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L’accordo intervenuto all’alba del 27 ottobre 2011 non porta alcuna soluzione alla crisi della zona euro, sia sul piano della crisi bancaria che su quello del debito sovrano o dell’euro. Le decisioni che sono intervenute riportano le scadenze senza risolvere i problemi in modo soddisfacente. Il CADTM considera che questo accordo è inaccettabile.

I capi di Stato e di governo, i dirigenti della Commissione europea, i padroni delle banche private e la direttrice del FMI erano riuniti a Bruxelles per  trovare una soluzione alla minaccia di fallimento a catena che pesa sulle grandi banche private europee, in particolare quelle francesi, spagnole, greche, italiane, tedesche, portoghesi, belghe,…. Queste hanno moltiplicato, prima e dopo 2007-2008, i comportamenti a rischio con l’obiettivo di realizzare il massimo di profitti a corto termine per soddisfare gli appetiti dei loro grandi azionisti e distribuire  bonus sostanziosi ai loro dirigenti e trader. I prestiti alle economie domestiche e alle imprese non rappresentano che una parte decisamente marginale della loro cifra d’affari: dal 2 a al 5%. Il sostegno massiccio che hanno ricevuto da parte degli Stati, della BCE e della Fed a partire 2007-2008 non è servito all’economia produttiva, è stato deviato verso attività altamente speculative, in particolare sui titoli dei debiti pubblici sovrani. Le banche private tendono così a finanziarsi a corto termine, assumendo tuttavia impegni a medio o lungo termine: obbligazioni di Stato o d’impresa, mercati a termine di materie prime e prodotti agricoli, swap sulle divise e una quantità di prodotti derivati che sfuggono a ogni controllo da parte dei  poteri pubblici. Il fallimento della banca franco-belga Dexia di inizio ottobre 2011 (cfr. Solidarietà  nro 19 del 20 ottobre 2011)  è il risultato di questa politica. L’effetto domino che minaccia di prodursi in Europa e oltre Atlantico ha pesato fortemente sulla riunione della notte tra il 26 il 27 ottobre scorsi.

La decisione di applicare un default (una riduzione del valore NdR) di un po’ più del 50% sui titoli greci detenuti dai banchieri allorché il summit europeo del 21 luglio scorso aveva previsto  una riduzione del 21%, era ormai diventata inevitabile a partire dallo scorso mese di agosto, a causa del crollo dei prezzi di mercato relativi ai debiti. Infatti, i titoli greci subivano un default tra il  65 e l’80% sul mercato secondario. Allorché i capi di Stato annunciano di aver imposto un un sacrificio importante alle banche, in realtà, ancora una volta, i banchieri se la cavano molto bene. È per questo che provvisoriamente assistiamo a un soprassalto dei mercati finanziari e a una risalita dei corsi delle loro azioni in borsa.

Per la Grecia, la decisione del 27 ottobre non costituisce in nulla una soluzione favorevole alla popolazione che subisce frontalmente gli effetti della crisi aggravati dalle politiche di austerità che le si infligge.

L’operazione attuale è interamente condotta dai creditori e risponde ai loro interessi. Il piano attuale di riduzione del debito è una versione europea del piano Brady che ha avuto degli effetti nefasti nei paesi in via di sviluppo durante gli anni 1980-1990.

Il Piano Brady(dal nome del segretario di Stato al Tesoro americano dell’epoca) consisteva in una ristrutturazione del debito dei principali paesi indebitati con scambio di titoli. I paesi partecipanti erano l’Argentina, il Brasile, la Bulgaria, il Costa Rica, la Costa d’Avorio, la Repubblica dominicana, l’Ecuador, la Giordania, il Messico, la Nigeria, Panama, il Peru, le Filippine, la Polonia, la Russia, l’Uruguay, il Venezuela e il Vietnam. All’epoca, Nicholas Brady aveva annunciato che il volume del debito sarebbe stato ridotto del 30% (in realtà, la riduzione, quando avvenne, fu molto più ridotta; in molti casi, e non pochi, il debito addirittura aumentò) e i nuovi titoli (i titoli Brady) hanno garantito un tasso di interesse fisso di circa il 6%, tasso favorevole ai banchieri. Questo assicurava anche la continuazione delle politiche di austerità sotto il controllo del FMI e della banca mondiale.

Oggi, ad altre latitudini, la stessa logica provoca gli stessi disastri. La troïka (BCE, Commissione Europea, FMI) impone un’austerità senza fine ai popoli greco, portoghese, irlandese. Se la reazione non arriva in tempo, altri seguiranno: Italia, Spagna, Belgio, Francia,….

Questo piano non permetterà alla Grecia di salvarsi per due ragioni fondamentali :

1. la riduzione del debito è largamente insufficiente;

2. Le politiche economiche e sociali applicate dalla Grecia per rispondere alle esigenze troïka fragilizzeranno ulteriormente il paese. Questo permetterà di caratterizzare come “odiosi”, i nuovi finanziamenti che saranno accordati alla Grecia nel quadro di questo piano, così come i vecchi debiti così ristrutturati.

La Grecia è costretta a fare una scelta tra due opzioni:

– rassegnarsi e sottomettersi alla troïka passando di nuovo sotto le sue grinfie;

– rifiutare i diktat dei mercati e della troïka sospendendo i pagamenti e lanciando un audit (verifica pubblica) con l’obiettivo di ripudiare la parte illegittima del debito.

Altri paesi sono già o saranno presto confrontati con lo stesso dilemma: Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna,… e la lista non è esaustiva. In ogni caso, ovunque nell’UE e a gradi diversi, le stesse politiche sono applicate; ovunque bisogna contestare i piani di austerità e lanciare la richiesta di “audit” cittadini sul debito pubblico.

L’esperienza dei 2007-2008 non ha assolutamente portato i governi a imporre regole di prudenza più severe.  Si dovrebbe invece prendere misure che impediscano alle istituzioni finanziarie,  a banche, assicurazioni, fondi pensione e altri hedge fund,  di continuare a nuocere. È necessario processare le autorità pubbliche e i manager responsabili diretti o complici attivi delle catastrofi borsistiche e bancarie. Nell’interesse della stragrande maggioranza della popolazione, è urgente espropriare le banche e metterle al servizio del bene comune, nazionalizzandole e mettendole sotto il controllo dei lavoratori e dei cittadini. Non solo bisogna escludere ogni tipo di indennizzazione dei grandi azionisti, ma conviene anche recuperare sui loro patrimoni i costi del risanamento del sistema finanziario. Si tratta anche di ripudiare i debiti illegittimi che le banche private reclamano nei confronti dei poteri pubblici. Bisogna evidentemente adottare una serie di misure complementari un controllo dei movimenti di capitale, divieto di speculazione, divieto delle transazioni con i paradisi fiscali e giudiziari, istituzione di una fiscalità che ha come obiettivo la giustizia sociale… Nel caso dell’Unione europea, è necessario abrogare i differenti trattati tra cui quelli di Maastricht e di Lisbona. È anche necessario modificare radicalmente gli statuti della Banca centrale europea. Allorché la crisi non ha ancora raggiunto il suo apogeo, non è troppo tardi per fare una virata radicale.

Il CADTM sostiene, con altre organizzazioni, le iniziative prese in differenti paesi per un “audit” cittadino del debito. Il movimento degli Indignati e “Occupy Wall Street” hanno lanciato questa dinamica molto creativa e emancipatrice. Bisogna rafforzarla.                         

 

L’articolo è apparso sul sito del CADTM lo scorso 28 ottobre. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.

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