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Circa 4’000 persone hanno sfilato, sabato 1 ottobre, per le vie della capitale in difesa dei diritti dei sans-papiers al grido di “nessun uomo è illegale”. Diverse famiglie di stranieri (africani, indiani, afroamericani, italiani, turchi ecc.), di conseguenza più di una generazione, hanno manifestato al fianco di una parte della popolazione svizzera per rivendicare la regolarizzazione di tutti i sans-papiers.

 

 

DSC03153_800x600_-_CopiaUn momento di riflessione collettiva che ha permesso, a tutti i presenti, di constatare la condizione dei lavoratori sans-papiers e di comprendere come la Svizzera, in materia di politiche sugli stranieri, sia una nazione profondamente  xenofoba e ingiusta. Alcuni manifesti riportavano testimonianze di vita agghiaccianti: “siamo ammessi provvisoriamente e siamo precari!”, “10 anni di lavoro in Svizzera e ancora nessun permesso B!”. Parole che testimoniano sogni e speranze infrante di chi lascia un paese invaso da guerre imperialiste e condizioni di vita ai limiti dell’umano per poi giungere in una nazione che non da garanzie e accumula ricchezza sulle loro spalle! Non siamo noi, ma è la stessa organizzazione padronale economiesuisse [1], ad affermare che l’immigrazione dipende strettamente dalle esigenze economiche. La libera circolazione delle persone a partire dal 2004, afferma l’associazione padronale, ha permesso di compensare i bassi margini di crescita economica degli anni ’90. L’immigrazione è dunque servita a sostenere i consumi interni e a mantenere stabili gli investimenti immobiliari dovuti all’aumento della richiesta di alloggi. È facile capire come in un momento di profonda crisi economica e sociale come quello che stiamo vivendo, i sans-papiers siano uno strumento nelle mani del padronato per mantenere e aumentare i loro profitti a scapito dei salari. Essi, fuggendo da un contesto sociale ed economico disastroso, sono infatti meno propensi a “contestare” le ignobili condizioni di lavoro imposte dai datori di lavoro; quest’ultimi, inoltre, non prendono a carico nessun onere sociale e in caso di licenziamento non devono rispettare nessuna particolare procedura amministrativa o legale.

 

Tutto questo si inserisce in un contesto economico europeo (e mondiale) in cui i salariati e le salariate stanno pagando il prezzo di una crisi che non hanno creato. L’attacco allo stato sociale e ai salari è senza precedenti. Come riportato sul nostro volantino distribuito alla manifestazione, in Svizzera, dal 2008 al 2010, la parte dei salari sul Reddito nazionale è passata dal 62,7% al 55,4% mentre quella dei profitti è aumentata dal 37,3% al 44,6%. Se a ciò aggiungiamo l’erosione dello stato sociale (revisione LADI, AVS, AI, assicurazione malattia) notiamo come sia tutto il mondo del lavoro a subire lo spettro della precarietà.         È allora su queste basi che possiamo (e dobbiamo) prendere coscienza del nostro statuto comune di lavoratori e di generazione precaria e proporre una mobilitazione di lungo periodo. I lavoratori sans-papiers, i migranti, come pure i lavoratori e le lavoratrici “legali” e autoctoni, hanno costruito la Svizzera e continuano a produrne la ricchezza ma allo stesso tempo quel che ricevono sono solo briciole.

Per superare la divisione dei salariati, attuata  da governo e padronato, una doppia mobilitazione che sia in grado di coniugare i diversi interessi e bisogni della classe salariata è imprescindibile. Un’unione dei salariati che chieda la regolarizzazione di tutti i sans-papiers e il rispetto dei diritti sociali fondamentali per questa categoria di lavoratori e, allo stesso tempo, un rafforzamento dei diritti dei lavoratori e un miglioramento delle condizioni di lavoro: protezione dai licenziamenti e introduzione di un principio legale che prevede un salario minimo dignitoso per tutti i salariati e le salariate.

 

È una sfida complicata, ma la storia ci insegna che i lavoratori ce la possono fare!

 

[1] Fiche d’information 8: L’initiative UDC

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