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I lavoratori e le lavoratrici di Prangins tirano il fiato: per il momento Novartis rinuncia, almeno per il momento, a chiudere lo stabilimento e i 320 posti sono così salvi. Nel contesto attuale, inutile negarlo, qualsiasi marcia indietro come quella fatta da Novartis è da salutare positivamente: anche il salvare un solo posto di lavoro, di questi tempi, è una cosa positiva; figuriamoci 320.

 

Detto questo l’accordo raggiunto e lo sviluppo della dinamica politico-sindacale getta ombre inquietanti su quello che rischia di essere uno scenario che rischia di ripetersi a più riprese in futuro. E non sempre la buona sorte permetterà, alla fine, un esito – almeno per il momento – altrettanto positivo.

 

Novartis impone il gioco

 

Non sappiamo (ed è difficile arrivare ad una conclusione) quale fosse la vera strategia di Novartis al momento in cui annunciava i licenziamenti a Basilea e quelli di Prangins (con la chiusura completa di questa seconda fabbrica). È possibile che l’azienda abbia lanciato l’obiettivo massimo (la chiusura dell’azienda) per poi arrivare ad una soluzione diversa ma comunque estremamente redditizia: sta di fatto che le cose, alla fine, sono andate così.

L’annuncio ha evidentemente stabilito subito un rapporto di forza, imposto la logica di fondo, la necessità di risparmiare da parte dell’azienda nell’ambito della propria competitività internazionale. Una logica che le organizzazioni sindacali hanno subito sposato muovendosi nella prospettiva di “controproposte” che avrebbero permesso a Novartis di ottenere comunque i suoi obiettivi di risparmio e di aumento dei margini di profitto e di competitività. In questa prospettiva si sono mosse anche le autorità cantonali e comunali, nonché quella federale attraverso il ruolo di Schneider Amman, in particolare per quel che riguarda la negoziazione di facilitazioni che coinvolgono i rapporti con gli Stati Uniti.

 

Un accordo milionario per Novartis

 

Alla fine di un lungo esercizio Novartis rinuncia – almeno per il momento (continuiamo a ribadirlo poiché nessuna clausola dell’accordo – così ci è parso di capire – offre garanzie temporali in questo senso) – ai licenziamenti e alla chiusura di Prangins, ottenendo in cambio molto. In particolare:

– un aumento dell’orario di lavoro (per una parte cospicua del personale) del tempo di lavoro da 37,5 a 40 ore settimanali (in pratica una diminuzione del salario di oltre il 6%.

– un nuovo sistema di lavoro a turni molto più pesante

– la concessione di un cospicuo sgravio fiscale da parte delle autorità comunali e cantonali

– una nuova destinazione a scopo abitativo di terreni, finora a destinazione industriale, di proprietà di Novartis adiacenti la struttura produttiva.

Appare difficile fare i calcoli di quanto tutto questo porterà alle casse di Novartis. Alcuni giornali hanno fatto calcoli che raggiungono decine e decine di milioni. Per quel che riguarda la nuova allocazione dei terreni, ad esempio, Le Temps parla di un possibile plusvalore di 19 milioni per Novartis. A questo si devono aggiungere lo sgravio fiscale (nessun dato ufficiale è stato reso noto, né è stata indicata la durata) e i risparmi dovuti al nuovo sistema produttivo e all’aumento dell’orario di lavoro. Non è difficile immaginare, anche facendo calcoli approssimativi, che Novartis si è fatta ben pagare per non licenziare: decine e decina di milioni, ed anche di più in una prospettiva di più anni.

 

Pagare per lavorare?

 

Ci si potrà dire che si tratta di soldi ben spesi perché salvano posti di lavoro. Ma è evidente che questo ragionamento dovrebbe allora valere per molte altre aziende. Soprattutto per quelle che non accumulano profitti miliardari – e questo da molti anni – come fa Novartis.

In realtà Novartis è riuscita a far finanziare i propri posti di lavoro dalla collettività pubblica e dagli stessi lavoratori che essa impiega.

Essa ha costruito un ricatto assolutamente ignobile che mostra a quale punto di degenerazione sia oggi giunto il capitalismo realmente esistente.

Agli occhi dei lavoratori e delle lavoratrici, in particolare di coloro che oggi tirano un sospiro di sollievo poiché manterranno un posto di lavoro, questo tipo di soluzioni appare tutto sommato l’unica alternativa “realistica” nell’attuale contesto politico e sociale. Ma si tratta, a ben vedere, di una soluzione che prima o poi farà emergere quelle contraddizioni dalle quali è emersa. La speranza è che avvenga il più tardi possibile.