubblico.
Proprio questo tema del controllo era stato al centro della campagna referendaria del 2003. Ci era stato assicurato (da destra come da sinistra – il PS si impegnò a fondo a favore della riforma, cercando addirittura, per rendere difficile il nostro referendum, di costruire un “comitato per un sì di sinistra” alla riforma di BancaStato) che la riforma avrebbe migliorato moltissimo il controllo del mandato pubblico di BancaStato e che proprio su questo aspetto ci si sarebbe concentrati, essendo le altre e precedenti forme di controllo (quelle cioè sugli affari correnti della banca) di competenza di altri e in un certo senso “superate”.
Gli ultimi anni, diciamo dalla vicenda Rossi in poi, sono stati caratterizzati da una serie continua di avvenimenti non proprio puliti, veri e propri scandali. I lettori e le lettrici di Solidarietà, privilegiati, hanno potuto in questi ultimi anni leggere le denunce che abbiamo fatto, mettendo in evidenza queste vicende. Dallo scandalo Virgilio-SUVA alla vicenda Tobler, dall’acquisto di Unicredit Svizzera al caso Garzoni. E lista è solo indicativa.
Tutte vicende che quei campioni di giornalismo de Il Caffè hanno ricordato domenica scorsa per confermare che, effettivamente, la sfiducia nei confronti di Barbuscia correva da tempo ed era in parte legata proprio a queste vicende.
Naturalmente i campioni di giornalismo del Caffè di queste cose, negli ultimi anni, si sono ben guardati dal parlarne, addirittura censurando chi faceva riferimento a qualche giornale (come Solidarietà) che di questa cose invece parlava. Un noto commentatore economico cantonale si è visto addirittura in parte censurata la prima parte di un suo articolo sul Caffè dedicato a BancaStato proprio perché accennava agli articoli apparsi su Solidarietà…
BancaStato non rende…
A dimostrare il fallimento della strategia messa in atto riforma di BancaStato del 2003 sono proprio coloro che l’hanno sostenuta, come detto praticamente tutti i partiti presenti allora in Gran Consiglio.
Ci era stato assicurato che la riforma (che prevedeva la grande trasformazione di BancaStato da banca ipotecaria e commerciale a banca universale) avrebbe permesso, grazie ai nuovi strumenti finanziari ai quali avrebbe avuto accesso, di aumentare la sua redditività e di riorganizzare al meglio le sue attività. E, aggiungevano i sostenitori, tutto questo avrebbe portato ad un incremento del ruolo della banca a favore dello sviluppo dell’economia cantonale.
Ci eravamo opposti a questa visione ricordando che una banca pubblica non deve orientare la sua strategia facendo ricorso al mercato ed alle sue logiche di redditività; ma partire dalla riflessione sul contributo che essa può dare, in un’ottica di servizio pubblico, allo sviluppo del cantone. Non deve cioè comportarsi come tutte le altre banche (ne abbiamo in abbondanza), ma essere diversa dalle altre.
Ora, i sostenitori della maggiore redditività sono costretti a constatare che questa è andata viva via scemando e i conti sono stati abbelliti di anno in anno, pur non brillando, con espedienti contabili (ad esempio sciogliendo riserve).
In questi anni poi, a difesa delle scelte operate nel 2003, abbiamo dovuto sentire vere e proprie assurdità.
Intervistato da la Regione, verso la fine del 2004, sulla deludente performance di BancaStato, malgrado disponesse con riforma approvata di nuovi strumenti di azione, il presidente Pelli sosteneva che la “ormai cronica situazione di basssi tassi di interesse” non permette a BancaStato di sviluppare i nuovi prodotti (in particolare i prodotti derivati) previsti dalla riforma. In poche parole i bassi tassi di interessi sarebbero stati all’ origine del mancato sviluppo della redditività di BancaStato.
Il che ci sembra un ragionamento, certo vero nella fattispecie, ma assai curioso (per non dir peggio) da parte del presidente di una banca pubblica. Poiché significa che la condizione di base che garantirebbe la “felicità” di BancaStato (alti tassi di interesse) corrisponderebbe all’”infelicità” dei normali cittadini, cioè dei «proprietari» della banca. Alti tassi di interesse significherebbero aumento di ipoteche ed affitti, maggiori difficoltà per le attività economiche ed occupazionali, una erosione del potere d’acquisto dei salari, ecc. ecc.
Ripartire da zero
Come indica Matteo Pronzini nella risoluzione che ha presentato in vista della seduta del Gran Consiglio del 26 settembre (durante la quale dovrebbe aver luogo una discussione generale sulla questione) bisogna ripartire da zero. Prima di tutto azzerando l’attuale consiglio di amministrazione che è espressione di quei partiti che hanno voluto una riforma di BancaStato e che si è rivelata fallimentare (crediamo che otto anni bastino per dare un giudizio).
Bisogna poi nominare un nuovo CdA, facendo capo a persone fermamente convinte della necessità di una banca pubblica, che agisca come tale: in Ticino le persone così orientate non mancano.
Infine bisogna aprire una pubblica discussione su ruolo e prospettive di una banca pubblica in Ticino.
È l’unica alternativa di fronte ad una strategia fallimentare che puntava sul mercato e suoi suoi poteri miracolistici.