Sabato 1° ottobre si terrà a Berna una manifestazione in difesa dei diritti dei migranti. Pubblichiamo qui di seguito la versione italiana del volantino distribuito dall’MPS (Red)
La manifestazione del 1 ottobre 2011 esprime la volontà di tutte quelle persone che rifiutano le formule utilizzate, quotidianamente, dai governi europei: “ Bisogna resistere alla pressione migratoria e lottare contro gli immigrati illegali.” In effetti, la storia della Svizzera ci dimostra che tutti coloro che cominciano ad accettare questo genere di formule – in nome del “realismo” politico! – si ritrovano poi ad accettare, sulla stessa lunghezza d’onda, l’insieme concreto degli atti discriminatori e repressivi contro i migranti.
Così facendo, i governi violano, almeno, due diritti umani fondamentali. Il primo iscritto nell’articolo 13 della “Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo” del 1948: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.” Il secondo si rifà all’articolo 7: “Tutti [ gli esseri umani] sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. [ compresa] un’eguale tutela contro ogni discriminazione.”
Tutti coloro che condividono questi principi fondamentali non possono che pronunciarsi: 1° per la regolarizzazione di tutti i sans-papiers; 2° per il rifiuto delle molteplici discriminazioni che colpiscono una parte importante degli immigrati.
In questa direzione appare possibile consolidare un fronte sociale e politico allargato e pluralistache permetta di raggiungere tali obiettivi che esigono un rispetto irrevocabile dei diritti umani universali.
È tuttavia necessario avanzare nella nostra riflessione per estendere questo impegno in difesa della dignità umana. Per far ciò, tentiamo di rispondere a una domanda fondamentale: perché, in questo periodo storico, assistiamo ad una crescita di campagne razziste e xenofobe come pure a politiche istituzionali segnate da queste paure?
Nascondere il conflitto Capitale-Lavoro
In un contesto di crisi del sistema capitalista si sviluppa un attacco in piena regola contro i salari, l’impiego, le condizioni di lavoro, i diritti sociali (Assicurazione Disoccupazione, AVS, AI, assicurazione malattia ecc.) e contro alcuni diritti sindacali, di per sé già molto ridotti. L’obiettivo prioritario di questa offensiva: aumentare la parte di ricchezza sociale a favore dell’oligarchia finanziaria che è al comando del paese. Due dati per illustrare questa tendenza: dal 2008 al 2010, la parte dei salari nel Reddito nazionale è scesa: da 62,7% a 55,4%. Quella dei profitti e dei redditi da capitale è aumentata: da 37,3% a 44,6%.
Per imporre – senza “disordine” – questo genere di amputazione sociale, la classe dominante utilizza diversi prodotti anestetici. Un metodo tradizionale è quello di sostituire all’opposizione effettiva tra Capitale e Lavoro un “conflitto” costruito artificialmente e con perseveranza dai detentori del potere: quello tra “Svizzeri e immigrati”.
Il termine “immigrato” può assumere diverse connotazioni, secondo i bisogni del momento e le esigenze di strumentalizzazione: “i sans-papiers”, “i lavoratori in nero”, “gli illegali”, “quelli che ci rubano il lavoro”, “quelli che approfittano dell’AI o dell’assicurazione disoccupazione”, “gli extra-europei”, “quelli che non corrispondono ai bisogni di manodopera specializzata dell’industria”, “i Rom mendicanti”, ecc.
In altre parole, in questa subdola guerra sociale, il campo di battaglia avrà la seguente errata configurazione. Da una parte, “il nemico interno” – e alle porte del paese: “l’immigrazione di massa che ci vuole invadere”- sarà formata da differenti frazioni di migranti. Dall’altra parte, gli Svizzeri in blocco: padronato e salariati! Dovranno unirsi, in una battaglia comune, contro gli “approfittatori delle nostre assicurazioni sociali” e coloro che “minacciano il nostro lavoro e che non sono ben integrati”.
Certo, gli Svizzeri dovranno condurre questa lotta seguendo gli ordini dei “generali” che non possiedono tutti la stessa tattica e gli stessi interessi immediati. Vediamo un esempio.
L’organizzazione padronale economiesuisse afferma: “L’attuale immigrazione si rivelerà di grande utilità economica per la Svizzera come lo è stata già da undici anni. In effetti, l’immigrazione, soprattutto quella di giovani lavoratori che dispongono di una buona formazione, è importante per fronteggiare il problema della diminuzione della popolazione attiva.” Nel suo argomentario contro l’iniziativa UDC, economiesuisse dichiara: “Disponiamo già di criteri per limitare l’immigrazione in Svizzera… essa dipende già dagli interessi dell’economia.”
Traduzione: 1° il padronato sottolinea che una “preferenza nazionale” per l’impiego esiste già; 2° l’immigrazione deve essere strettamente sottomessa agli interessi economici. Ecco perché, secondo il padronato, l’iniziativa UDC – “Contro l’immigrazione di massa” – “deve essere chiaramente rigettata”, di fatto perché “inutile”. Economiesuisse insiste su un punto: la “capacità d’integrazione” dell’immigrato, già condiziona la sua possibilità di soggiorno in Svizzera. Leggete: deve già assimilare (“accettare senza fiatare”) le norme imposte dalla Pace del lavoro e le esigenze dei datori di lavoro. In una parola: bisogna continuare a selezionare accuratamente i migranti. Ma questa selezione “qualitativa” cambia continuamente il proprio percorso. Per esempio, utilizzare “l’esercito dei sans-papiers” anche per rispondere alle esigenze delle imprese di costruzione, del settore alberghiero, della ristorazione, delle pulizie, ecc. Importante è che i “sans-papiers” restino “senza-parole”! Questo l’obiettivo padronale, il governo deve garantirlo.
