Come le stagioni, puntuali e regolari, arrivano le rivendicazioni sindacali per gli adeguamenti di fine anno. La solita conferenza stampa, le solite rivendicazioni, le solite spiegazioni. A tal punto che le organizzazioni sindacali potrebbero semplicemente fotocopiare i testi dell’anno precedente ed inviarli ai datori di lavoro, ai giornalisti a tutti coloro che in qualche modo potrebbero essere interessati.
Anche quest’anno le rivendicazioni oscillano, in termini reali, tra il 2 ed il 3% dei salari (ai quali, sempre secondo le richieste sindacali).
Si va così dall’aumento reale di 100 franchi chiesto dagli edili (che l’hanno scorso, vale la pena ricordarlo, ne avevano chiesto 150 – ritenuti allora un minimo indispensabile – senza ottenere nulla), ad aumenti reali del 2-3% per ferrovieri, dipendenti pubblici e tutte le altre categorie.
Rivendicazioni surreali
Le rivendicazioni avanzate sono, come sempre evidentemente, più che sacrosante. Chiedere un aumento di almeno 100 franchi è il minimo che si possa chiedere dopo che negli anni scorsi i salari reali sono stagnati o addirittura diminuiti. Ma porre in questo modo le rivendicazioni, facendo astrazione dalla realtà effettiva nella quale queste rivendicazioni vengono formulate, appare quasi surreale. Due esempi che illustrano bene questa situazione.
Nel settore industriale legato all’esportazione (e non solo) sono ormai numerosi gli accordi che, in nome della lotta al franco forte, vedono i lavoratori costretti ad aumentare l’orario di lavoro. Una tendenza in atto in moltissime aziende e che appare alla luce del giorno solo nelle aziende più grandi che sono costrette ad annunciare pubblicamente queste misure sia per la loro notorietà sia perché hanno concordato tali accordi con le organizzazioni sindacali.
Questi accordi, come è stato spesso messo in luce, rappresentano di fatto una diminuzione del salario pagato per ogni ora lavorata, indipendentemente dal fatto che il salario nominale non diminuisce. Ebbene, che senso ha, in un simile contesto, una rivendicazione salariale quando sono stati fatti (o imposti) accordi tesi proprio a diminuire il costo del lavoro?
Lo stesso si sta verificando in un settore importante come quello dei ferrovieri. Come i nostri lettori ricorderanno il nuovo sistema salariale penalizza pesantemente i salari, aggiungendosi alle deduzioni salariali degli scorsi anni (in particolare per la cassa pensione) e ai mancati adeguamenti pure degli anni passati. Che senso ha, in questo contesto, parlare di aumenti reali?
Assenza totale di strategia
Se dal punto di vista delle rivendicazioni non ci siamo, da quello della strategia per ottenere soddisfazione è bui pesto. Non una parola, nel quadro della presentazione delle rivendicazione, sulle strategie che il movimento sindacale intende adottare per raggiungere i propri obiettivi. Obiettivi che, appare chiaro, diventano ancora più difficili nel quadro dell’attuale contesto di crisi economica e finanziaria. La resistenza padronale sarà ancora più forte degli anni scorsi (nei quali si era ottenuto poco o nulla) e i lavoratori rischiano di rimanere a bocca asciutta anche quest’anno.
Intanto siamo quasi a metà ottobre e gli spazi per reali mobilitazioni a sostegno delle rivendicazioni salariali sembrano ormai chiusi. La manifestazione nazionale di Unia dello scorso 24 settembre, come sempre ormai da qualche anno, non è, contrariamente a quanto ci si vuol far credere, l’inizio di un’intensa campagna di mobilitazione, ma il colpo conclusivo. Il resto si farà nell’ambito delle trattative.
E il fatto che in ballo, in diversi settori (edilizia, orologeria, ecc.), vi sia anche il rinnovo dei contratti collettivi di categoria non lascia presagire nulla di buono. Il “realismo” dei dirigenti sindacali è pronto a rinunciare ad adeguamenti salariali cospicui in cambio del mantenimento delle “conquiste” del contratto collettivo di lavoro (magari anche un po’ peggiorato).