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La stampa ha dato ampio risalto all'”accordo” concluso in seno alla sottocommissione della gestione tra i membri della commissione stessa, i rappresentanti del cantone e quelli della parte padronale e sindacale in merito al progetto di legge sull’apertura dei negozi in discussione da alcune settimane.

 

Si tratterebbe, scrivono i giornali riportando in particolare le dichiarazioni del presidente della sottocommissione di un ragionevole “compromesso”. Dal canto loro le organizzazioni sindacali non smentiscono il loro accordo, pur riservandosi un giudizio finale dopo la discussione parlamentare.

 

Compromesso?

 

Eppure un’analisi un minimo attenta alle proposte del messaggio e ai contenuti del cosiddetto «compromesso» (cfr l’articolo qui sotto) mostra assai bene che le proposte formulate dal governo sono state praticamente tutte recepite nel «compromesso» concluso davanti alla speciale sottocommissione della gestione.

Persino quella quarta domenica di apertura alla quale il governo sembrerebbe aver rinunciato, a ben guardare (cfr. sempre l’articolo che segue) è una concessione assai parziale (due volte ogni cinque anni).

Per il resto il processo di liberalizzazione (che per molti aspetti viene cristallizzato nel progetto di legge sulla base della situazione di fatto andatasi a creare in questi ultimi anni con il sistema delle deroghe) investe soprattutto settori finora “secondari”, ma oggi sempre più importanti. Pensiamo, ad esempio, ai negozi nelle fasce di frontiera o a quelli “annessi” alle stazioni di benzina. In questi ambiti (che possono essere accomunati a quanto fatto – a livello federale – per le stazioni ferroviarie dove vige la massima liberalizzazione) si è proceduto ad una riorganizzazione in profondità della legge, sfruttando al massimo gli spazi di liberalizzazione (per il dettaglio rinviamo all’articolo qui sotto).

 

Un peggioramento delle condizioni di lavoro

 

Da qualsiasi parte si prenda la cosa il risultato è evidente: con i nuovi orari di apertura dei negozi si va verso un netto peggioramento delle condizioni di lavoro.  Poco conta, come amano far notare governo e associazioni padronali, che la regolamentazione riguardi gli orari di apertura e non tocchi gli orari di lavoro in quanto tali che, si fa capire, sono soggetti ad altre regolamentazioni e non verranno certo prolungati dal fatto che sono prolungati gli orari di apertura.

È tuttavia chiara a tutti coloro che  si sono un po’ cimentati con le condizioni di lavoro del personale che orari di apertura prolungati (oltre al lavoro festivo) peggiorano il quadro all’interno del quale ogni singolo lavoratore e lavoratrice svolge il proprio lavoro. Ad esempio, orari di apertura più lunghi tendono ad estendere le ore entro le quali il singolo lavoratore svolge le sue ore di lavoro effettivo. Sempre la tendenza sarà di concentrare le ore lavorative sui momenti di «grande afflusso», sottoponendo i lavoratori a pause obbligatorie più lunghe durante la giornata. In altre parole aumenta il rischio di «stare in ballo» 11 o 12 ore per lavorarne 8.

 

Verso uno scambio?

 

È noto che le leggi sugli orari di apertura non possono prevedere condizioni di privilegio per quei negozi che rispettassero un eventuale contratto collettivo di lavoro (CCL). L’esperienza di Basilea in tal senso è stata liquidata dalle sentenze del tribunale federale.

Non sappiamo, allo stato attuale, se la trattativa implica anche la stipulazione, da parte di associazioni padronali e sindacati, di un contratto collettivo di lavoro (CCL) per il settore; un contratto che, per includere tutti i lavoratori, dovrebbe essere decretato di obbligatorietà generale.

Anche se lo cose evolvessero in questa direzione, la cosa ci parrebbe comunque frutto di un ragionamento sbagliato: non si possono barattare peggioramenti delle condizioni di lavoro (e di vita) di migliaia di salariati in cambio di un quadro contrattuale che non è nemmeno sicuro rappresenti realmente un passo avanti per i salariati del settore.

Una parte del movimento sindacale di questo cantone (pensiamo al SEI poi diventato UNIA) ha costruito la propria credibilità agli occhi dei lavoratori e delle lavoratrici del settore della vendita proprio rifiutando questo tipo di sciocco baratto. Ricordiamo a questo proposito che il vittorioso referendum del  1999 contro la revisione della legge sugli orari di apertura rifiutava proprio questo scambio, allora fatto proprio dagli altri sindacati, OCST in testa.

Quella posizione aveva due fondamenti; da un lato il rifiuto di questo scambio per principio, coscienti che, in ogni caso, i miglioramenti del quadro contrattuale non avrebbero mai potuto compensare i peggioramenti indotti dal prolungamento degli orari di apertura. Dall’altro vi era la consapevolezza che il CCL concluso in cambio non solo non conteneva  buone disposizioni relative ai salari e alle condizioni di lavoro, ma aveva una validità assai limitata.Oggi il rischio che una simile situazione si possa ripetere è fortemente alto.