Tutto questo nutre il sospetto verso gli immigrati “non conformi” a queste regole. Ecco una politica economica ufficiale dalle tonalità xenofobe più soft rispetto al nodo politico centrale dell’UDC. Resta la sostituzione centrale menzionata precedentemente: la “questione sociale” – i tagli alle condizioni di vita e di lavoro della stragrande maggioranza dei salariati – è scomparsa dal dibattito politico a scapito della “problematica” del controllo e della selezione dell’immigrazione.
È su questo terreno che l’UDC e le sue iniziative ripetutamente xenofobe sono di una certa utilità per la classe dominante: esse facilitano i diversi giochi di prestigio xenofobi e la divisione tra i salariati.
Tutto questo non può che rafforzare il padronato, in un momento in cui le forze politiche di governo – sotto stretta sorveglianza dei “Führer dell’economia”, ai quali l’UDC fornisce più di un membro – conducono una politica antisociale e un inasprimento dello sfruttamento senza precedenti.
La xenofobia istituzionale
La divisione istituzionale ufficiale degli immigrati – dunque di salariati – si riflette, in Svizzera, nella lunga lista di differenti permessi di soggiorno e nell’inuguaglianza dei diritti che sanzionano. Questa si articola con la Legge federale sugli stranieri(LStr) e quella sull’asilo (LAsi) che regolamentano l’immigrazione nutrendo una xenofobia e un razzismo istituzionali. Queste leggi si armonizzano con Accordi come, per esempio, quello di Schengen-Dublino. Il risultato concreto di questa xenofobia istituzionale conduce al risultato seguente.
Il Consiglio federale e i governi cantonali presentano, fraudolosamente, le loro decisioni come risposta, profondamente “ragionata”, alle “preoccupazioni dei cittadini e delle cittadine”. Quest’ultimi sono quindi bastonati in due modi.
- Il primo: da una campagna di propaganda – frutto di un’informazione mediatizzata che utilizza spesso il falso fascino degli “incidenti” – che costruisce un “nemico interno” che “ci aggredisce nella nostra vita quotidiana” e “sconvolge la nostra cultura cristiana”. Il capro espiatorio è subito individuato: il “clandestino”, i sans-papiers, i “musulmani”. Come se le autorità non avessero preso disposizioni (leggi e controlli amministrativi e polizieschi) per farne fronte! Ciò che, a questo punto, ufficializza e in qualche modo “giustifica” agli occhi della popolazione la propaganda xenofoba e razzista dell’UDC.
- La seconda: l’aumento dell’insicurezza sociale, della precarietà del lavoro, della disoccupazione, delle condizioni di lavoro che fanno dei lavoratori e delle lavoratrici un semplice numero che il datore di lavoro può gettare ad ogni momento come un rifiuto. Questa insicurezza rampante è vissuta in una forma molto individualizzata, angosciante, dato la debolezza della solidarietà collettiva, organizzata, attiva, sia sul piano sindacale che su quello sociale. Quindi la ricezione dei messaggi politici che rivendicano la “tolleranza zero”, la condanna di tutti quelli che abusano dei “vantaggi sociali”, di cui i richiedenti d’asilo sarebbero i primi beneficiari. Di fronte al disordine sociale quotidiano, le statistiche e le argomentazioni ragionate non contano; non sono ascoltate. La difficoltà nel proteggersi dagli effetti devastanti della mondializzazione capitalista apre la porta a un’idea: “proteggersi dallo straniero”, che può essere un nuovo immigrato o un sans-papiers.
Una doppia mobilitazione
L’UDC utilizza questo terrore “ufficiale” per portare, sempre più lontano, le aggressioni contro i migranti. Questo con un vantaggio ben riassunto dal consigliere nazionale e vice-presidente dell’UDC, Yvan Perrin: con la consigliera federale “socialista”, Simonetta Sommaruga, “abbiamo vinto nel cambio” (Le Temps, 29 gennaio 2011). Il confronto è stato fatto con l’implacabile Eveline Widmer-Schlumpf! Ma l’UDC sostiene tutti i tagli ai conti pubblici, tutti gli attacchi contro i servizi pubblici e le spese sociali di Eveline! Allo stesso titolo, l’UDC appoggia l’offensiva contro i salariati in nome del “pericolo per l’impiego legato all’apprezzamento del franco”. Detto altrimenti: Lavorate di più e guadagnate meno!
L’UDC ha certamente un ruolo di punta nella diffusione della xenofobia e del razzismo in questo paese. Tuttavia, esiste una forte complicità dei partiti di governo, legati al padronato: costruire una falsa immagine – la cosiddetta politica di “controllo dei flussi migratori” – per meglio nascondere il fatto che questo sistema genera le crisi economiche come le nuvole generano la pioggia e per meglio deviare le razioni dei salariati – di tutte le origini – contro gli attacchi che subiscono.
Di fronte a questa situazione, è urgente far convergere una doppia mobilitazione sul lungo periodo:
- una mobilitazione per la regolarizzazione collettiva di tutti i sans-papiers; per l’abolizione del regime di aiuto d’urgenza; per il diritto al matrimonio e al ricongiungimento familiare; per il diritto a l’accesso ai servizi sanitari, all’educazione, alla formazione; per la sospensione delle espulsioni;
- una mobilitazione per una protezione effettiva contro i licenziamenti; per un’estensione generalizzata delle convenzioni collettive di lavoro, con vincolo legale, che includano dei salari minimi e degli orari di lavoro massimi.
Solo così vi potrà essere una vera libera circolazione dei lavoratori e la possibilità di far rispettare i diritti umani e sociali contenuti nella Dichiarazione universale: “Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.” (Art. 23).