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Nonostante il ruolo degli Usa e il suo sostegno al Cnt, che non ha appoggi nel paese, la rivoluzione libica ha un seguito popolare. Una testimonianza diretta da Tripoli che mostra il carattere popolare della rivoluzione libica.

 

Un recente editoriale del Socialist Worker (Who really won in Lybia/ Chi ha realmente vinto in Libia) sosteneva che nei fatti è stata la Nato, non il popolo libico, che ha vinto la rivoluzione in Libia. Da qui, da Tripoli, sembra che quello sia un giudizio affrettato. Ci sono alcuni punti della situazione sul terreno che andrebbero compresi:

 

1. Questa è stata un’autentica rivoluzione popolare. Tripoli non è stata liberata dai ribelli dall’esterno. Invece, il 20 agosto è partita una sollevazione popolare dall’interno, in vari quartieri della città. A mezzogiorno del 21, l’apparato di sicurezza dello Stato era stato completamente smantellato in vari quartieri e stava crollando in altri. Le prime brigate di ribelli raggiungevano la città alla sera del 21 scontrandosi con i rimanenti caposaldi.
La forza motrice della rivoluzione, in tutti i momenti cruciali, è stata la partecipazione di massa, nelle sollevazioni iniziali di Bengasi e della città occidentale di Zintan, come attorno a Tripoli e nella città.
Oggi le strade di Tripoli sono controllate da persone comuni. Ogni quartiere ha un comitato popolare, composto di abitanti armati che controllano i punti di entrata e uscita del proprio quartiere, controllano i veicoli e, in assenza delle forze di polizia, (che hanno appena iniziato a tornare), agiscono come autorità de facto a livello di strada.
Come mi ha detto un amico libico «Ora è tutto sottosopra». Gli abitanti hanno aperto molti dei vecchi centri di potere della classe dominante, dagli uffici della sicurezza ai palazzi di Gheddafi. Si possono passare pomeriggi passeggiando nelle ville di Gheddafi o a setacciando documenti nei comandi dei servizi segreti. Gli abitanti hanno sequestrato alcune delle case e delle prigioni di Gheddafi e le hanno trasformate in una specie di musei. L’immensa piscina nella casa di Aisha Gheddafi, costruita con denaro appartenente di diritto ai comuni libici, è stata trasformata in una piscina pubblica. In alcuni quartieri, gli abitanti hanno espropriato alberghi e ristoranti, cacciando i proprietari filogheddafiani e gestendoli direttamente.
Lo stesso senso di avere potere, di immaginare l’impossibile, che pervadeva l’Egitto dopo la sua rivoluzione esiste qui.

 

2. Ci sono varie forze in competizione per la direzione della rivoluzione, che includono:
a) I capi della rivoluzione di Tripoli, che hanno diretto il movimento sul posto fin dal primo giorno, in febbraio, spesso con scarso contatto diretto con la NATO;
b) I rivoluzionari di Tripoli che erano basati altrove, a Bengasi, in Tunisia o più lontano all’estero e che stanno tornando;
c) Le correnti islamiste guidate da religiosi eminenti;
d) Il Cnt di Bengasi, sostenuto dagli Usa e in particolare il quasi governo Comitato Esecutivo;
e) Le forze militari di Tripoli, a loro volta divise in due fazioni, una sotto il comando dell’ex islamista Abdel Hakim Belhaj, e l’altra sotto il controllo di ex uomini di Gheddafi. Belhaji, che era stato imprigionato e torturato in seguito alla collusione tra gli Usa e Gheddafi, ha un qualche sostegno popolare nella Libia orientale e si ritiene sia sostenuto dal Qatar;
f) Circa 40 kataiba, o brigate, ribelli da varie parti del paese.
Molte di queste kataiba sono organizzate sulla base della loro città o tribù di origine, e in genere sono finanziate in modo indipendente. In qualche caso sono sostenute da ricchi uomini di affari dall’esterno del paese. Le kataiba hanno per lo più resistito a porsi sotto l’autorità di uno qualsiasi dei gruppi prima citati: la brigata Misurata, ad esempio, ha preso il controllo di alcuni quartieri di Tripoli, suscitando tensioni con gli abitanti.
È del tutto incerto quale di queste forze vincerà. Il Cnt, sostenuto dagli Usa, è molto debole e ha un limitato sostegno popolare. Dimostrazioni contro sono già scoppiate in varie città, compresa Bengasi. A metà settembre, il Cnt è ancora in competizione con un’ampia schiera di gruppi ribelli e fazioni politiche per il controllo del paese.
Allo stesso tempo, nonostante le confortevoli relazioni con l’Occidente, il CNT è stato costretto a opporsi a una forza di sicurezza delle NU sul terreno, in larga misura un adattamento alle pressioni popolari esistenti.

