La sentenza del processo Eternit di Casale Monferrato è qualcosa di storico e decisivo.
Questo non solo per quel che riguarda l’esito del processo penale e la possibilità, a livello internazionale, di iniziare un percorso che permetta di richiamare alle loro responsabilità coloro che hanno causata tante morti in tutto il mondo; ma è altrettanto importante perché rappresenta un punto fermo di una battaglia che ha coinvolto la società intera e, come affermato da più parti, è divenuta una questione di coscienza civile.
Si tratta di una sentenza esemplare che ha permesso di arrivare laddove mai nessun tribunale aveva osato giungere finora chiamando i veri responsabili a rispondere personalmente dell’enorme danno cagionato.
Questo processo è stato possibile solo grazie alla tenacia e alla lotta di uomini e donne che ci hanno creduto e non hanno mai rinunciato alla loro sete di giustizia; e che oggi restano consapevoli del fatto che la vicenda non è per nulla finata poiché sono ancora tanti gli ammalati e la gente che continua purtroppo ancora a morire.
Questa battaglia deve avere un prolungamento nella discussione sulle scelte di fondo relative ai modelli di sviluppo produttivi che devono tenere conto della salute non solo dei lavoratori e dei loro familiari, ma dell’intera comunità e dell’ambiente in cui la produzione è inserita o alla quale si rivolge. La tragica esperienza delle migliaia di vittime dell’amianto, che fossero lavoratori o meno, e il dolore dei familiari devono essere un monito chiaro sulle scelte che responsabilmente occorrerà adottare quando vogliamo immaginare e programmare il futuro.
Il risultato di oggi non deve tuttavia far dimenticare che, nonostante una legge che vieti uso e produzione di questo “mostro” minerale, alle nostre latitudini vi è ancora molto da bonificare e siamo ancora parecchio lontani dall’obiettivo di farlo sparire definitivamente.
Continuerà purtroppo a chiedere il suo tributo di vite umane e sono ormai moltissime le morti causate da patologie riconducibili alla sua utilizzazione che viene, vergognosamente, ancora proseguita regolarmente in luoghi pubblici e in ambienti lavorativi.
L’ironia della sorte ha voluto che proprio in questi stessi gironi nei quali riflettiamo sul processo di Casale Monferrato, proprio alle Officine FFS di Bellinzona i lavoratori sono confrontati con la presenza di amianto all’interno di alcune carrozze.
Non è certo una novità: i lavoratori delle Officine hanno di fatto convissuto per decenni con l’amianto senza che nessuno gliene illustrasse la pericolosità.
L’applicazione dell’amianto spruzzato responsabile della morte per mesotelioma di alcuni operai cessa negli anni ‘60, ma fino alla seconda metà degli anni ’80 a Bellinzona si riparavano carrozze imbottite di amianto (nei soffitti, nelle pareti, nei pavimenti, sotto i sedili) senza nessuna precauzione, si bagnava e grattava l’amianto come se niente fosse, senza le adeguate protezioni.
Tant’è che i rischi legati all’utilizzo dell’amianto avevano sollevato, sempre alle Officine, un gran polverone nella seconda metà degli anni ’80; poi man mano che le carrozze venivano risanate la cosa è tornata ad essere “sommersa”. Occorre sottolineare che un centinaio di operai ed ex-operai esposti all’amianto sono ancora costantemente sottoposti a regolare sorveglianza medica e lo saranno ancora per il resto della loro vita.
L’eredità dell’amianto continuerà dunque a pesare sulle spalle di lavoratori che hanno riparato e, soprattutto, decoibentato le carrozze contenenti il nocivo minerale.
Malgrado anni di risanamenti e mirati interventi, anche ditte esterne specializzate, alle FFS (Officine) si sta comunque ancora lottando per sbarazzarsi dell’ingombrante retaggio. Alludiamo qui agli ultimi fatti di cronaca legati alle carrozze BPM51 assegnate per modifiche varie o per regolare manutenzione alle Officine di Bellinzona e di Olten.
Un problema che si sta affrontando in queste ore, dunque ancora al vaglio degli esperti i quali dovranno fornire gli esiti delle campionature fatte, dell’aria e di tutti gli altri elementi utili. Toccherà poi alla dirigenza FFS fornire tutte le spiegazioni del caso rispondendo ai numerosissimi e legittimi interrogativi emersi dall’insorgere di questa nuova e paradossale vicenda legata al temuto materiale.
Una triste storia che sembra non avere mai fine e che ci obbliga a riformulare domande che pensavamo non fossero e non dovessero più essere di alcuna attualità: in futuro, nel mondo, quante persone, lavoratrici e lavoratori, dovranno ancora subire i nefasti e devastanti effetti di questo subdolo ”killer”?
Probabilmente, fino a quando il profitto continuerà a farla da padrone, anteponendo i propri obiettivi ed interessi a quelli di salariati e cittadini, delle loro esigenze, dei loro diritti, della loro salute.