È passata quasi inosservata la pubblicazione, poche settimane fa, di un piccolo fascicolo da parte dell’Ufficio federale di statistica (UST) dedicato alla “Qualità dell’impiego in Svizzera”. Attraverso una selezione di alcuni indicatori (sicurezza, reddito, durata del lavoro, ecc), l’UST ha voluto fotografare l’evoluzione della qualità del lavoro nel paese.
Si tratta, come detto, di raffronti statistici selezionati e mirati (spesso sull’arco del decennio 2000-2010, altre volte su periodi più brevi), a volte con l’obiettivo di dimostrare una certa tesi (la scomposizione dei dati in altro modo e il riferimento ad una serie statistica diversa avrebbe permesso di arrivare a conclusioni diverse).
Ma la di là di questa critica di fondo, il fascicoletto permette di mettere in luce alcune evoluzioni fondamentali relative alla qualità del lavoro, in particolare per quel che riguarda le forme del lavoro. Vediamola.
Sempre più tempo parziale…
In Svizzera , apparentemente, si lavora, mediamente, di meno, sebbene di poco. Infatti l’orario effettivo medio di lavoro (durata annua normale + straordinari – assenze) è passato (tra il 1998 e il 2008) da una media di 42,9 ad una di 42,3. Una inezia, che conferma come, sostanzialmente, l’orario di lavoro in Svizzera non sia diminuito: anzi, nella realtà tende ad aumentare.
Ce lo conferma indirettamente l’altro dato relativo all’orario di lavoro, e cioè l’evoluzione del numero di lavoratori a tempo parziale (per la statistica ufficiale sono coloro che hanno un rapporto di lavoro inferiore al 90%). Costoro hanno visto il loro numero passare, nel solo spazio di 7 anni (2004-2010), dal 29,3 degli occupati al 34,1%. Va ricordato che, nello stesso periodo, il numero degli occupati è passato da poco più di 3,9 milioni a quasi 4,3 milioni: ed allora ci rendiamo conto come questa diminuzione – visto che si tratta di una media – è dovuta proprio al fatto che è in forte aumento il numero dei lavoratori a tempo parziale.
Questi dati d’altronde non sono altro che una conferma di una tendenza in atto da moltissimi anni e che vede la Svizzera tra i paesi con la più alta percentuale di posti di lavoro a tempo parziale.
E che questa tendenza sia tutt’altro che una “scelta”, un’autonoma decisione delle persone di lavorare meno e di “accontentarsi” di un guadagno ridotto, lo confermano perlomeno altri due dati. Il primo, anche questo “storico”, è quello che ci indica che la stragrande maggioranza di coloro che lavorano a tempo parziale sono donne; il secondo dato , fornito da questa indagine dell’UST, ci dice che il 53,4 dei sottoccupati “desidera aumentare il grado di occupazione” ed addirittura “il restante 46,4% preferirebbe lavorare a tempo pieno”.
… sempre più precario
Il lavoro a tempo parziale non desiderato (confermato dai dati richiamati qui sopra) è sicuramente una delle forme fondamentali attraverso le quali è storicamente avvenuta la precarizzazione del mercato del lavoro nel nostro paese. Ma a questa si sono aggiunte altre forme di precarizzazione, in particolare quelle legate agli orari di lavoro, i cosiddetti orari “atipici”, in netto aumento negli ultimi anni, anche grazie ad una serie di modificazioni della legislazione sul lavoro.
Il commento ai dati statistici presentati afferma che il lavoro atipico (serale, notturno, su chiamata, ecc.) “è rimasto relativamente stabile negli ultimi dieci anni”.
Ma si tratta, ancora una volta, di un’”illusione statistica”.
Prima di tutto perché sommando i vari tipi di lavoro richiamati (serale e notturno) notiamo, complessivamente, un aumento significativo: si passa dal 21% del 2001 al 22,8% del 2009. Ma, ancora una volta, i dati non rendono conto del peggioramento. Questo poiché il “lavoro serale” (passato dal 16,3% al 17,7%) di fatto è un lavoro notturno definito in modo diverso. La revisione della Legge sul Lavoro della seconda metà degli anni ’90 (peraltro accolta anche dal movimento sindacale – nella sua seconda versione dopo che questo aveva vinto il referendum contro la prima revisione) aveva infatti introdotto il concetto di lavoro serale (dalle 19 alle 24), spostando l’inizio del lavoro notturno dalle ore 20.00 alle ore 24.00. Una vera e propria truffa poiché nella Legge il lavoro serale è solo una definizione che non dà, contrariamente al lavoro notturno, diritto ad indennità salariali riconosciute dalla legge.
Ma su questo terreno un altro elemento fondamentale, fornitoci da questa rilevazione statistica è quello sull’organizzazione dell’orario di lavoro. Notiamo infatti una fortissima progressione del lavoro flessibile. Ce lo mostra il dato relativo al “modello di durata annuale del lavoro” che vedeva coinvolti il 5,1% dei lavoratori dipendenti nel 2001 e che nel 2009 vede questa percentuale praticamente raddoppiata (10,1%).
Una ulteriore conferma dell’avanzata del lavoro flessibile e precario in tutto il paese ed in tutti i settori.