Il risultato del recente vertice, l’ennesimo in soccorso dell’euro e dell’Unione europea così come l’abbiamo fin qui conosciuta, è duplice ed annuncia tempi grami per i salariati e i cittadini europei, svizzeri compresi.
La crisi del cosiddetto debito sovrano si conferma, sempre più, come un crisi del sistema bancario: è questa la verità che si impone dietro ai discorsi sulla pretesa irresponsabilità dell’indebitamento degli Stati. E per prima cosa il vertice ha confermato la volontà delle istituzioni europee, a cominciare dalla Banca Centrale Europea (BCE) di portare sostegno al sistema bancario.
Così la BCE ha dapprima deciso di abbassare il proprio tasso direttore dall’ 1,25% all’1% (misura in vigore a partire dal 14 dicembre) in modo da facilitare le banche private alla costante ricerca di liquidità. Allo stesso tempo la BCE rende più facili le condizioni di accesso ai presti per le banche commerciali pure dal punto di vista della durata (che passa da 13 mesi a 3 anni) così come quelle relative ai valori depositati a garanzia dei prestiti. Resta aperta la questione – fondamentale in questa fase – di una politica diretta da parte della BCE di acquisti di obbligazioni emesse dagli Stati sul mercato primario (in occasione delle aste per le emissioni di obbligazioni) e non solo, come avviene ora, sul mercato secondario. Un aspetto questo decisivo per paesi come la Spagna e l’Italia. La riserva relativa alla possibilità di comprare direttamente obbligazioni al momento della loro emissione viene mantenuta. Per quanto tempo ancora? ci si può chiedere. Resta comunque una certezza: che per la BCE la priorità immediata è quella di portare aiuto alle banche senza far troppo rumore.
Il secondo decisivo aspetto del vertice europeo è la volontà di introdurre, in accordo con i gruppi dirigenti del capitale finanziario dei paesi preminenti dell’Unione europea, misure ancora più stringenti del tipo “freno all’indebitamento” che da tempo ormai conosciamo molto bene nel nostro paese. Si tratta in altre parole di imporre a tutti i paesi membri regole di austerità draconiane, tagli alle spese sociali, rimesse in discussione di diritti e prestazioni frutto di decenni di lotte sociali. Quello che stanno proponendo i governi in Italia, Spagna, Portogallo non sono che l’antipasto di quello che succederà nei prossimi mesi.
Una tale politica non fa altro che accentuare fortemente le tendenze recessive che, come un gatto che si morde la coda, darà un ulteriore contributo all’approfondimento dell’indebitamento degli Stati. A tutto questo si aggiungeranno poi una serie di privatizzazioni, un’accentuata ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro, così come una rimessa in discussione dei contratti collettivi di lavoro nazionali (verranno negoziati a livello di singola impresa).
Il vertice europeo della settimana scorsa ha quindi annunciato in modo chiaro l’inasprimento di un guerra sociale che ha come obiettivo la salvezza del capitale finanziario, a spese dei salariati e dei loro diritti. Un programma che coinvolge direttamente il nostro paese e la sua classe dominante, gli esponenti del capitale finanziario che, da tempo, si stanno già muovendo nella stessa direzione.