Comprendiamo la soddisfazione e il senso di liberazione che si provano per il crollo politico di Berlusconi. Tuttavia è una gioia di breve durata se il prossimo governo adotterà e proverà a realizzare il programma economico e sociale contenuto nella lettera della Bce e nei 39 punti che la ripropongono e la precisano.
La verità è che Berlusconi è crollato non sotto la spinta nostra, ma per quella dei “mercati”. Che poi sono quei miliardari in carne ed ossa, capaci in poche ore di muovere ingenti capitali, di far crollare le borse, di svalutare pesantemente i titoli di stato. Berlusconi è sfiduciato dal capitalismo internazionale e dalla borghesia italiana, sono loro che l’hanno fatto cadere e sono loro che presentano il conto. Naturalmente se Berlusconi avesse avuto consenso, se non ci fossero state le nostre lotte e le nostre mobilitazioni, oggi sarebbe ancora in sella, probabilmente anche con quel consenso padronale che sinora l’aveva sostenuto. Ma resta il fatto che se noi abbiamo scosso l’albero, è il grande capitale che pensa di raccogliere la frutta e di portarcela via.
Il governo Monti non sarà un governo tecnico, anche perché nessun governo è mai tale, se non nella cultura politica reazionaria. Il governo Monti sarà un governo democristiano, confindustriale, tecnocratico, legato strettamente alle scelte dei grandi poteri economici europei e internazionali.
Se il movimento americano in questi mesi aveva come slogan “occupiamo Wall Street”, noi rischiamo di essere occupati dalla Bce, e anche da Wall Street.
Mi si potrebbe dire che la mia è una posizione preconcetta, ma invece essa si basa esclusivamente sul mandato che la grande informazione, e in generale l’establishment, stanno conferendo a Monti. Realizzare un programma impopolare, tagliare le pensioni, flessibilizzare – ancora! – il mercato del lavoro, privatizzare a man bassa, il tutto condito da una patrimoniale che ha il solo scopo di dimostrare che tutti pagano qualcosa, cambiare la Costituzione a favore del mercato. Più volte Mario Monti ha annunciato questo programma, pensare che lo smentisca nel momento in cui va al governo è davvero una sciocchezza.
Saremmo quindi di fronte a un governo alla greca che, in nome del debito e dei vincoli europei internazionali, ci imporrà drammatici sacrifici. E’ una logica di guerra quella che ci viene proposta, come più volte è stato detto rispetto alla Grecia. E le logiche di guerra, come sempre, uccidono prima di tutto la verità e la democrazia. Su questo siamo in totale disaccordo con la linea politica espressa dal Presidente della Repubblica. Che non è un sovrano assoluto e quindi è perfettamente e doverosamente criticabile quando compie scelte di indirizzo economico e politico.
Già alla Grecia è stato impedito di fare un referendum sulle scelte economiche. Il solo annuncio di esso, di cui erano evidenti le ragioni strumentali, da parte del primo Ministro di quel paese ha portato alla caduta del governo. Da noi il governo “tecnico” impedisce le elezioni immediate, che tra l’altro avrebbero l’effetto di seppellire definitivamente sotto una valanga di voti il sistema di potere berlusconiano. Anzi, grazie a questo possibile governo, la destra avrà l’opportunità di riorganizzarsi e di giocare carte populiste, come sta avvenendo in tutti i paesi europei. Rischiamo quindi di pagare sul piano sociale ed economico un costo drammatico e di ritrovarci, alla fine, una destra che accuserà altri del massacro sociale compiuto.
Questa drammatica crisi della nostra democrazia è davvero il segno di un collasso di una classe dirigente incapace di reale autonomia rispetto alle spinte del mercato. La crisi non è finita e non finirà, neppure con il governo del grande capitale. La recessione in arrivo non sarà certo fermata, ma anzi accentuata dai tagli che verranno fatti per pagare il debito pubblico. Tutti gli indicatori economici dell’economia reale dicono che le cose non vanno e che non andranno a posto. Perché, come molti inascoltati economisti hanno affermato, la questione prioritaria non è pagare il debito, rassicurare la finanza e i mercati, ma ricostruire l’eguaglianza sociale. Senza di essa non c’è all’orizzonte alcuna possibile ripresa economica e la crisi peggiorerà. Ma rilanciare l’eguaglianza sociale significa andare nella direzione esattamente opposta a quella “suggerita” dalla lettera della Bce. Significa alzare i salari ed estendere i diritti, pubblicizzare i beni comuni, varare milioni di piccole opere in alternativa alle catastrofiche grandi opere come la Tav in Valle Susa, recuperare risorse dai ricchi, dalla finanza e dall’evasione fiscale per investire nella riconversione del modello produttivo. Tutto questo significa oggi non pagare un debito inesigibile e colpire proprio quegli interessi che portano Mario Monti alla soglia del governo. Tutto questo significa una profonda rottura con le politiche economiche di questi ultimi trent’anni. Invece si chiama al capezzale della crisi italiana quella classe imprenditoriale e tecnocratica le cui scelte di fondo hanno portato l’Europa alla crisi.
C’è un solo fatto positivo, lo diciamo con rabbia e amarezza, in tutto questo. Se davvero Monti dovesse fare il suo governo con il sostegno bipartisan saremmo entrati in una nuova fase della politica italiana, sarà la fine della seconda repubblica delle alternanze che non cambiano nulla e sarà evidente che a questo governo bisogna opporre un’alternativa sociale e politica da sinistra.
Onestamente vorremmo non essere a questo punto drammatico e doloroso, ma visto che ci siamo arrivati e non certo per nostra responsabilità, adesso diamoci da fare per costruire un’opposizione politica e sindacale, civile e democratica al governo della Bce.
* articolo apparso sul quotidiano Liberazione venerdì 11 novembre. Giorgio Cremaschi è segretario della FIOM-CGIL e presidente del comitato centrale della FIOM