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Nell’accordo concluso al vertice europeo vi è, prima di tutto, la cancellazione di una parte del debito greco. I governi hanno dovuto, alla fine, arrendersi all’evidenza: il paese è ormai asfissiato e la resistenza popolare è forte. Ma la questione è tutt’altro che risolta in un paese nel quale i ricchissimi armatori e la Chiesa ortodossa sfuggono a qualsiasi forma di imposizione fiscale (secondo proprietario fondiario del paese, la Chiesa è appena stata esentata dalla nuova tassa fondiaria di solidarietà).

L’iniquità dei sacrifici richiesti e la messa sotto tutela del paese hanno suscitato, nel fine settimana di Ognissanti, manifestazioni popolari che hanno portato all’annuncio del referendum  da parte del Primo ministro che, in questo modo, vuole tentare di far convergere il  malcontento popolare verso le urne. Questa operazione di per sé non sospende l’accordo anche se lo rimette seriamente in discussione.

Il fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) vede le sue risorse aumentare grazie alla messa in atto di una macchina finanziaria, nuovo strumento di indebitamento e speculazione. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) vi parteciperà e la Cina è stata chiamata in soccorso. Il suo governo potrebbe essere interessato ad aiutare i propri clienti. Resta aperta la questione delle contropartite che verranno richieste: commercio e diritti dell’uomo? Per finire non è poi per nulla sicuro, ammesso che funzioni, che tutto questo sarebbe sufficiente a garantire il debito italiano, se questo dovesse rivelarsi necessario.

Le banche, i cui rappresentanti hanno partecipato ai negoziati, hanno ottenuto una garanzia di 30 miliardi per potersi ricapitalizzare. E nell’accordo non vi è assolutamente nulla sulla regolamentazione dei mercati finanziari: dove è andata a finire la tassa sulle transazioni finanziarie annunciata da Sarkozy e Merkel?

Per accrescere la “disciplina” i governi si sono accordati su un punto essenziale, il controllo dei conti degli Stati da parte della Commissione europea e l’iscrizione, nelle rispettive Costituzioni, di tutto quanto concerne la cosiddetta “regola d’oro” [cioè l’iscrizione nella Costituzione del principio dell’equilibrio dei conti pubblici NdT] per il 2012. Misure queste adottate senza alcuna discussione, né tantomeno alcuna consultazione popolare.

Per i popoli europei la prospettiva è quella di politiche estreme di austerità. Con tutte le estreme drammatiche conseguenze sociali…nello stesso momento in cui ci troviamo in una fase di forte rallentamento della crescita. All’inizio dello scorso mese di agosto, la previsione di crescita della produzione francese per il 2012, ad esempio, si fissava ancora al 2,25%; poi è stata ridotta all’1,75% e nei giorni scorsi Sarkozy ha annunciato che raggiungerà a malapena l’1%! Una ulteriore conferma che dietro la crisi finanziaria, continua la crisi globale del capitalismo.

Fondamentalmente questo “accordo” è la concreta dimostrazione che non vi sono soluzioni possibili nel quadro delle regole di Maastricht e di Lisbona. Tutta la costruzione europea capitalista è in crisi. Le classi dominanti non hanno altro orizzonte che il mantenimento del liberalismo e dell’austerità ad oltranza.

 

Quali sono le vie per una altra Europa sociale ed ecologica?

 

Gli attuali trattati rappresentano un quadro da un lato totalmente messo in discussione dalla crisi e,  dall’altro, totalmente inadatto alla costruzione di un’Europa sociale ed ecologica. Dobbiamo costruire un’altra Europa senza i trattati di Maastricht e di Lisbona. E questo potrà avvenire solo mettendo in atto le seguenti misure:

– un rigido controllo dei movimento di capitali (se possibile a livello europeo, altrimenti a livello degli Stati che saranno d’accordo)

– Blocco del ricorso da parte degli Stati ai mercati finanziari. Riforma fiscale che permetta di farla finita con i vantaggi per i ricchi e le grandi imprese e permetta così di raccogliere risorse supplementari. Soppressione delle regolamentazioni che impediscono alla Banca centrale di finanziare di deficit.

– Mettere le banche al servizio di una politica di trasformazione sociale ed ecologica. Nazionalizzazione integrale del sistema bancario senza alcuna indennità e messa in atto di un controllo sociale e democratico sul suo funzionamento.

– Moratoria immediata del pagamento del debito (interessi e principale) dello Stato, preludio ad un annullamento del debito illegittimo

. Fissazione di un salario minimo legale in ognuno dei paesi europei

– Realizzazione di servizi pubblici su scala europea, prima di tutto nel settore dei trasporti e dell’energia.

Molte di queste rivendicazioni sono, in forme diverse, sostenute da forze politiche e sociali che vanno ben al di là dell’NPA [si tratta del Nouveau Parti Anticapitaliste del quale l’autore fa parte NdT]. Siamo pronti a mobilitarci con tutti coloro che sono pronti a muoversi in questa direzione. Ma una cosa deve essere chiara: per realizzarle non possiamo contare per nulla né sui governi attualmente al potere, né su quello che, in Francia, si prepara a sostituirlo, con alla testa un François Hollande totalmente  solidale con i suoi colleghi socialisti oggi al governo in Spagna e in Grecia.

Per costruire un’Europa dei lavoratori e dei popoli, ci vorranno ampi movimenti sociali e democratici, una mobilitazione prolungata e determinata “dal basso”, della quale il movimento degli “Indignati” non è stato che un prologo.

 

* articolo apparso sul settimanale “Tout est à nous” del 3 novembre 2011. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.