Nel commentare, nel marzo 2010, la vittoria del referendum contro l’aumento del tasso di conversione delle casse pensioni (LPP), avevamo scritto: “Così, per rimanere sul tema in votazione, sappiamo quanto sia fasullo dire che si è “sventata” la diminuzione delle rendite; non solo perché la diminuzione è in atto proprio attraverso lo stesso meccanismo ieri rifiutato (cioè il passaggio dal 7,2% al 6,8% deciso nel 2003).
Ma, soprattutto, perché la LPP offre alle classi dominanti numerosi strumenti per continuare nella loro offensiva contro le rendite: basterà diminuire (o non aumentare) di un piccolo percento il tasso di interesse sugli averi del secondo pilastro (decisione che spetta al Consiglio Federale e contro la quale non si può nemmeno promuovere un referendum) per ottenere lo stesso risultato oggi “sventato”.
La cosa si sta puntualmente verificando. Facendo leva sulla diminuzione dei rendimenti sui mercati finanziari la commissione federale della previdenza professionale (Commissione LPP) raccomanda al Consiglio Federale, al quale spetta la decisione, di ridurre la remunerazione degli averi di vecchia della previdenza professionale. La proposta vuole abbassare questo tasso dall’attuale 2% all’1,5%.
Una lunga marcia verso il basso
Nel 2002 il tasso di conversione era ancora al 4%. Un importo rimasto tale per moltissimi anni, anche quando, naturalmente, i rendimenti sui mercati azionari avevano raggiunto livelli ben più elevati e i rendimenti stessi degli investimenti delle casse pensioni (anche al di fuori del mercato azionario e obbligazionario) avevano raggiunti livelli cospicui. Ma, dopo 18 anni di “stabilità”, molto utile come detto per gli investitori e le casse pensione (in gran parte controllate da banche, assicurazioni ed altre istituzioni finanziarie), dal 2002 il tasso di interesse ha cominciato a scendere.
Lo stesso è avvenuto con l’altro elemento decisivo per determinare l’evoluzione delle rendite: il tasso di conversione (cioè quella percentuale che si applica al capitale di vecchia accumulato per calcolare la rendita annuale: ad esempio dato un tasso di conversione del 6% ed un capitale di vecchia di 300’000 franchi, la pensione annuale sarà di 18’000 franchi).
Ebbene questo tasso di conversione, attualmente del 6,95% per gli uomini e del 6,90% per le donne. Sulla base di una revisione di legge in vigore dal 2005 nel 2013 per le donne e nel 2014 per gli uomini tale tasso verrà abbassato al 6,8%, con conseguente diminuzione delle rendite. La vittoria del referendum del 2010, val la pena ricordarlo, non ha fatto altro che opporsi ad un tentativo di accelerare ulteriormente l’abbassamento di questo tasso, sulla base della modifica di legge già approvata nel 2005.
Un ulteriore attacco al salario sociale
La congiunzione di questi due elementi (diminuzione del tasso di conversione e proposta diminuzione del tasso di interesse) rappresentano a medio e lungo termine una diminuzione importante delle pensioni, un attacco quindi al salario indiretto che, unitamente al salario diretto e alle prestazioni sociali in senso ampio, rappresentano quello che possiamo definire il salario sociale.
Un attacco che ormai non conosce requie e che si è accelerato in questi ultimi anni di crisi finanziaria ed economica. Prestazioni pubbliche (sotto forma di contrazione delle prestazioni complessive dei servizi e delle prestazioni dello Stato), pensioni (salario differito) e salario diretto sono ormai sistematicamente rimesse in discussione, contribuendo così ad un attacco senza precedenti al salario sociale.