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E’ finita. Nonostante i colpi di coda e la minaccia di non arrendersi, il leader del centrodestra ha chiuso il suo corso politico. Si apre una fase di normalizzazione. Esisterà una lettura di classe e un’opposizione sociale unitaria? E’ la scommessa delle prossime settimane. 

Le scene di festa viste davanti al Quirinale la sera delle dimissioni di Silvio Berlusconi dicono di un’attesa che va al di là della politica. Lo spiazzamento per lo stesso Pdl, l’effetto politico che le scene trasmesse dalle tv di tutto il mondo hanno avuto sul centrodestra fino a spingere lo stesso Berlusconi a registrare un video-messaggio per rassicurare i suoi elettori, stanno lì a dimostrare la rilevanza di una serata epocale. Nonostante i colpi di coda, e un certo attivismo che è facile prevedere, ci sembra chiaro che la presa berlusconiana sulla scena politica sia finita. E’ finito il tocco magico, l’impatto scenico, la centralità politica che Silvio Berlusconi ha avuto per oltre quindici anni. Lo stupore nei confronti della contestazione di piazza Quirinale – civilissima, spontanea, popolare, a tratti gioiosa – dimostra proprio la distanza accumulata con il sentimento del paese. E la risposta di piazza, organizzata scompostamente e in tutta fretta, nel pomeriggio di domenica 13 novembre, rivela un nervosismo evidente.
Berlusconi ha voluto provare un nuovo braccio di ferro, o semplicemente rilasciare un attestato della propria esistenza in vita, con il messaggio videoregistrato inviato ai tg della sera. Con senso politico inconfutabile il presidente Napolitano è però uscito dal suo studio per leggere un lungo comunicato proprio alle otto di sera, giusto in tempo per togliergli la scena. Lo stesso ha fatto Mario Monti che ha accettato l’incarico conferitogli dal Capo dello Stato anche se con riserva. E il Tg1, stavolta, non ha trasmesso il video intragrale ma una riassunto della redazione.
Per Berlusconi era finita da un bel po’ di tempo fa, già all’epoca della rottura di Fini (che oggi passa all’incasso). E come ha fatto notare l’opinionista politico del Sole 24 Ore, Stefano Folli, il segnale più importante della fine d’epoca si era avuto alle elezioni amministrative della scorsa primavera, con la sconfitta durissima a Milano e Napoli e con la scoppola del referendum su acqua e nucleare. Ancor di più è finita nel mezzo di una crisi di cui il governo uscente non ha capito nulla e a cui non ha saputo rispondere se non con attacchi rabbiosi contro i diritti del lavoro.
Avremo tempo per fare un bilancio di questi anni oscuri. Certamente, salta un tappo, la politica italiana può forse tornare a concentrarsi sui contenuti, piuttosto che sugli schieramenti, e con Berlusconi e il berlusconismo potrebbe evaporare anche l’antiberlusconismo. Che per chi, come noi, si è impegnato nella costruzione di un progetto anticapitalista ha costituito una catena difficile da spezzare anche per i tanti errori soggettivi della sinistra politica. Ma anche per un evidente fattore oggettivo, visibile nella contentezza che sabato sera ha riguardato tutti noi. L’esigenza del “fronte democratico” è stata la dominante degli ultimi diciassette anni che non scomparirà di colpo ma che potrebbe finalmente ritornare nei suoi limiti naturali.

