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Lunedì scorso il Gran Consiglio ha approvato (con l’accordo unanime di tutti i partiti e con  la sola astensione del nostro compagno Matteo Pronzini) un’iniziativa di Monica Duca-Widmer e Luca Pagani presentata, più di dieci anni fa, a nome del gruppo PPD.

La proposta mirava a modificare la legge cantonale concernente l’aggiornamento dei docenti. Le proposte (formulate in una serie di punti) tendevano, in gran parte, a introdurre una quantificazione obbligatoria dell’aggiornamento dei docenti, una loro inserzione al di fuori degli orari scolastici, nonché l’utilizzazione di questa nuova forma di aggiornamento per la valutazione dei docenti da parte dei direttori scolastici.

 

La commissione della scuola (relatore il PS Malacrida) invitava il Parlamento ad approvare i “principi” dell’iniziativa, aggiungendovi alcune precisazioni di dettaglio. Il Parlamento, come detto in modo pressoché unanime, ha seguito la sua commissione e approvato l’iniziativa.

 

La decisione del Parlamento ci sembra assai grave ed inaccettabile. Essa rappresenta sicuramente un passo indietro e non può che portare acqua al mulino di coloro che, ormai da tempo, stanno lavorando ad imporre forme di aggiornamento che i docenti cercano di contrastare. Pensiamo in modo particolare alle proposte scaturite dalla DFA della SUPSI.

Le proposte contenute nell’iniziativa (i “principi” approvati dal Parlamento) vogliono in realtà introdurre forme di controllo quantitativo sull’aggiornamento, procedendo ad una sua completa istituzionalizzazione, aumentando il tempo di lavoro (conterebbe solo l’aggiornamento effettuato al di fuori degli orari di insegnamento e dei periodi scolastici).

 

Viva la quantità, abbasso la qualità!

 

Una della proposte fondamentali contenute nell’iniziativa è quella della certificazione dell’aggiornamento. Non che oggi questo non avvenga o non possa avvenire. Qualsiasi docente che partecipa ad un corso di aggiornamento ottiene la certificazione della sua partecipazione.

Ma qui si vuol andare oltre. Si vogliono introdurre due concetti: il primo è quello di una certificazione obbligatoria che, evidentemente, non può essere che quantitativa. E naturalmente, siccome ci muoviamo su questo terreno quantitativo, non si può  che ricorrere ai famigerati ECTS introdotti dal sistema di certificazione  degli studi universitari del dopo Bologna.

Se la certificazione e l’aggiornamento sono resi obbligatori, pare difficile che si possa sfuggire a un metodo di certificazione che non sia di tipo quantitativo. Per questo sembra poco più che una “furbata”, come fa il rapporto della commissione scolastica, criticare, nelle considerazioni introduttive, i crediti quantitativi che, citazione del filosofo Zambelloni all’appoggio, non farebbero altro che “deresponsabilizzare la complessità della loro professione”. Per poi, nella prima parte delle conclusioni, approvare la necessità di stabilire “la quota di ore da effettuare dentro e fuori i periodi di lezione”. Ora  cosa altro  è quest’ultima proposta se non una certificazione di tipo quantitativo che, c’è da scommetterlo, avverrà attraverso il sistema degli ECTS? D’altronde è quello che proponeva in modo chiaro e aperto l’iniziativa nel suo primo punto.

Accettare quindi l’iniziativa nei suoi “principi”, significa di fatto (siamo realisti!) accettare l’introduzione di una certificazione quantitativa dell’aggiornamento attraverso gli ECTS.

Che questo metodo, alla fine, diventerà di fatto un premio solo per i docenti che non curano oggi il loro aggiornamento pare più che evidente. Perché tale sistema penalizza e non riconosce quel lavoro quotidiano, impercettibile, non quantificabile, svolto da ogni docente che vuole aggiornare contenuti e metodi del proprio insegnamento.

Per contro verranno incentivate solo quelle forme di aggiornamento istituzionale (che spesso hanno già in passato dimostrato i loro limiti dal punto di vista qualitativo), obbligatori e con la cui frequenza ci si mette in regola, perlomeno agli occhi delle autorità che possono così “controllare”. Poco importa cosa di questi appuntamenti sia restato, quale sia il loro contributo reale all’aggiornamento del docente…

 

La valutazione dei docenti

 

Un secondo motivo di opposizione rispetto alla decisione del Parlamento riguarda la questione della valutazione.

L’aggiornamento obbligatorio diventa, alla luce delle conclusioni del rapporto della commissione, uno degli strumenti attraverso i quali si introdurrebbero forme annuali di valutazione dei docenti, effettuate ai direttori di sede e che, immaginiamo, dovrebbero poi fondare l’introduzione di un salario al merito.

Perché, evidentemente, le valutazioni sono utili, dal punto di vista amministrativo, solo se finalizzate ad una remunerazione differenziata: che senso avrebbe altrimenti valutare i docenti se poi tutto questo non avesse alcuna conseguenza sulla loro remunerazione, sulla possibilità di carriera, ecc.?

In altre parole, ci pare che vengano qui poste le basi per l’introduzione di una remunerazione al merito che, lo ricordiamo, la popolazione ticinese ha bocciato in votazione non molto tempo fa. In più fatta su una categoria, quella dei docenti, per la quale appare assai difficile applicare criteri di valutazione per obiettivi (normativa questa riproposta di recente dal governo per i dipendenti amministrativi).

 

Vi sarebbero molte altre obiezioni ai “principi” proposti dall’iniziativa ed approvati dal Gran Consiglio. Pensiamo in modo particolare alla proposta di dedicare all’aggiornamento sostanzialmente i periodi esterni all’attività di insegnamento  (quelli previsti dall’art. 10 dell’attuale legge sull’aggiornamento). Una simile proposta, ci limitiamo a questa osservazione, equivale a ritenere che i docenti, attualmente, limitino il loro lavoro alle sole ore di insegnamento e che tutte le altre ore possano, in qualche modo, essere occupate per altre attività, visto che sarebbero “vuote”, “inutilizzate”, ”non lavorate”.  Una visione a partire dalla quale già si è proceduto, negli anni scorsi, allo scellerato aumento dell’orario di insegnamento di un’ora per alcune categorie di docenti, sottraendo questo tempo, ad altre attività, tra le quali, per l’appunto, anche l’aggiornamento.

 

Infine un’osservazione di metodo, non certo secondaria. Tutti sproloquiano sulla necessità di coinvolgere i docenti e i loro rappresentanti nella definizione dei contenuti della riforma dell’aggiornamento. Eppure il Parlamento ha già approvato una serie di “principi” assai precisi che, di fatto, delineano i contorni di una riforma e indicano al governo in quale direzione andare. Una direzione che, ci pare, sia all’opposto di quella indicata dagli insegnanti (ricordiamo a questo proposito le prese di posizione del Movimento della scuola sostenute da diversi collegi dei docenti di vari settori). Siamo alle solite: i docenti sono chiamati ad “accompagnare” riforme già decise nei loro contenuti.

 

Vi sono quindi molte ragioni per le quali deve essere aperto un fronte di contestazione, nella scuola, sugli indirizzi approvati in questi giorni dal Parlamento in materia di aggiornamento dei docenti. Una loro concretizzazione rappresenterebbe un passo indietro gravissimo.