Negli scorsi giorni abbiamo potuto assistere a due avvenimenti significativi delle tendenze in atto nel contesto politico-sociale europeo. Alludiamo qui alla “discesa in campo”, per formare nuovi governi, di due personaggi direttamente legati alle rispettive classi dominanti.
In Grecia è stato chiamato a dirigere il governo Lukas Papademos, in forza alla Banca Centrale Europea (BCE) dal 2002 al 2010 e della quale è stato anche vice-presidente. In Italia a formare il nuovo governo è stato chiamato Mario Monti, commissario europeo alla concorrenza tra il 1994 e il 2004. È significativo, e politicamente rilevante, che entrambi vengano da due delle istituzioni fondamentali che in questi ultimi anni hanno governato il processo di costruzione della Unione Europea (UE), orientandolo quale progetto al servizio della sviluppo degli interessi dominanti in Europa. Un progetto che ha visto sistematicamente rimettere in discussione le conquiste sociali sviluppatesi in Europa, attraverso politiche di rigore (dall’adozione dei criteri di Maastricht alle politiche di austerità imposte ad ogni Stato) e politiche di liberalizzazione in moltissimi settori (dall’energia ai trasporti, dalla sanità alla formazione). È a personaggi come loro (ed agli interessi fondamentali che essi rappresentano) che i paesi europei devono anche il loro declino: appare perlomeno paradossale che oggi vengano presentati come i “salvatori” delle rispettive patrie.
Un secondo punto che accomuna i due nuovi primi ministri è il fatto che non dovranno fare molta fatica stilare i loro programmi. Per entrambi il “cuore” dei loro programmi è già scritto. Per il nuovo governo greco si tratta tradurre in proposte di legge gli impegni assunti con UE, BCE e FMI nell’ambito del piano di salvataggio concordato a Bruxelles il 27 ottobre; per il nuovo governo italiano si tratta delle due “lettere” inviate nelle scorse settimane dalla commissione europea e dalla BCE. Come dire che i due primi ministri saranno i fedeli esecutori delle richieste delle istituzioni che hanno fedelmente servito negli scorsi anni.
E tocchiamo a questo punto un terzo aspetto: è un po’ come se a governare questi paesi vi fossero direttamente queste istituzioni, al posto di governi democraticamente eletti dai cittadini e dalla cittadine. Il processo di sviluppo della UE segna in questo caso un nuovo inquietante sviluppo. Dopo la perdita di sovranità sulla spesa pubblica e suoi conti pubblici, sull’organizzazione della formazione, dei trasporti, delle comunicazioni, ecc. ecco ora addirittura la perdita di qualsiasi sovranità sulla stessa formazione del governo. E questo, evidentemente, non in nome di obiettivi fissati democraticamente a livello europeo, sulla base di programmi e progetti che corrispondano agli interessi solidali dei cittadini europei. In quel caso una perdita di sovranità nazionale sarebbe benvenuta. No, tutto questo avviene per realizzare piani di “salvataggio” che servono a salvare gli interessi di pochi, delle banche, dei grandi finanzieri e dei grandi capitalisti dell’Europa e del mondo. Sono loro i primi a temere il default, mentre proprio mentre fanno finta di temere per gli altri, per il “paese”, per i “cittadini”.
E la cosa più triste, e che allo stesso tempo ci mostra il grado di arretramento a cui siamo giunti, è che la quasi totalità delle forze chi si dichiarano di “sinistra” appoggiano a piene mani e con grande entusiasmo l’azione che si preparano a realizzare questi rappresentanti più genuini delle classi dominanti. In Grecia, dopo aver condotto in prima persona, pesanti politiche di austerità; in Italia, dopo aver permesso che Berlusconi governasse indisturbato negli ultimi quindici anni.