Questo dato potrebbe costituire una risorsa importante nell’affrontare l’altra novità politica, la nascita del “governo tecnico”. Su questo è bene fare una precisazione sul metodo prima di affrontarne la natura. Il governo Monti, se nascerà, non è un governo “imposto dai mercati“, figlio delle banche o dell’Europa, espressione di una nuova colonizzazione a guida tedesca e cose di questo tipo. E’ un governo politico, figlio della Costituzione italiana e frutto della deliberazione libera e sovrana del Parlamento italiano. Nessuno costringe Bersani, Fini, Casini a far nascere questo esecutivo. E’ la loro natura politica, gli orientamenti, le scelte ormai introiettate. E per quanto riguarda il Pd, ma l’analisi potrebbe essere estesa a Di Pietro e all’Idv, si tratta dell’ennesima conferma, forse la più esplicita e definitiva, del suo essere “partito della borghesia”, partito in cui gli “interessi dell’Italia” sono gli interessi dell’intero establishment. Italiano ed europeo.
Il governo Monti non avrà equivoci: il suo programma ricalca quello di Confindustria e della Bce, probabilmente edulcorato da una “equità” che significherà far pagare ai lavoratori quello che, solo in minima parte, pagheranno imprese e banche. E la patrimoniale di cui si parla con insistenza non sarà che una redistribuzione di risorse in quota capitale, cioè prelevate dai redditi per versarla alle banche e alla finanza. E’ una scelta, sia chiaro, è una linea politica e come tale va giudicata e combattuta.
Il governo Monti è quindi del tutto legittimo, in democrazia parlamentare, perché rappresenta una scelta volontaria. Proprio per questo è doveroso organizzargli un’opposizione adeguata. Altrimenti, l’unica opposizione sarà quella della Lega e dei giannizzeri di Berlusconi. E questo è davvero il pericolo più grande, l’unica sequenza che prevede un possibile ritorno del Cavaliere, per quanto altamente improbabile.

Che opposizione? Con chi? Come? Difficile stabilirlo in astratto perché l’acqua passata sotto i ponti della sinistra ha portato scorie, massi e rami secchi. Le forze che discendono da quella che fu Rifondazione, dalla sinistra sindacale, dai movimenti sociali che ebbero un momento di grande risalto durante i social forum, sono indebolite, fragili, scosse e forse ancora frastornate. Eppure oggi servirebbe ancora una volta uno scatto, la capacità di realizzare un “fronte unitario” per cercare di contrastare il nuovo corso politico. Che punta a una normalizzazione di fondo, una politica in cui si sfumano le differenze sociali tra destra e sinistra in nome dell’unità di stampo liberale e dell’emergenza nazionale. Una normalizzazione che non può che estendersi anche a tutti gli altri campi, compreso quello dell’ordine pubblico.

C’è una sinistra non molto grande che oggi è già attestata su queste posizioni. C’è poi la posizione di Nichi Vendola che rivela la sua organicità alle dinamiche del Partito democratico di cui ha deciso di essere una costola esterna. Una scelta che forse provocherà dei contraccolpi all’interno di quell’area che, su questo punto così nodale, sarebbero importanti e da valutare. Vedremo, ad esempio, come si muoverà un altro personaggio attratto dalla politica nel campo della sinistra come De Magistris. Ma ci sono poi forze sociali forse più importanti: la Fiom la cui vicenda non si è ancora conclusa (dipenderà dal contratto nazionale), i centri sociali che oscillano tra una anomala normalizzazione politica e il rilancio della propria storia e esperienza, i nuovi collettivi precari, l’arcipelago dei “beni comuni” che ha permesso la vittoria del Referendum di giugno o che regge lo scontro sulla Tav, il protagonismo delle donne. L’elenco potrebbe continuare.
Se un’epoca si è davvero chiusa, come noi pensiamo, quella che si apre è ancora ignota e le sue linee guida andranno ancora decifrate. Ma la partita in gioco, per quanto ci riguarda, è evidente: ci sarà o meno una lettura di classe, anticapitalista, ecologista, femminista adeguata alla fase, e una molteplicità di soggetti in grado di rappresentarla facendo fronte comune sul piano sociale per costruire un’opposizione reale e radicale? 
Ci sarà un processo di lotte, movimenti, vertenze, in grado di mettersi in relazione senza far assopire le diverse tendenze e opzioni, in grado di irrompere nello schema precostituito? Si apre una finestra per provare a far rivivere quello che ha cercato di esprimersi il 15 ottobre. Vedremo se si manterrà aperta o si richiuderà.

 

*tratto dal sito www.ilmegafonoquotidiano.it