 

Il punto di vista dei lavoratori e delle lavoratrici

 

Abbiamo perso il conto di quante inchieste, sondaggi, assemblee hanno promosso, giustamente,  le organizzazioni sindacali nel settore della vendita. Hanno voluto in questo modo dare voce ai lavoratori e alle lavoratrici, alle loro rivendicazioni, alle loro attese. E sempre, in modo inequivocabile, queste consultazioni tra i salariati del settore della vendita hanno mostrato la profonda avversione nei confronti del prolungamento degli orari di apertura e delle aperture festive e domenicali.

Appare quindi sorprendente il fatto che regolamentazioni fino a ieri ritenute inaccettabili e contrarie agli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici diventino, in un batter d’occhio, un “compromesso onorevole” coerente con la difesa degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici.

Seguiamo da vicino le attività, le pubblicazioni, le posizioni sindacali e i resoconti delle attività. Non ci pare di aver percepito un cambiamento nella volontà dei lavoratori, né ci pare di aver individuato momenti nei quali i lavoratori e le lavoratrici della vendita hanno dato un mandato alle loro organizzazioni sindacali affinché esprimesse il giudizio positivo che hanno espresso su un progetto di legge che peggiora di fatto le loro condizioni di lavoro.

 

Questo progetto di legge deve essere combattuto. Esso peggiora, ulteriormente e complessivamente, il quadro di fondo nel quale i lavoratori e le lavoratrici della vendita svolgeranno il loro lavoro, aumentando precarietà ed allungando ulteriormente i tempi di permanenza sui luoghi di lavoro, senza portare nessun contributo alla crisi del settore della vendita. Un settore colpito dalla diminuzione del potere d’acquisto dei salariati e, per certi settori, dalla evoluzione del tasso di cambio franco/euro.

Seguiremo quindi con attenzione l’iter di questa legge, non escludendo l’ipotesi, come abbiamo già pubblicamente annunciato, di ricorrere al lancio del referendum.

 

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Cosa prevede la nuova legge

 

Per quel che riguarda la grande e piccola distribuzione (i normali negozi) gli orari di apertura verranno allargati. Si potrà aprire alle 6.00 del mattino e tenere aperto fino alle 19.00 tutte le sere (attualmente alle 18.30), il giovedì fino alle 21.00 (come finora). Il sabato i negozi potranno rimanere aperti fino alle 18 (finora, almeno nel periodo invernale alle 17.00). Come previsto dal progetto iniziale.

Per quel che riguarda le aperture festive esse saranno in tutto cinque (Corpus Domini e Immacolata, più tre domeniche all’anno). Malgrado gli annunci pubblici di  una concessione ai sindacati su questo punto, un’analisi più dettagliata dimostra che rispetto al messaggio iniziale si è “concesso” poco o nulla. Infatti il governo proponeva, oltre alle due festività fisse, altre quattro domeniche: due durante l’anno e altre due nel periodo tra l’Immacolata e Natale. Così facendo si arriverebbe a quattro domeniche solo due volte ogni sette anni (quando l’Immacolata cade di venerdì o di sabato): negli altri anni, anche con la proposta del governo, sarebbero state in tutto tre domeniche.

Sugli altri punti l’unica divergenza sembra essere quella relativa alla superficie dei negozi delle località turistiche, nella stagione turistica,  che potrebbero derogare ai normali orari e addirittura aprire tutti  i giorni fino alle 22.30): per i sindacati i negozi al di sotto dei 120 m2 di superficie, per il messaggio governativo quelli al di sotto di 200m2.

Nessun obiezione, sembra, su tutta un’altra serie di misure che, in parte “sanano” situazioni di diffusa illegalità presenti da tempo, ma che allo stesso tempo rappresentano un potente fattore di liberalizzazione, forse il più importante contenuto nella legge. Sorprende che nessuno lo abbia in qualche modo contestato (così pare, almeno, leggendo la stampa). Pensiamo, ad esempio, ai cosiddetti negozi “annessi alle stazioni di benzina” che potranno  tenere aperto tutte le sere – dal lunedì al venerdì – fino alle 22.30, mentre la domenica potranno farlo quelli ubicati sulle autostrade e (novità) quelli situati sulle strade principali con traffico intenso (di fatto tutti quelli attualmente aperti come spiega nel dettaglio il messaggio del governo).

Poiché in questo ambito le stazioni di servizio sono diventate loro gli annessi di negozi che hanno sempre più le fattezze di veri e propri supermercati, possiamo ben affermare che con questa riforma quasi 150 piccoli supermercati saranno aperti 7 giorni su 7 fino alle 23.00.

Infine va ricordata l’estensione di queste deroghe anche a tutti i “comuni di frontiera”, cioè  quei Comuni sul cui territorio vi è un valico doganale carrozzabile. Con le fusioni dei comuni in atto (e quelli in previsione) tra poco tutto il Ticino, o quasi, sarà composto solo da “comuni di frontiera”.

Questo semplice e schematico riassunto mostra molto bene come, allo stato attuale, appaia difficile vedere un “compromesso” tra le decisioni convenute e le proposte iniziali del governo. Quest’ultimo vede in realtà accolte tutte le proposte contenute nel messaggio.

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