Lo scorso 25 novembre i lavoratori edili di alcuni cantoni (Vaud, Ginevra, Zurigo e Berna) si sono mobilitati in difesa del contratto nazionale mantello (CNM) dell’edilizia e del genio civile in scadenza il prossimo 31 dicembre e che le parti (sindacati Unia e Syna) e Società Svizzera degli Impresari Costruttori (SSIC) non sono riuscite a rinnovare a causa di profondi disaccordi. Il 2 dicembre, quando questo numero di Solidarietà sarà già uscito, si terrà una giornata di mobilitazione unitaria (Unia e OCST) anche in Ticino.
Discrete mobilitazioni…
È assai probabile, vista la tradizione che regna ormai due decenni in questo settore in Ticino, che la mobilitazione del 2 dicembre, visto anche il suo carattere unitario, sia coronata da successo. Non saremmo sorpresi nel vedere due o tremila lavoratori edili sfilare per le strade a difesa del contratto. Così come non può essere misconosciuto l’aspetto positivo delle mobilitazioni che hanno avuto luogo nel Canton Ginevra e nel canton Vaud lo scorso 25 novembre. Al di là delle cifre ufficiali di parte sindacale, la partecipazione ha mostrato una certa tenuta della mobilitazione sindacale in cantoni nei quali una tradizione di lotta, in particolare nel settore della costruzione, fa parte della stessa tradizione sindacale oppure, come in Ticino, è stato il risultato di un rinnovamento sindacale degli ultimi due decenni.
…con i tradizionali elementi di debolezza
Detto questo non possono essere taciuti gli elementi di debolezza che queste manifestazioni mettono in evidenza.
In primo luogo essi confermano la debolezza sindacale in quelli che sono i “bastioni” della costruzione in Svizzera e una certa forza in cantoni sostanzialmente “marginali” dal punto di vista politico. Basti qui ricordare che il 25 novembre (se prendessimo per buone le cifre fornite dai sindacati) tra Berna e Zurigo avremmo assistito alla mobilitazione di non più di un migliaio di lavoratori. Una cifra assolutamente insignificante dal punto di vista dell’evoluzione dei rapporti di forza.
Ricordiamo che sugli oltre 80’000 lavoratori attivi nel settore principale della costruzione, un buon 25% (cioè uno su quattro) lavora in uno di questi due cantoni. Se a questi cumuliamo altri cantoni nei quali il movimento sindacale non è in grado di mobilitare i lavoratori (pensiamo a cantoni importanti dal punto di vista dell’occupazione nel settore edile quali il Grigioni, Argovia, San Gallo) arriviamo a totalizzare più della metà della manodopera occupata. Ed in questi cantoni sono attive le aziende che fanno concretamente la politica della SSIC e sulle quali sarebbe necessario esercitare una certa influenza attraverso una reale mobilitazione.
Tutto questo non è nuovo. Ma questa dicotomia tra regioni “periferiche” (sempre più) in grado ancora di mobilitarsi ed un centro sempre più abulico, presente ormai da molto tempo all’interno del settore, ci pare tenda a manifestarsi con sempre maggior forza.
Il secondo elemento che non può che preoccupare è il carattere ripetitivo, quasi rituale, che queste manifestazione stanno assumendo. Si tratta di azioni, certo legittime e importanti seppur con i limiti di cui abbiamo detto, che tendono a ripetere modi di azione e strategie degli scorsi anni. E questo in un contesto che tende a modificarsi radicalmente e che necessiterebbe strategie diverse.
Il fatto stesso che si è ormai ad un punto in cui appare quasi tecnicamente impossibile avere fin dal primo gennaio 2012 un nuovo contratto, il fatto che il padronato abbia deliberatamente tirato per le lunghe le trattative (“portando a spasso” per certi aspetti i dirigenti sindacali), tutto questo avrebbe dovuto suggerire che forse siamo entrati in un contesto nuovo. E che di fronte a tutto questo sarebbe necessario riflettere su una nuova strategia di azione che non può essere la ripetizione di quelle del recente passato.
E ora?
Finita questa prima tornata di mobilitazioni si dovrebbe tornare alle trattative. Pensiamo che sia questo lo schema che immaginano le direzioni sindacali. Dipenderà molto dalle valutazioni padronali. Se i padroni decideranno di concedere qualcosa (quello che si erano già impegnati a dare in sede di trattative: e che francamente ci pareva ben lontano dalle proposte e richieste sindacali) è possibile che le direzioni sindacali accettino, “vendendo” questo magro risultato come frutto della mobilitazione e valorizzando, soprattutto, il fatto di aver “salvato” il CNM messo in pericolo dal padronato.
Potrebbe tuttavia succedere che il padronato voglia “saggiare” la capacità di resistenza e di azione del sindacato prima di concludere un accordo contrattuale al quale, presumibilmente, non pare orientato, almeno per il momento, a rinunciare. In questo caso, alla luce della mancanza di una strategia adeguata, la posizione sindacale ci pare assai difficile. E per i lavoratori sui luoghi di lavoro si annunciano mesi molto difficili.