 

3. La natura frammentata delle forze ribelli è la conseguenza diretta del modo di governo di Gheddafi. Sostenuto dai soldi del petrolio, Gheddafi ha potuto mantenere il potere senza sviluppare le istituzioni politiche comuni in altri Stati.
In Libia non c’era un partito di governo, c’erano una piccola burocrazia e un esercito debole e diviso. Invece, il potere in Libia era largamente informale e mediato da reti clientelari, al centro delle quali stava il Fratello Guida. La base della classe dominante era estremamente ristretta: alcune tribù, membri della famiglia Gheddafi e una costellazione di agenzie di sicurezza erano i principali beneficiari della ricchezza del petrolio.
Anche quando il paese fece una svolta neoliberista dopo il 1999, l’apertura dell’economia beneficiò una frazione ridotta della classe dominante. Per questa ragione, diversamente dalle rivoluzioni di Egitto, Tunisia e Siria (ma alquanto simile a quella dello Yemen), un settore della classe dominante ha rotto con lo Stato per dirigere la rivoluzione. Ma questo settore della borghesia nazionale – in particolare ex generali, ministri e importanti uomini d’affari, assieme alla classe media (medici, avvocati e simili) – si basa interamente sulla sollevazione popolare sotto di loro.

La sollevazione è anche radicata nella specificità del governo di Gheddafi. L’economia è estremamente indifferenziata: anche dopo quattro decenni del suo governo, il petrolio rimane l’attività economica primaria del paese. A parte alcuni progetti simbolici di sviluppo, la maggior parte della spesa statale andava nel mantenimento della rete clientelare o in avventure all’estero. Questo ha portato a una classe lavoratrice ridottissima, molto più piccola che nei vicini Egitto e Tunisia. (Lo stesso settore del petrolio è fortemente dipendente dal lavoro e dalla tecnica straniera, e la maggior parte dei beni di consumo è importata).
Nel frattempo, la vita sotto Gheddafi è diventata sempre più difficile. I salari sono stati sostanzialmente bloccati ai livelli del 1980, mentre gli affitti e i prezzi degli alimentari andavano alle stelle, certi sussidi statali venivano tagliati sotto il neoliberismo, e i perduranti effetti del regime di sanzioni appoggiate dall’Onu degli anni 1990 hanno lasciato il settore del petrolio nell’urgente bisogno di un ammodernamento, e lo Stato è rimasto più repressivo che mai.
Questi fattori hanno portato in definitiva alla rivoluzione. Ma, diversamente da Egitto e Tunisia, l’assenza di una forte classe lavoratrice (sia numericamente che politicamente), la scarsità di partiti politici e l’assenza di una società civile hanno fatto sì che la lotta sia diventata una lotta armata. Questa è stata posta sotto il comando di un settore della vecchia classe dominante, ma in modo caotico: giovani ribelli che si univano a gruppi rivoluzionari basati sulla loro tribù o città natale o su qualsiasi uomo d’affari che potesse dare loro armi e veicoli. Il livello politico dei ribelli è bassissimo, di qui il brutale razzismo che appesta la vittoria dei ribelli.

 

4. Malgrado la natura popolare della rivoluzione, la debolezza delle strutture politiche in Libia significa che le possibilità che un’ala sinistra emerga da questa sono estremamente scarse. Erano però ancora più scarse sotto Gheddafi, e la rivoluzione dà alla società libica lo spazio perché una simile possibilità si sviluppi. Non verrà presto – richiede una ristrutturazione dell’economia, una crescita della classe lavoratrice e così via – ma per la prima volta nella sua storia la Libia ha una possibilità. Per questa sola ragione, la rivoluzione andrebbe sostenuta. Inoltre, la vittoria ha dato nuova vita alle sollevazioni attraverso il mondo arabo, particolarmente in Siria e Yemen.
È possibile, però, che le forze che alla fine emergeranno in cima continuino le cose nel modello di Gheddafi. È troppo presto per dire chi sarà il vincitore finale della rivoluzione libica, ma sappiamo chi cercherà di determinare il risultato.
Gli Usa e i loro alleati continueranno a cercare di subordinare la rivoluzione ai loro interessi. Hanno sostenuto un settore dei ribelli che sembra mancare di una base nazionale, in uno sforzo di controllare il corso delle rivoluzioni arabe. Non sono interessati a una genuina democrazia ma a una democrazia limitata, controllata, e asservita alle loro esigenze. Il compito principale per gli attivisti negli USA è di confrontarsi con questa realtà e di contribuire a dare alla rivoluzione libica lo spazio per crescere.

*Il testo è stato tradotto in italiano da Gigi Viglino ed è apparso sul sito di sinistracritica.