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L’Unione Sindacale Svizzera ha consegnato le firme a sostegno di un’iniziativa per un salario minimo legale di 22 franchi orari. Contrariamente alle dichiarazioni ed alla propaganda diffusa attorno a questo tema l’iniziativa non vuole assolutamente modificare radicalmente il sistema salariale in vigore nel nostro paese, né tantomeno, attraverso l’introduzione del salario minimo, spingere verso l’alto i livelli salariali. Vediamo perché.

L’iniziativa, attraverso i suoi obiettivi, rinuncia a intervenire nel “cuore” dei livelli salariali. Ricordiamo che il salario mediano in Svizzera era, nel 2010, di Fr. 5’979. Questo significa che la metà dei dipendenti attivi in Svizzera riceve un salario lordo superiore a questa cifra. L’altra metà riceve un salario inferiore. Tuttavia porre il livello del salario minimo legale a 4’000 franchi (anche se in realtà i 22 franchi all’ora, tramutati in salario mensile, danno certo questa somma ma solo se versata per 12 mensilità: nel caso di un salario versato su tredici mesi saremmo ben sotto) vuol dire rivolgersi alle condizioni salariali di un frangia assai limitata di lavoratori. Gli stessi promotori dell’iniziativa, sia nella fase di lancio che al momento della consegna, hanno insistito su una sorta di missione “sociale” di questa iniziativa: far sparire i salari inferiori ai 4’000 franchi che, ci dicono, rappresentano circa il 10% di tutti i salariati.

Naturalmente qualsiasi proposta che voglia correggere situazioni di questo genere è benvenuta. Ma è evidente che in questo caso saremo confrontati con una campagna di tipo “minimi sociali”, “integrazione al minimo salariale” e non con una campagna che rivendica, attraverso uno strumento come il salario minimo, la messa in modo di una dinamica salariale verso l’alto.

In altre parole questa iniziativa corre il rischio di essere votata all’insuccesso proprio per come è stata concepita, con la preoccupazione costante di non ingerire il terreno occupati dal contratti collettivi di lavoro. Rischia di essere sentita come lontana dai lavoratori che si trovano ben oltre questo limite e rischia di essere sentita come una minaccia per coloro che si trovano, sopra, ma non lontani da questo limite, preoccupati che questo limite non funzioni da calamita verso il basso: in altre parole rischia di essere vista con sospetto dal 90% dei lavoratori e delle lavoratrici.

D’altronde la borghesia avrà ampio margine a trasformare il dibattito su questa iniziativa in un dibattito di carattere sociale, cioè relativo ai “lavoratori poveri” o a categorie particolarmente disagiate di lavoratori; un modo elegante per non affrontare la questione fondamentale – che un altro tipo di iniziativa avrebbe permesso di porre – cioè del rapporto salariale e della distribuzione della “ricchezza” prodotta dal lavoro quotidiano dei salariati.

In questo contesto non aiuta certo il fatto che le organizzazioni sindacali predichino bene e razzolino male. Tra coloro che hanno preso la parola in occasione della consegna delle firme vi sono i rappresentanti di due delle maggiori federazioni sindacali che continuano a firmare contratti collettivi di lavoro che prevedono salari minimi ampiamente sotto i 4’000 franchi. Pensiamo, ad esempio, a quelli dell’orologeria in diverse regioni svizzere; o, ancora, a quelli previsti dal nuovo CCL per le FFS rinnovato di recente.

In questo contesto l’iniziativa rischia di restare lì come una non molto convincente proposta istituzionale; non avrà nemmeno la funzione di convogliare le forze verso campagne a sostegno di salari minimi ben superiori a quelli attualmente previsti dai CCL.

Inutile aggiungere che, se questa rimarrà la prospettiva sindacale, il risultato in votazione – al di là dei consolatori sondaggi attuali – rischia di essere già segnato.