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Tra i potenti del mondo riuniti a Davos lo scorso fine settimana c’era quello che il giornale economico Les Echos del 30 gennaio ha definito un barlume di speranza. Da parte sua Nicolas Sarkozy, in occasione del suo show televisivo del 29 gennaio, ha affermato ” La crisi finanziaria si assottiglia. L’Europa non è più, da questo punto di vista, sull’orlo del precipizio. Ora bisogna consacrare tutti i nostri sforzi alla risoluzione della crisi economica”.

Senza voler fare “l’uccello del malaugurio” possiamo subito notare il contrasto tra il clima del week end con il rapporto del FMI pubblicato solo cinque giorni prima (il 24 gennaio) che metteva l’accento sul rischio della situazione mondiale e confermava l’entrata in recessione della zona euro. Il governo francese, tramite François Fillon, ha confermato quello che dicono tutti gli economisti riportando allo 0,5% la sua previsione di crescita per il 2012 (l’FMI è allo 0,2%).

Infatti lo yo-yo continua: un giorno si pensa che vada un po’ meglio, il giorno dopo la catastrofe è alle porte. I dirigenti navigano a vista senza nessuna capacità e volontà di contrastare la speculazione finanziaria e il progetto di saros di una pseudo tassa sulle transizioni ne è l’illustrazione.
Come ha detto giustamente Luc Lamprière, direttore dell’Oxfam France, questo annuncio “risponde in realtà alle attese delle lobby finanziarie”.

Un solo punto fa l’unanimità tra coloro che stanno in alto, in particolare i dirigenti europei: la priorità è il riordino delle finanze pubbliche, la riforma della protezione sociale e del codice del lavoro nel senso di un indebolimento delle garanzie collettive. Ne è una testimonianza l’adozione il 30 gennaio a Bruxelles del “trattato per la stabilità, il ordinamento e la governace dell’Unione economica e monetaria” che ribadisce la “regola d’oro” sul deficit di bilancio con sanzioni quasi automatiche per chi non la rispetta. Inoltre i governi si impegnano a far conoscere in anticipo “tutte le principali riforme economiche”.

I dirigenti accrescono il rischio di un’identificazione tra Europa e imposizione di politiche antisociali. Anche se non sarà ritenuta, l’idea tedesca di nominare in Grecia un “commissario europea al bilancio” dotato di un potere di veto sulle decisioni in materia di spese e fiscalità è l’illustrazione di questa deriva folle.
Il nuovo trattato, dopo quelli di Lisbona e Maastricht, rischi di risvegliare i fantasmi nazionalisti. La denuncia di questa testo è parte integrante della campagna del NPA, ma questo deve andare di pari passo con la riproposizione delle nostro attaccamento alla costruzione di un Europa sociale e ecologica e con la denuncia di soluzioni nazionaliste.
Sempre più poveri
Del resto al ritornello senza dubbio temporaneo che indica una pausa nella sviluppo della crisi, potremmo opporre tra le altre cose le constatazioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Nel suo rapporto sulle “tendenze mondiali del lavoro” pubblicato il 24 gennaio, l’OIL stima infatti che il mondo conta 27 milioni di disoccupati in più dall’inizio della crisi del 2008 (cosa che porta il numero totale di disoccupati a circa 200 milioni). Secondo questo rapporto ogni anno circa 40 milioni di persone vanno ad ingrossare le fila di coloro che cercano lavoro.
Un altro dato allarmante è l’aumento del numero di lavoratori poveri nel mondo. Circa 900 milioni di lavoratori vivono al di sotto della soglia di povertà fissata dalla Banca mondiale, vale a dire con meno di 2 dollari al giorno. Sono 55 milioni di più dall’inizio della crisi del 2008, e la metà di questi 900 milioni di persone vive al di sotto della soglia estrema di povertà, vale a dire come meno di 1,25 dollari al giorno. Per quanto riguarda l’Unione europea il rapporto mette l’accento sulle prospettive oscure per quel che riguarda il lavoro e la disoccupazione a causa della generalizzazione delle misure di austerità. Confermando così la quanto precedentemente affermato dall’Insee sulla diminuzione di 3 milioni di posti di lavoro dal 2008 al 2011 nella zona euro (da 149,7 a 146,8 milioni) di cui 2,1 milioni nell’industria.

 

* Articolo pubblicato sul settimanale Tout est à nous, mercoledì 1° febbraio 2012. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.